giovedì 14 marzo 2019

Beyond the illness.



Quindici marzo.
Uno, due, tre, quattro.
Dopo quattro anni, anche io parlo. Di come si vive, si affronta e si cerca di superare un disturbo del comportamento alimentare.
Le ricerche e gli studi dicono che sono gli adolescenti quelli maggiormente colpiti dai DCA.
Nella mia esperienza, l'incubo è arrivato dopo i vent'anni. Con una carriera lavorativa avviata, due lauree ottenute con enormi soddisfazioni e massimo impegno. Un concetto, quello della perfezione, che ha sempre inciso sulla mia persona. La ricerca costante dell'essere perfetta in tutto. Nello studio, nel lavoro, nella vita personale. Non sbagliare mai un colpo, vedere qualsiasi sconfitta come un qualcosa che intacchi la perfezione, macchiandola di nero.

L'ossessione della perfezione, che diventa il proprio fardello quando il meccanismo si inceppa. Inizio a stare male, a perdere peso. Sono le allergie, mi dicono i medici. Va adeguato il regime alimentare. Perdo peso, mi sento più agile e perfetta. Anche se i segni sul corpo, le smagliature che appaiono, le proporzioni che cambiano, mi trasformano. Non sono perfetta. Ho dei difetti. I fianchi troppo larghi, le gambe troppo grosse, il bacino troppo femminile. La voglia di essere sottile, minuta.

Davanti allo specchio, inizio a cercare di diventare perfetta. Il tunnel è quello del peso, la mente ragiona così. Meno mangio, meno peso. Più divento agile, più cerco di tonificare il mio corpo, meno difetti avrò. Inizio a coprire ogni singolo centimetro del mio corpo di bugie. "No, non sto dimagrendo". "No, sto benissimo". "Si, ho mangiato tutto", quando in realtà vivevo a mandarini e litri d'acqua.

"No, non ho bisogno di aiuto".

Chi mi stava accanto non si è accorto di nulla. Ci è voluta la pazienza di una persona, la sua persuasione, nel convincermi dopo diversi mesi ad accettare quanto meno di parlarne.

Da lì è iniziato tutto. Visite, controlli, colloqui. Il guscio che piano piano si incrina, si sgretola, crolla. Il castello di perfezione che non esiste più. Rimane un corpo riflesso nello specchio che non è più il mio. E, soprattutto, non è perfetto.

Passano i mesi, cambiano i medici, cambia la situazione. Mi allontano da un porto sicuro per entrare in un altro che chiude le porte dopo poco.
Non ho più alcun aiuto, alcun sostegno.

Qualcosa, in quel momento, scatta.
Non posso permettere all'incubo di riprendersi in mano la mia vita. Sono io che vivo, non lui per me. Devo cavarmela da sola, imparare ad allontanare l'incubo prima che sia troppo tardi. Trovare una chiave, una via d'uscita. Un modo per rialzarmi e andare oltre.
La strada da percorrere è lunga, in salita, tortuosa. Non ci sono barriere che mi proteggono dagli strapiombi. Non c'è alcun sostegno, alcun supporto.

Passano i mesi, gli anni. Cambiano le relazioni, cambiano i contesti, cambia tutto. L'incubo si allontana, ma una cosa resta uguale.

Io continuo a nascondere ogni singolo centimetro del mio corpo, e a provare vergogna nel mostrarmi. Non voglio che qualcuno mi possa vedere. Non voglio che qualcuno possa vedere che quel corpo riflesso nello specchio non è perfetto. Non voglio che il mio corpo sia fonte di rifiuto. Non voglio dare fiducia.

Poi una luce. Che mi insegna a rialzarmi e a risplendere, sempre.
A non provare vergogna, ad accettare ogni singolo centimetro del mio corpo come un bene assoluto. Finalmente la salita è finita, e dall'alto si vede un panorama stupendo. La luce.
 
Sara

 

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