mercoledì 27 marzo 2019

Lettera di una bambina affamata


Ciao Vita, 
è un po’ che non ti sento. So che non sei tu a nasconderti, ma io a fuggirti. Mi trovo nel pieno della dittatura della mente sul corpo, degli schemi sugli istinti, mentre tu sei da tutt’altra parte: fuori dalla mia testa, lontana dai pensieri. Adesso m’illudo d’incontrarti nell’adrenalina che provo quando avverto fame e non la soddisfo e un’energia mi scorre nelle vene sottoforma di euforia. Allora sì che mi sento lieve, ogni cosa rallenta e tutto diventa possibile, perché lo sballo della fame è simile a quello del primo bicchiere di vino: il buco nello stomaco diviene un anestetico, affondo le unghie nel vuoto fisico per distogliermi da quello emotivo. Sto scomoda nella pienezza perché, una volta soddisfatto il corpo, ci si ritrova faccia a faccia con i bisogni dello spirito e quelli sono ardui. Le carenze nutritive zittiscono quelle affettive, inghiottite per nutrirsi della propria repressione emotiva. La si ingurgita fino a implodere, la propria repressione e, dopo, non vi è più posto per il cibo: si funziona a fame. Può essere persino eccitante, la fame. Ci si può masturbare per ore, pensando a lasagne al forno e tiramisù, pizzette a sfoglia e pasticcini alla crema. Spalanchi la bocca, immaginando che vi atterrino dense colate di cioccolata nera, un fiume di piacere che ti regala più orgasmi che se pensassi al tuo ex. Godi di quel sapore rievocato, godi di non doverla pesare, quella cioccolata, di non dover pensare a quante calorie abbia. Visualizzi orge di cibo e ci sguazzi, finalmente libera.
L’anoressia è un bavaglio. Una stretta sulla bocca che non si limita a non farvi entrare il cibo, ma a non lasciare uscire fuori le emozioni. Ed è anche un tappabuchi: tolta quella esplode tutto, saltano quei delicatissimi, fragili ingranaggi che hanno contribuito a metterla in moto. E’ stato quando questi hanno iniziato a girare che ti ho allontanata, Vita: quando ho trovato nella privazione la risposta a domande poste da tempo, questioni aperte che chiedevano d’essere risolte e trovavano via d’uscita nel conteggio delle calorie. Ho preso tutti i miei vuoti, le mie mancanze e i miei abbandoni e ci ho arredato il tunnel umido e nero in cui mi ero impantanata. Nel mio petto fremevano paure, insicurezze e bisogno di certezze; io ho rilanciato con il controllo del peso. Quel peso che ho tolto ai miei sogni, ai miei progetti e alle mie ambizioni - e intanto ho reso te pesante. La mia Vita. E’ stata la paura a bloccare il tuo fluire dentro me: non credevo di poterne provare tanta - men che meno per la pizza, un tempo il mio cibo preferito, una festa di gioia e spensieratezza miste al profumo del forno a legna. In realtà c’è ben altro, sepolto sotto l’ansia per la farina, l’olio e il sugo. E’ soprattutto il mondo là fuori a farmi paura, credo. La verità è che ho terrore di guardare in faccia i miei sogni che si sgretolano, così lascio che a dissolversi sia il mio corpo. Almeno, di questa disfatta sono io l’artefice. Il cibo non è che un tramite, un cavo da tagliare per interrompere gli scambi con l’esterno, mettersi in stand-by e far calare una cupola di vetro su sé stessi, un po’ come la rosa della Bestia: io sono la rosa e l’anoressia la Bestia incapace di colmare quel vuoto, lasciandomi appassire in attesa che cada anche l’ultimo petalo, isolata in un rifugio a cui sono cresciute le sbarre. E, a furia di non aprire la serratura, ho dimenticato dove ho gettato la chiave - e anche di averla gettata. Eppure, quella che trovo nella fame non è che la tua misera, scialba ombra. Perché tu, Vita autentica, Vita pura, non sei fatta di schemi, regole e limiti autoimposti, né tantomeno di numeri, liste e pianificazioni esasperate. Tu non sei nella paura. Non sei nelle occhiaie, nella faccia smunta e nell’amenorrea.  Tu sei in quel volto che vorrei tanto riavere: nell’espressione serena, nel sorriso rilassato e, soprattutto, negli occhi che brillano nuovamente. Colmi di te.
Sei nell’odore dei pini, nell’innocenza di quelle albe d’estate confortate dall’aroma del caffè e del pane tostato. Sei nella sabbia calda di sole e nell’aria inebriata di mare. Sei su quel palco dove ti ho sentita più forte che mai. E nelle risate senza fiato, nell’uscire dagli schemi, nei programmi che saltano, nel farsi cogliere impreparati. Nei sapori, nel cibo che davvero nutre e appaga. Quello che non controlliamo è proprio ciò che ci tiene in vita: il respiro, i battiti del cuore, le emozioni che proviamo, la natura che ci circonda, i sentimenti che ci legano ai nostri affetti, l’amore che nutriamo verso le nostre passioni. Tutto questo è Vita, tutto questo sei Tu. Voglio accogliere con gioia la liberazione dal controllo, sentirti nella pancia e non scappare. Lo devo alla bambina affamata che c’è dentro di me e che esige nutrimento, cure, esperienze che soddisfino la sua curiosità. Io rispondo con l’elemosina, lascio cadere mezzo centesimo sul piatto per poi tornare ad ignorarla. Lei, però, sta imparando ad alzare la voce. A pretendere ciò che le spetta di diritto. Ed io devo trovare il coraggio di aprire le orecchie.
Mi manchi, Vita. E mi manco anch’io. Mi manca la bambina sognatrice, la ragazza determinata. La voglio riabbracciare e scusarmi per averla spenta e messa da parte. E’ ora di cambiare arredamento a questo tunnel: smontare i quadri, buttare i mobili ricoperti di muffa. Dipingere scenari ricchi di colori e sfumature, piantare fiori e idratarli, nutrirli d’acqua, aria e luce. Perché io lo so che questo disturbo ha scelto la ragazza sbagliata. Se è vero che io non avevo programmato l’anoressia, anche lei non aveva messo in conto me. Deve capire con chi ha a che fare, che posso riaccompagnare gentilmente ma fermamente i miei mostri alla porta, rispedendoli al mittente. Aggrappandomi a te, stringendoti forte. Accettando la fame, i bisogni dell’anima e scegliendo di appagarli. Scegliendo quest’appetito per te.
Non voglio più accontentarmi dell’elemosina.

Roberta

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