venerdì 1 marzo 2013

La forza di scrivere

Per noi è importante...il coraggio, la forza e la voglia di scrivere!!!
La testimonianza di Rosa
Potrei scrivere tante cose sui disturbi alimentari. Potrei raccontare tante cose, che credo per˜ non si discosterebbero molto da altre esperienze che si possono trovare senza problemi sul web o sui romanzi autobiografici. Vorrei invece raccontare di come si vive vedendo morire lentamente la propria sorella. Di questo si parla di menoÉ per˜ cՏ un aspetto importante da ricordare: i dca sono malattie che nascono come problema individuale, ma finiscono per divenire un male di vivere che ingloba spesso tutta la famiglia, gli affettiÉ
La mia gemella si chiama Chiara. EÕuna ragazza splendida, intelligente, buona come pochi se ne incontrano. Era una bella ragazza. Era, e spero che tornerˆ ad esserlo. La lunga malattia, oltre quattordici anni, lÕha divorata a poco a poco. Negli ultimi due anni si pu˜ dire che si sia presa tutto, tutto quello che era Chiara. Dico sempre che lÕanoressia, cos“ come gli altri disturbi alimentari,  una malattia subdola e beffarda. PerchŽ impedisce a chi ne  direttamente colpito di rendersi conto realmente del pericolo che sta correndo, finch non  quasi troppo tardi.  La cosa pi sconvolgente e drammatica per me  stata proprio questa: vedere mia sorella precipitare verso la morte, mentre lei pensava di volare. Senza poter fare assolutamente nulla. PerchŽ si sa, quando una persona  maggiorenne, non cՏ molto margine dÕintervento da parte dei famigliari.  Vederla illudersi di poter finire il suo prezioso master in giornalismo, quando sapevo benissimo che di l“ a poco saremmo dovuti correre in ospedale per salvarle la vitaÉ Vedere poi, in ultimo, nei suoi occhi la paura. Le forze iniziavano a mancare. Fare le scale era diventato prima faticosissimo, poi impossibile. Muoversi era un problema, un grosso problema. Anche solo tossire non era pi possibile, a causa della distruzione della massa muscolare. E quando poi ha compreso di doversi per forza far curareÉ ecco che la situazione era giˆ troppo disperata per qualunque struttura riabilitativa. E quindi ospedale, cvc, sacche, piantiÉ e soprattutto lÕangoscia mia e della mamma che questa volta non ce lÕavremmo fatta. Non riusciva a recuperare quel minimo per andare in una struttura riabilitativa, lÕambiente ospedaliero la terrorizzava; cos“, ben al di sotto dei limiti fissati, si fa un tentativo in un centro per i disturbi alimentari. La sera prima di essere ricoverata, tornata a casa dalla medicina, mentre le passavo il burrocacao e le rimboccavo le coperte (nemmeno questo riusciva pi a fare), mi ha detto: ÒRose, io non voglio essere una larva umana come sono diventata, non voglio pi, io non volevo questo, non so perchŽ  successo, e ora ho paura di non farcela!Ó
Chiara ce la sta facendo. Piano piano, molto lentamente, recupera forze e luciditˆ mentale. Si  impegnata sin da subito e ora si raccolgono i primi frutti.  Vuole di nuovo vivere! Mi parla della vacanza che dobbiamo fare dopo le sue dimissioni e dopo la mia laurea, del fatto che vuole riprendere i contatti con i giornali con cui ha ottenuto delle collaborazioni.  Mi parla degli amici, che ha voglia di rivedereÉ DellÕamore, che vorrebbe incontrare. EÕqualcosa di straordinario nel vero senso della parola per me. Non pensavo potesse pi accadere. Circa un anno e mezzo fa versava in condizioni simili, ma il ricovero che  stato fatto per circa dieci mesi non  sortito a nulla: in sei mesi, dopo la dimissione, aveva perso tutto quello che almeno fisicamente, aveva guadagnato e anche di pi, era ventiquattro chili, come lei stessa si  defintia Òuna larva umanaÓ. Ma non penso sia stata questione di struttura. Credo invece che il problema fosse la sua motivazione, e lÕattaccamento alla vita, ancora troppo scarso. Ora mi sembra diversa. Questo per dire che anche nei casi pi disperati la luce pu˜ accendersi. Io credo che questa sia la volta buona. Lo spero con tutto il cuore e Chiara stessa mi da alcuni segnali che fanno ben sperare. Dice di essere stanca di Òquella vitaÓ, di non voler pi soffrire e farci soffrire cos“ tanto.  La vedo delineare dei progetti e dei sogni per il suo futuroÉ vedo che la prospettiva sta cambiando.
Eppure, sarei bugiarda se negassi di avere ancora una paura folle. Non cՏ giorno in cui non mi passino per la mente, almeno una volta, immagini di lei in punto di morte. Abbiamo giˆ perso il papˆ (tumore ai polmoni). Chiara  senza dubbio la persona pi importante della mia vita. Non credo ce la farei senza di lei. Non  come fra due normali sorelle. Noi siamo proprio a tratti una cosa sola. Il nostro  un rapporto davvero viscerale. Mi rendo conto quanto ancora lÕumore mio e della nostra mamma dipenda da come sentiamo Chiara al telefono, da come la vediamo, da come supponiamo che stiaÉ  come se il resto contasse ben poco. Questo  capace di fare la malattia: monopolizzare completamente le vite di tutti quelli che sono a contatto con una persona affetta da dcaÉ per questa ragione dico che  un male globale, oltre che individuale.  Ovviamente  un qualcosa che anche in famiglia cerchiamo di affrontare e contrastare, mantenendo i nostri impegni ed interessi. Per˜ non  facile. E come non lo  per noi, credo non lo sia anche per tante altre famiglie. Tuttavia, sono convinta di una cosa: non  vita una vita fatta solo di paura. EÕla speranza che ci tiene in piedi e ci fa andare avanti, ed  cos“ per tutte le situazioni di difficoltˆ.  Io spero, spero con tutto il cuore, e questo aiuta sia me, che la mamma e soprattutto Chiara.  EÕla speranza che ti fa trovare la voglia di sensibilizzare la gente nei confronti dei dca, di continuare a spiegare, anche quando i luoghi comuni e gli stereotipi si sprecano. Questo significa, alla fine, combattere e forse vincere. E questo mi piacerebbe dire, a tutte quelle famiglie che la speranza lÕhanno accantonata in un angolo, perchŽ troppo stanche, troppo provateÉ Ce la si pu˜ fare. Anche dopo tanti anni. Bisogna affidarsi a persone competenti, senza disperdere energie in terapie che trattano solo un aspetto (quello psicologico o quello nutrizionale) del problema. I dca devono essere affrontati nella loro complessitˆ di malattie psicosomatiche per eccellenza. 
A tutte quelle sorelle, fratelli e famigliari di persone che soffrono di dca, vorrei dire di tenere duro, non arrendersi, perchŽ la nostra speranza si riflette negli occhi delle persone che amiamo e che soffrono.
 A tutte le ragazze, ragazzi, ma anche adulti e bambini che soffrono di disturbi alimentari, vorrei dire che la guarigione non  unÕutopia,  solo un cambio di prospettivaÉ
 

 
 

 
 

 

 

1 commento:

  1. Grazie a te per aver condiviso questa preziosissta testimonianza, Rosa.
    Ti abbraccio forte e faccio un enorme in bocca al lupo per il futuro a te e a tua sorella...!

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