martedì 1 settembre 2020

La forza dell'essere fragili - Laboratorio 26 agosto 2020

 


Questa volta iniziamo con una piccola premessa riguardo il laboratorio di questa sera: è stato di una intensità unica, che spero di non rovinare troppo cercando di tradurlo in parole. Abbiamo iniziato descrivendo sommariamente come il disturbo alimentare si muova sapendosi infiltrare all’interno della vita di una intera famiglia. Il disturbo alimentare è così abile da cucire nel tempo uno specifico abito confezionato su misura per ogni individuo con cui si trova in contatto, un abito che ben presto si trasforma in una sorta di camicia di forza da cui poi ci si trova impossibilitati a liberarsene. È stata affrontata questa tematica perché è sorta la richiesta di poter in qualche modo delineare quelle che sono le dinamiche della malattia per poter capire come questa agisca e quindi cercare in qualche modo di non trovarsi completamente impreparati nel doverla affrontare.
Ovviamente, nel descrivere queste dinamiche non possiamo credere di riuscire a imbrigliare il disturbo alimentare in una sorta di classificazione standard poiché la sua complessità risiede proprio nel fatto che si sviluppa ed evolve attraverso la storia di ogni singola persona coinvolta.
Questo però non vuol dire che non si possa fare nulla. Anzi. Il ruolo dei genitori è molto importante poiché è attraverso le relazioni familiari che il disturbo alimentare si diverte a intessere la trama del suo gioco. Essere consapevoli di questo permette di poter sorprendere la malattia non facendosi soggiogare dai suoi meccanismi perversi. Come? Partendo da se stessi. I genitori, allo stesso modo dei figli, non riescono più ad avere una vita propria. Tutto ruota intorno alla malattia. Come il disturbo riesce ad appropriarsi dell’identità della persona che ne soffre così si appropria dell’identità dei rispettivi genitori. E ogni cosa smette di avere una valenza reale conformandosi a quelle che sono le lenti distorte della malattia. Quindi da cosa si può partire? Sembra banale dirlo ma si può agire cominciando a prestare attenzione alle parole che usiamo. Le parole sono il mezzo attraverso le quali noi costruiamo i nostri pensieri, pensieri che poi coinvolgono le nostre emozioni e da qui i relativi comportamenti. Quante volte capita nella giornata che i genitori parlino del cibo, dell’ attività fisica, della passività che incombe in tutto quello che è inerente alla propria figlia o figlio? Innumerevoli volte. Ci rendiamo conto che questo non aiuta perché fa si che la malattia sia sempre presente in ogni momento e soprattutto si stabilizzi indisturbata tra le pareti domestiche. Cominciare a fare attenzione alle parole che si usano, permette di darsi la possibilità di modificarle andando così ad agire direttamente sui pensieri. Sembra un passaggio scontato, ma non è così. È essenziale spostare l’attenzione dalla malattia al linguaggio che compare durante la giornata; questo serve anche per allontanare la tensione e l’energia che la malattia mette in circolo all’interno della propria casa. Un papà ha portato la sua testimonianza raccontando quanto il suo rapporto con la figlia sia cambiato dal momento in cui ha smesso di imporre il controllo e la sua costante insistenza nel dover iniziare un percorso psicoterapeutico.
Comprendendo certi meccanismi del disturbo alimentare, questo papà ha cominciato a modificare il suo approccio autoritario riscoprendo un dialogo che lo ha riavvicinato a riconquistare la fiducia e a non essere più visto come un nemico. Se questo ha effettivamente da una parte migliorato la relazione, dall’altra parte non ha risolto il voler intraprendere una psicoterapia, poiché sappiamo benissimo che da queste malattie non si può guarire da soli. E allora che cosa si può fare? Si deve rinunciare? Assolutamente no. Occorre continuare a sviluppare sempre di più la relazione andando a creare un dialogo improntato sul rispetto e la stima reciproca. Si può cominciare descrivendo che cosa è per noi una psicoterapia per poi chiedere che cosa rappresenti per lei o lui, quali sono i suoi pensieri, le sue credenze, le sue paure che cosa prova verso la figura dello psicologo, come gestisce i suoi momenti di sconforto, se c’è qualcuno con cui parlare quando sente il bisogno di farlo... senza dimenticare di introdurre e condividere insieme anche le proprie esperienze e idee. Ovviamente non esistono soluzioni, si fanno tentativi, si impara a conoscere la propria figlia o figlio mettendosi in discussione per primi, non trasformandosi in pseudo terapeuti ma ritrovando e mantenendo il proprio ruolo di genitore.
Ad un certo punto c’è stata la condivisione di una mamma che ha saputo con una dignità piena di rispetto esprimere il suo grido di aiuto. Mamma di cinque figli, dopo il ricovero della figlia avvenuto dopo un anno molto travagliato non è più riuscita a reggere lo sforzo immenso del peso sopportato ed ha avuto un crollo psicofisico tanto che le hanno consigliato di seguire a sua volta un piano terapeutico per riprendere le forze. Questa condivisone è stata accompagnata da un pianto e da un riguardoso silenzio, in cui ognuno di noi è stato testimone della sorprendente contrapposizione tra fragilità e forza. È stato un intervento segnato da così tanta delicatezza che ci ha portati tutti verso un sentire comune. Anche se il laboratorio si stava svolgendo in piattaforma è arrivato nitidamente l’emozione che si è sprigionata. E le lacrime, che dire? Le lacrime sono la rivelazione della parte di noi più profonda che ci conferma che ancora siamo in grado di provare emozioni. Infatti, quando una persona è bloccata dentro non riesce più in alcun modo a piangere. Le lacrime, al contrario, ci rivelano la piena espressione della nostra interiorità.
Spesso quando crolliamo non riusciamo più a credere in nulla. È come se cadessimo in un baratro. Ma in realtà è quando tutto crolla che si può ricominciare a costruire e poter così apportare quel cambiamento che necessita di essere attuato. E chiedere aiuto per gettare le fondamenta di questa nuova costruzione è sinonimo di grande coraggio e saggezza. È importante che quando accadono questi momenti non ci si chiuda in se stessi, poiché farlo aumenta ancora di più il peso che si è costretti a sostenere. Il prezioso intervento di questa mamma ha saputo tradurre nella pratica quello che è il senso del laboratorio. Esserci, ognuno insieme all’ altro. Per permettersi finalmente di mostrarsi così come si è... e il dono più grande di questa intensa serata è stato il sorriso di questa mamma... un sorriso che ha trasmesso tutta la forza, il dolore e l’amore che coesistono dentro ad ogni genitore.

La parola che ci accompagna durante la settimana è: LA FORZA DELL’ESSERE FRAGILI.

 

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 Foto scattata dalla compagnia FZU35 durante le prove dello spettacolo "La voce".

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