Mi
chiamo Pamela, sono una donna di 44 anni. Volevo raccontare un po' di me o
della non me,da quando l'anoressia ha cominciato a spogliarmi lentamente della
mia identità più vera.
Credo
che con un disturbo alimentare a cui si è intrinsecamente inclini, si nasca. Il
mio rapporto con il cibo non è mai stato idilliaco e, già dagli anni del liceo,
mostravo una personalità particolare che accomuna molte ragazze affette da DCA
e che, più avanti mi avrebbe puntualmente definito. L'esordio vero e proprio
della mia malattia è stato intorno ai ventidue anni mentre frequentavo l'ultimo
anno della triennale. Ero dimagrita notevolmente e mostravo un'inverosimile
attenzione al corpo e al controllo del peso. Accettai le cure mediche che,
oltre 20 anni fa, prevedevano il ripristino fisiologico dei parametri vitali e
un adeguamento secondo tabelle di peso. Nessuno si prese cura di me e
della mia anima. I miei genitori archiviarono "il fatto" come
un superficiale tentativo di dimagrimento fai da te. Non ne parlammo molto
a seguire, ma in realtà la mia anoressia aveva cominciato a farmi
compagnia e avrebbe condizionato da lì in poi gran parte delle mia
esistenza. La mia attenzione alla fisicità e al mantenimento di un
sottopeso voluto e l'eccessivo controllo del peso rimasero sempre una costante.
La vita mi vide per caso o per fortuna, giovane sposa e via da casa abbastanza
presto. Nonostante i problemi riuscii a portare avanti due gravidanze ma, alla
nascita del mio secondo figlio, la bestia che pensavo di poter gestire si è cominciata
a prendere lentamente ogni pezzetto della mia vita. Il carico delle
responsabilità e forse i nodi del passato mai sciolti mi hanno condotto sempre
più nel vortice del disturbo. Ho cercato fino all'ultimo di ostentare una
presunta normalità fugando gli sguardi indiscreti e a volte compassionevoli
degli altri. Vivevo il mio disturbo con un grande senso di colpa che si
ripercuoteva sui bambini e sulla mia famiglia che, basita assisteva al mio declino.
Mi sono confinata ad un'innaturale ed iniqua solitudine per la paura di essere
colpevole e l'incapacità di saper reagire.
Quando
ho scelto di chiedere aiuto ho capito di essere fortemente invischiata nelle
malattia. Il mio percorso di recupero è stato lungo e doloroso soprattutto
all'inizio per una grande resistenza che mostravo alla terapia. Il mio disturbo
aveva già da tempo cronicizzato tanti aspetti; i meccanismi routinari legati al
cibo, ma anche una serie di atteggiamenti con cui affrontavo la vita,erano
abbastanza radicati. Dentro tutta quella disperazione con la quale andavo a
dormire e mi svegliavo ogni giorno, una cosa mi era chiara; se ne fossi uscita
avrei raccontato. Credo che solo chi ha vissuto la malattia possa spiegarne il
meccanismo subdolo con cui si insinua e il perverso rapporto con il cibo che in
modo circolare mantiene vivo e fomenta il disturbo. Vorrei che tutti capissero
che l'anoressia come tutti i DCA sono delle patologie che non si scelgono!
Purtroppo non è cosi scontato! C'è ancora una scarsa informazione o, peggio
ancora, credenze sbagliate che allontanano la persona che vive il disagio dalla
sensibile comprensione altrui. Non è colpa mia...oggi lo so. Il disagio è solo
la punta dell'iceberg di un mondo emotivo sommerso che ci rende più fragili e
soprattutto sole nell'incapacità di chiedere aiuto e nella certezza di essere
giudicate.
Così ho
scelto di pubblicare un libro "In Felicità#34" con l'intenzione
di sensibilizzare e informare il contesto sociale sui DCA. Da sempre fan di L.
Ligabue, ho scelto di dedicare a lui il libro. L'anoressia è una malattia
democratica: può capitare a chiunque, anche ad una fan del Liga…una tra tante.
La musica mi ha sostenuto in questo percorso facendomi apprezzare il valore
aggiunto degli approcci integrati nel percorso di guarigione. Successivamente
la moglie di Luciano ha scelto di fare per me la prefazione del libro
rendendomi un gran senso di gratificazione. Oggi presentiamo il libro nelle
scuole, nelle biblioteche e anche nelle serate musicali, visto il contenuto
peculiare. La mia famiglia d'origine e mio marito, spettatori impotenti e
vittime anch'essi del disturbo, sono al mio fianco in questa lotta
sostenendo e presenziando ogni iniziativa. Oggi mi sono restituita al
mondo con la mia verità perché ho capito che quella della verità è l'unica strada
percorribile e con tanto impegno partecipo alla lotta contro i DCA,
contribuendo come posso ad aiutare.
Buona
vita
Pamela
Mele
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