Un
riscontro con la realtà esterna tante volte può diventare l 'unico
modo per avere percezione di se stessi, di quello che ti sta
accadendo fisicamente ed emotivamente. Ricordo ancora uno degli
episodi più significativi per me in cui venni a contatto con la
realtà della mia magrezza. Ero seduta
in macchina e una sensazione spiacevolissima di colpo mi assalì, una
doccia fredda. Il sedile di quella macchina perse la sua reale
funzione per diventare un vero e proprio 'mezzo di comunicazione'.
Non stava più lì per farmi sedere, ma per dirmi quello che mi stava
succedendo. La sensazione di esser seduta su una roccia spigolosa
piuttosto che su qualcosa di relativamente morbido, fu il messaggio
che mi inviò. Un messaggio che provai immediatamente a decifrare. Si
il mio corpo era dolorante, a causa del contatto delle mie ossa
sporgenti con il sedile di quella auto. Mi mossi con una certa
irrequietezza avendo l’impressione che dovessi solo trovare la
giusta posizione, pensando di aver assunto solo una postura
sbagliata, ma in realtà qualsiasi posizione assumessi il dolore non
mi abbandonava; schiena, glutei erano ‘aggrediti’ dalle mie ossa.
Il messaggio diventava sempre più chiaro, o meglio, metteva in
dubbio qualcosa, quella certezza falsa che il mio corpo fosse sano.
Una voce che però strozzavo in pochissimo tempo. Se fisicamente
sentivo e, rifiutando di sentire, cercavo di mettere a tacere il mio
corpo, emotivamente la sensazione sgradevole della preoccupazione per
la mia persona moriva sul nascere. Preoccupazione che si risvegliava
solo attraverso il confronto con le persone, che inevitabilmente
notavano la mia ‘pericolosa’ minutezza, un senso di angoscia che
però per me si mescolava all'idea del giudizio. Nonostante il mio
istinto di autoconservazione provava in tutti i modi a parlare,
cercando anche nelle parole altrui quella dimensione del reale che io
non avevo e che in qualche modo poteva salvarmi, l’ombra del
giudizio mi remava contro. Una voce imperava dentro di me e mi
diceva: 'la loro preoccupazione è espressione di un mio
comportamento sbagliato' come se ancora una volta ci fosse stata la
convinzione che ero io a voler stare male, che ero sbagliata. La
volontà di capire per poter fare luce su quello che mi stava
accadendo, così come il terrore di farlo perché tutto si
trasformava in uno spietato giudizio. Cercare disperatamente così
come fuggire, tutto nello stesso momento. La realtà, quella realtà
che rifiutavo era per me prevalentemente giudizio. Allora, quale
‘migliore’ strada se non quella di rifuggire quella realtà, se
ai miei occhi appariva così dolorosa. Quale migliore ‘soluzione’,
se non costruire un mondo tutto mio, fatto di regole tutte mie, che
mi davano modo di farmi vedere quello che io decidevo, perché su
quello potevo avere un controllo? E tutto continuava ad essere sempre
e solo una trappola dalla quale però potevo disincagliarmi solo io.
Rosy