mercoledì 26 aprile 2017

Dca, lavoro, bellezza, illusioni e schiavitù. Altro che vanità.


Elena è seduta in fondo e alza la mano, per fare una domanda e rompere il ghiaccio. Sta ascoltando con le sue compagne di classe un incontro sui disturbi alimentari, uno dei tanti che da quando ho scritto il romanzo ”La fame di Bianca Neve” mi  viene offerto di curare, incontrando i giovanissimi. La presentazione del libro si tiene in aula magna, con ben cento studenti delle classi terze e quarte di un liceo del torinese.
Elena porta l’esperienza della sua amica, Flavia, 18 anni da poco, un metro e settantanove per 41 chili di peso e il sogno di fare l’indossatrice: un sogno che si è realizzato perché qualche settimana prima un’agenzia le avrebbe proposto un contratto di lavoro. Cinque anni di scatti fotografici e passerelle, abiti griffati, sorrisi. Fame. Perché secondo la studentessa che mi pone il problema la sua amica “non è una modella”, non è “bella” ma sta male. Soltanto male. Ed è brutta. Perché sembra più vecchia. Mi domanda perché l’agenzia faccia finta di no vedere che la sua amica è malata. Mi chiede se è possibile che la ragazza in realtà non si renda conto del suo malessere, di quella magrezza che è diventata ossessione…. L’affetto che questa ragazza poco meno che maggiorenne dimostra nei confronti della sua amica ha una tale carica da farmi sentire assolutamente inadeguata. Nel mio vestitino di giornalista tv di lungo corso, di scrittrice, di reporter, di appassionata comunicatrice della politica, di militante di partito, di donna l’inadeguatezza si trasforma in rabbia. Perché la studentessa, che di domande ne farà ancora molte rendendo la mattinata di incontro molto profonda, ha fatto centro. Di DCA si parla: male, a sproposito, in modo incompleto. Di DCA si parla e spesso si corre il rischio di affogare in una tale palude di pregiudizi che alla fine non si sa più bene da che parte iniziare per fare della sana informazione. Si comincia da un libro, un romanzo che proprio perché tale mette in letteratura i malesseri della sua autrice che ora si racconta, provando con una certa umiltà a dire che “se ne esce” ed ecco che trovi chi, con la domanda calzante, accende un riflettore sul problema sottaciuto, negato. Certo, nessuno si ammala di DCA “solo” perché vuole fare la modella….quanto piuttosto perché perde il controllo del proprio peso, della propria fisicità, della propria essenza che viene rigurgitata in quel vuoto senza fondo apparente. Se questa fragilità diventa referenza essenziale per lavorare, il disastro è servito. Trovare una “lavoratrice” della moda che abbia voglia di esporsi su questo argomento non è facile: lo fece molti anni fa una giovane indossatrice che si ribellò alla propria casa madre, che la voleva molto più magra per entrare in una taglia minimal pronta per la sfilata di qualche giorno dopo. Pena, la perdita del lavoro. Perché chi col corpo ci lavora ed è affetto da DCA, si trova a dover combattere oltre che contro il male anche con l’ossessione di restare disoccupato. Quale tutela per chi vuol dire basta? In Israele, dal 2013, è vietato far apparire sia in sfilate dal vivo sia in fotografia, su qualunque mezzo, modelle che abbiano un Bmi inferiore a 18,5 (circa pari a quello di una donna alta 1,75 metri e di 55 kg di peso). In Francia nel 2015 venne presentata una proposta di legge oltre a imporre il “divieto di passerella”, la legge colpirà anche i siti web che “incitano” all’anoressia: fenomeno in preoccupante crescita su Internet dove spopolano le pagine “pro-ana” e “pro-mia” (sigle da anoressia e bulimia) in cui si danno “consigli” su come diventare magrissime (la “perfezione”, secondo alcuni di essi, si raggiunge con i 35 chili di peso). In Italia ci sarebbero oltre 300mila blog e siti di questo tipo. il governo Zapatero, d’accordo con i maggiori produttori di moda spagnoli, ha fatto “abolire” la taglia 38 per le donne adulte. Si era mossa anche l’Italia, nel 2014, con una proposta di legge bipartisan, firmata dalla pd Michela Marzano ma anche dall’ex ministro di centrodestra Mara Carfagna e altre deputate. Il testo prevedeva pene fino a 1 anno e 50mila euro di multa per chi “istiga esplicitamente a pratiche di restrizione alimentare prolungata”, ma non è ancora stata approvata. E mentre Oliviero Toscani bolla le anoressiche come malate di inguaribile vanità, in un talent tv dedicato agli adolescenti la Celentano si permette di “bocciare” i sogni di una giovane ballerina perché “troppo grassa”. Una discussione urgente deve essere posta su DCA e mondo del lavoro: laddove l’eccessiva magrezza  e il comportamento sono istigati da sedicenti datori di lavoro che nono vogliono in passerella esseri umani ma quanto di più simile a un manichino o a un appendiabiti. Con il coinvolgimento di associazioni, amministrazioni, sindacati di categoria e medici del lavoro, con l’interesse attivo della politica. Lo dobbiamo anche a Flavia, perché tra cinque anni non sia l’ennesima giovane donna della quale il mondo del jet set sputerà le ossa. 

Rosanna Caraci

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