domenica 27 ottobre 2019

...tu chiamala Anoressia!


Viviamo in un mondo dove tutto scorre veloce. Non si ha il tempo per fermarsi, per osservare, per ascoltare. Il ticchettio del tempo ci rende frivoli, incapaci di analizzare, ma nello stesso tempo pronti ad etichettare con frasi a caso “Non mangia più” - “Vuole attirare attenzione” - “Guardala è anoressica”.
Tante volte ho sentito chiamarmi così, quasi da indurmi a pensare che fosse il mio nuovo nome. Un nome che girava intorno alla morsa del cibo; intorno quella voglia di svuotare, cancellare ogni traccia di dolore, di eliminare te stessa da una realtà che faceva male.
Man mano il rifiuto del cibo, le privazioni imposte, l’odio per quei fianchi troppo larghi genera una bolla dove tu sei dentro, che si alimenta ogni giorno di imperativi, di obiettivi, di colpe ma soprattutto di numeri, di bilance e di centimetri. Numeri compresi tra 28 e 28,5 kg; un’infinità millesimale di numeri che per un’anoressica sono l’unico modo per soddisfare quel piacere irrefrenabile di autodistruzione.
Non vi è un istante preciso e puntuale in cui un essere umano cade nella trappola “dell’altra te stessa”, quell’alterego che vedi ogni mattina riflesso nello specchio e che odi. Non vi è un momento in cui quella macchina di distruzione inizia il suo percorso in quel corpo fragile e sensibile. È difficile capire il messaggio di quello scheletro ambulante sia da parte della famiglia, degli amici sia da parte della medicina moderna spesso non adeguatamente preparata. E così ci sei solo tu, stanca, a non essere più capace di tenere tutto sotto controllo come se qualcosa ti stesse sfuggendo dalle mani. Le mie gambe non mi permettevano più di avere lo stesso passo austero di una volta. L’anoressia non riusciva più a comunicare con il mio corpo che non reagiva più, aveva sopportato troppo e troppo velocemente la caduta verso il baratro. Non poteva o non voleva sostenere ancora le angherie di quel disturbo che lui stesso non aveva cercato. Le giornate diventano lunghe, sono ormai una larva che deambula con un pigiama per le stanze di casa cercando di capire cosa fare, come cercare di dare un taglio netto alla vita, di dare un fine a quell’agonia. Le voci si amplificano nella tua testa, l’odio per te stessa e per l’incapacità di gestire il tuo mondo si espandono come a macchia d’olio. Si diventa inermi ad un certo punto, non si ha neanche più la voglia di distruggersi e così si aspetta il momento in cui quel nero che vedi dentro ti avvolga.
Io ad oggi non so dirvi il perché sia ancora qui. So solo che c’è stato un dottore, una di quelle persone che hanno fatto del loro lavoro una missione, che ha saputo leggere il mio dolore, le mie paure. È riuscito a interpretare la metamorfosi di quel corpo andando oltre il rifiuto del cibo. Così gli incontri si intensificarono, i nostri primordiali silenzi si trasformarono in lunghe chiacchierate. Quei colloqui non avevano una cadenza fissa e costante proprio perché la mia rinascita non doveva dipendere da qualcuno. Dovevo contare solo su me stessa. Dovevo Farcela per Me Stessa.
A chi mi chiede oggi “Come sei riuscita a guarire?”, io non so rispondere, e mentirei nel raccontare la formula magica della guarigione. Dall’anoressia credo non si guarisca definitivamente, certo si riprendono kg e riemerge la parte vitale di te stessa. Ma l’Anoressia no.. non va via, resta lì, rilegata nell’angolo più recondito di te stessa.. ed è per questo che non mi piace parlare di guarigione, ma di consapevolezza nel gestire Lei e le sue provocazioni. E quindi nonostante i bei sorrisi di oggi, continui a lottare...sì, lottare!

A.R.

 

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