venerdì 3 novembre 2017

In Felicità#34



Mi chiamo Pamela, sono una donna di 44 anni. Volevo raccontare un po' di me o della non me,da quando l'anoressia ha cominciato a spogliarmi lentamente della mia identità più vera.
Credo che con un disturbo alimentare a cui si è intrinsecamente inclini, si nasca. Il mio rapporto con il cibo non è mai stato idilliaco e, già dagli anni del liceo, mostravo una personalità particolare che accomuna molte ragazze affette da DCA e che, più avanti mi avrebbe puntualmente definito. L'esordio vero e proprio della mia malattia è stato intorno ai ventidue anni mentre frequentavo l'ultimo anno della triennale. Ero dimagrita notevolmente e mostravo un'inverosimile attenzione al corpo e al controllo del peso. Accettai le cure mediche che, oltre 20 anni fa, prevedevano il ripristino fisiologico dei parametri vitali e un adeguamento secondo tabelle di peso. Nessuno si prese cura di me e della mia anima. I miei genitori archiviarono "il fatto" come un superficiale tentativo di dimagrimento fai da te. Non ne parlammo molto a seguire, ma in realtà la mia anoressia aveva cominciato a farmi compagnia e avrebbe condizionato da lì in poi gran parte delle mia esistenza. La mia attenzione alla fisicità e al mantenimento di un sottopeso voluto e l'eccessivo controllo del peso rimasero sempre una costante. La vita mi vide per caso o per fortuna, giovane sposa e via da casa abbastanza presto. Nonostante i problemi riuscii a portare avanti due gravidanze ma, alla nascita del mio secondo figlio, la bestia che pensavo di poter gestire si è cominciata a prendere lentamente ogni pezzetto della mia vita. Il carico delle responsabilità e forse i nodi del passato mai sciolti mi hanno condotto sempre più nel vortice del disturbo. Ho cercato fino all'ultimo di ostentare una presunta normalità fugando gli sguardi indiscreti e a volte compassionevoli degli altri. Vivevo il mio disturbo con un grande senso di colpa che si ripercuoteva sui bambini e sulla mia famiglia che, basita assisteva al mio declino. Mi sono confinata ad un'innaturale ed iniqua solitudine per la paura di essere colpevole e l'incapacità di saper reagire. 

Quando ho scelto di chiedere aiuto ho capito di essere fortemente invischiata nelle malattia. Il mio percorso di recupero è stato lungo e doloroso soprattutto all'inizio per una grande resistenza che mostravo alla terapia. Il mio disturbo aveva già da tempo cronicizzato tanti aspetti; i meccanismi routinari legati al cibo, ma anche una serie di atteggiamenti con cui affrontavo la vita,erano abbastanza radicati. Dentro tutta quella disperazione con la quale andavo a dormire e mi svegliavo ogni giorno, una cosa mi era chiara; se ne fossi uscita avrei raccontato. Credo che solo chi ha vissuto la malattia possa spiegarne il meccanismo subdolo con cui si insinua e il perverso rapporto con il cibo che in modo circolare mantiene vivo e fomenta il disturbo. Vorrei che tutti capissero che l'anoressia come tutti i DCA sono delle patologie che non si scelgono! Purtroppo non è cosi scontato! C'è ancora una scarsa informazione o, peggio ancora, credenze sbagliate che allontanano la persona che vive il disagio dalla sensibile comprensione altrui. Non è colpa mia...oggi lo so. Il disagio è solo la punta dell'iceberg di un mondo emotivo sommerso che ci rende più fragili e soprattutto sole nell'incapacità di chiedere aiuto e nella certezza di essere giudicate.

Così ho scelto di pubblicare un libro "In Felicità#34" con l'intenzione di sensibilizzare e informare il contesto sociale sui DCA. Da sempre fan di L. Ligabue, ho scelto di dedicare a lui il libro. L'anoressia è una malattia democratica: può capitare a chiunque, anche ad una fan del Liga…una tra tante. La musica mi ha sostenuto in questo percorso facendomi apprezzare il valore aggiunto degli approcci integrati nel percorso di guarigione. Successivamente la moglie di Luciano ha scelto di fare per me la prefazione del libro rendendomi un gran senso di gratificazione. Oggi presentiamo il libro nelle scuole, nelle biblioteche e anche nelle serate musicali, visto il contenuto peculiare. La mia famiglia d'origine e mio marito, spettatori impotenti e vittime anch'essi del disturbo, sono al mio fianco in questa lotta sostenendo e presenziando ogni iniziativa. Oggi mi sono restituita al mondo con la mia verità perché ho capito che quella della verità è l'unica strada percorribile e con tanto impegno partecipo alla lotta contro i DCA, contribuendo come posso ad aiutare.

Buona vita
Pamela Mele

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