giovedì 14 ottobre 2021

Conoscenza, consapevolezza e coraggio di condividere possono prevenire e aiutare a combattere i disturbi del comportamento alimentare.


 Mi chiamo Samantha, sono una ragazza italiana di ventisette anni, che vive e lavora in Regno Unito dal 2016. Fino alla primavera del lockdown pensavo di avere la mia in pugno, con un dottorato di ricerca come lavoro e “uno stile di vita sano”.

Quando tutto sembrava essere fuori dal nostro controllo, per via della pandemia di COVID-19, io sentivo di avere una solida routine fatta di lavoro, esercizio fisico e una dieta salutare. Non mi sono resa conto dei segnali allarmanti, che mi hanno portata ad essere ufficialmente diagnosticata con anoressia nervosa restrittiva, a Dicembre 2020. Dopo mesi di puro terrore, per me e i miei cari, con visite frequenti in ospedale, prelievi settimanali e monitoraggio di ossa e cuore, ho capito quando potenzialmente mortali siano i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Le statistiche, almeno qui in U.K. riflettono l’urgenza del problema. L’anoressia nervosa (AN) è classificata come la malattia psichiatrica con il più alto tasso di mortalità (5%), con il 46 % di soggetti che raggiungono il ricovero totale, solo il 33% che migliora e il %20 che rimane malato cronico.

Non so bene quando il mio mangiare equilibrato sia diventato ortoressia nervosa, ossessione per il cibo sano, né quando il mio amore per la corsa sia sfociato in estremo esercizio fisico. Tutto quello che vedevo nei social media, era una sorta di idolatria per queste tendenze ed estrema rigidità nella dieta. Sta di fatto che alla fine del primo lockdown inglese in Settembre, non potevo passare un giorno senza uscire e correre, anche sotto estremo maltempo. La corsa ed esercizio aumentava, e la quantità e qualità del cibo diminuiva.

Arrivata a Dicembre 2020 incapace di toccare la maggior parte degli alimenti, visibilmente deperita e non sapendo più cosa fare. Non avevo conoscenza di strutture disponibili, non sapeva da dove iniziare.

In Italia, durante gli anni di educazione scolastica, non ho mai avuto corsi che spiegassero i pericoli che questi comportamenti e la credenza di poter raggiungere “la perfezione”, potessero avere sulla mia salute. Tutto quello che sentivo erano i danni dell’essere in sovrappeso, mai i pericoli dell’essere in sottopeso.

Un altro problema è l’educazione alimentare e la demonizzazione di grassi, carboidrati e zuccheri. Nei supermercati, almeno in U.K ma anche in Italia, vediamo l’insorgere di alimenti zero grassi e senza zuccheri. La cultura dell’essere perennemente a dieta, del ridurre e restringere la quantità di cibo, l’enfasi sulle calorie e del “sentirsi in colpa”, sono il carburante dei DCA. Invece di insegnare che tutti gli alimenti, nelle giuste quantità, sono accettabili e trasmettere uno stile di vita equilibrato, basato sull’accettazione di noi stessi, la società ci insegna quanto siamo “imperfetti” e quanto dobbiamo “aggiustare” i nostri corpi.

I DCA non sono solo legati al “cibo”. Il cibo per me era un veicolo, l’ultima manifestazione di problemi molto più estesi. I DCA non solo legate solo a cibo e peso, le persone affette possono essere a qualunque peso. La concezione di non essere “malati abbastanza” da ricevere aiuto è uno dei principali ostacoli per avere accesso all’assistenza sanitaria qui in U.K.

Ho potuto capire tutto questo solo iniziando una terapia specializzata, seguita da psicologi, nutrizionisti e infermiere, tutti specializzati nei DCA.

Il mio percorso mi ha aiutata a capire quando sia vitale educare la popolazione, giovane ed adulta, sui rischi, fattori e mezzi per prevenire e affrontare questi disturbi.

Solamente “riprendendo peso” non si combattono i DCA. Bisogna capire cosa li ha provocati, quali problemi sono mascherati dalla mancanza di cibo e come funziona la malattia. Lavorando sia sulla parte fisica, sia su quella mentale, sono riuscita a recuperare i kg persi, uscire da pericoli medici come il collasso cardiaco, e cambiare le aspettative che avevo di me stessa.

A tutte le persone affette o meno da DCA raccomando di informarsi, condividere storie, alzare il livello di consevolezza della situazione. Prima di arrivare all’ospedalizzazione ci sono molti passi in cui si può aiutare/essere aiutati nel ricovero. 

Samantha

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