giovedì 7 gennaio 2021

Il genitore è l'essenza del vero nutrimento - Laboratorio 15 dicembre 2020

15 dicembre. Tra 10 giorni sarà Natale. Un Natale molto strano e particolare. Non ci saranno veglioni, cenoni, riunioni con parenti e amici. Tutto prenderà una piega più contenuta, sobria, possiamo dire più naturale. Quest’anno forse non assisteremo alla solita corsa bulimica di regali, cibi, feste con il vano tentativo di mascherare e allo stesso tempo riempire il vuoto che sentiamo dentro. E forse tutto questo ci avvicinerà un po’ di più nel comprendere cosa significa per una persona che soffre di un disturbo del comportamento alimentare affrontare queste festività: una perenne difficoltà che non è legata solamente al fattore cibo ma anche al fattore emotivo. Natale dovrebbe rappresentare il valore dei nostri legami, la famiglia, le persone a cui vogliamo bene, e un disturbo alimentare allontana dal vivere serenamente i propri rapporti creando solo conflitti, scontri e separazioni. Si vorrebbe dimostrare il proprio affetto e amore e invece quello che emerge è aggressività e offese per la paura di avvicinarsi troppo all’altro. Quello stare vicino è spesso una tappa ancora troppo difficile da comprendere e analizzare per una persona che soffre di queste malattie. Ci sono mamme e papà che parlano di lunghi silenzi che creano disagio, incomunicabilità, imbarazzo. Si sente il bisogno di dover riempire quello spazio “ vuoto” con un mare di parole, anche senza senso, pur di non sentire quel silenzio.
Una ragazza ha raccontato di quando si era trovata alla consueta seduta di terapia. Ricorda di aver rivolto una domanda alla sua psicologa e di non aver ricevuto nessuna risposta in cambio se non un interminabile silenzio che la fece sentire confusa e anche un po’ arrabbiata perché aveva tante cose da chiederle e non poteva farlo. L’ora di terapia avvenne nel completo non dirsi nulla.
Tornando a casa, la ragazza pensò a quella inconsueta seduta ma non riuscì a capirne il senso.
Erano tante le emozioni che erano emerse a cui non aveva potuto dare voce, e adesso le rimbombavano prepotentemente dentro di lei. Le avvertiva tutte, anche se non riusciva a collegarle con ciò che le accadeva. Qualche giorno dopo, si trovò in treno da sola col proprio padre. In quel vagone c’erano solo loro due, ognuno dentro la propria incapacità di comunicare con l’altro. In quel momento, la ragazza ricordò la strana seduta terapeutica avvenuta giorni addietro. Ecco a cosa era servita, a saper stare nel silenzio, al saper vedere e non avere paura delle proprie emozioni. Siamo soliti pensare che il silenzio sia qualcosa di negativo. Al contrario, dentro al non detto si nascondono profondi significati. Nel silenzio, le persone sono come denudate dalla loro corazza aggressiva e allo stesso tempo il disturbo del comportamento alimentare non ha mezzi per manipolare e creare zizzania. Si ha così paura di incrociare lo sguardo dell’altro perché si sa che si è completamente visibili nella propria fragilità e vulnerabilità.
Eppure, quanto è rigenerante e costruttivo il silenzio.
Un papà ha raccontato della volta in cui si era molto arrabbiato perché sua figlia trovava ogni scusa per non prendere la patente di guida. Quel giorno, stufo delle solite scappatoie messe in atto da lei, le aveva detto direttamente che era l’ora di finirla di comportarsi da quattordicenne, la patente doveva prenderla per la sua indipendenza e autonomia. Questo papà aveva saputo dare uno stimolo alla crescita personale della figlia non affrontando di petto il disturbo alimentare ma bensì agendo su un campo neutrale in cui la malattia non aveva motivo di sentirsi attaccata.
Questo fa capire quanto sia importante notare come la stessa emozione o difficoltà possa essere
gestita diversamente se affrontata in un ambiente diverso. Nel caso della prima storia, la terapeuta aveva messo in atto una seduta in silenzio per far capire alla ragazza che quel senso di vuoto e angoscia che provava a casa e che lo riempiva attraverso il cibo, poteva essere vissuto e gestito diversamente. E ne ricevette la conferma nell’esperienza in treno sola con il proprio padre.
Nel caso della seconda storia, il padre non va a stimolare la figlia attaccandola direttamente con parole del tipo: “ devi fare qualcosa per uscire da questa malattia perché così non vai avanti”.
Frasi del genere non aiutano e fanno sentire la persona in causa ancora più incapace e non in grado di guarire. Al contrario, agendo su un piano neutrale come prendere la patente di guida, ha permesso alla ragazza di osservare la sua situazione da una prospettiva diversa rendendosi conto di quanto avesse paura di diventare adulta e responsabile di se stessa.
Da qui si comprende quanto i genitori rappresentino sempre più una risorsa. Sono essenziali nel percorso di crescita di una persona con un disturbo del comportamento alimentare. Una mamma in questa settimana si è sentita rifiutata dalla figlia che, impaurita di dover affrontare un altro ricovero, vuole andare a vivere dalla sorella comunicando espressamente il suo non voler stare con la madre che le rende ogni cosa ancora più difficile. Sappiamo che spesso ciò che viene detto è l’opposto di quello che si pensa. In realtà questa figlia ha un disperato bisogno della propria madre, ma in questo momento sono troppe le paure dentro di lei e crede che allontanando la madre da se stessa sia più facile. Ma sono fasi che devono accadere durante un disturbo del comportamento alimentare. Ogni figlio o figlia nutre per i propri genitori un amore immisurabile, e non può essere diversamente.

Riprendendo il discorso di prima, i genitori sono essenziali nel percorso di cura. Non possono e non devono essere terapeuti ( questo ci teniamo sempre a sottolinearlo), ma devono essere il padre e la madre dei loro figli. La famiglia è una componente fondamentale nella vita di ognuno di noi, ancora di più per le persone che soffrono di queste malattie. Non si può credere di guarire senza affrontare direttamente il rapporto con i propri familiari. Il disturbo del comportamento alimentare ha tantissimi aspetti negativi ma un fattore positivo ce l’ha ed è quello di portare alla luce quello che deve essere trasformato. Non perché sia per forza sbagliato o deleterio per la persona, ma perché va rinnovato. I disturbi del comportamento alimentare sono multifattoriali, e quindi sono tanti i motivi che portano alla loro insorgenza. I genitori non ne sono la causa. Certo, essendo una parte essenziale della vita della persona, inevitabilmente ne vanno ad influenzare il suo sviluppo, ma questo non vuol dire che ne siano colpevoli. E proprio perché rappresentano la parte essenziale della vita della persona, non ci  stancheremo mai di ricordare che sono una risorsa indispensabile. Non c’è guarigione senza l’ analisi e la risoluzione del rapporto genitoriale.
Una persona non può vivere senza la sua famiglia. Senza di essa manca il nutrimento, l’amore incondizionato, la protezione e ci si ritrova spenti. Le persone che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare colpiscono per l’assenza di luce nel loro sguardo. La malattia sa bene dove colpire, il suo bersaglio è il nucleo familiare.
Una mamma ha condiviso la sua gioia perché sua figlia. dopo due anni che non rivolgeva parole al suo papà, quest’anno trascorrerà il Natale insieme al lui. Questa mamma ha vissuto momenti di grande difficoltà e conflitto. Vedeva ogni giorno la sofferenza della propria figlia, ma ha saputo non intralciare il suo percorso di crescita. Ha mantenuto il suo ruolo di madre cercando di comprendere sempre più come le dinamiche della malattia giocassero a confonderla.
È naturale che i genitori desiderino annullare la sofferenza che la malattia comporta accelerando il processo di guarigione dei propri figli. Ma questo è impossibile. È un percorso che deve essere intrapreso solo dalla persona interessata. Il genitore però può esserci. Non per fare chissà che cosa. Ma, come abbiamo visto nel silenzio, può preziosamente esserci.


La frase della settimana: IL GENITORE È L’ESSENZA DEL VERO NUTRIMENTO.

 

 

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