lunedì 8 luglio 2019

Lettera a me stessa - Faysa



Ciao, sono io.
Non mi riconosci?
Come? Non sai più chi sei diventata?
Calmati, respira. È tutto ok.
Siamo la stessa cosa, siamo la stessa anima.
Abbracciami.
Respira.

Ti ricordi quella volta, è stata la prima, fuori dalla tua camera, in balcone. Forse era estate, o inizio autunno, e non ricordo perché, ma mi hai abbracciato così forte che non lo dimenticherò mai.
Però ne hai fatte anche di cavolate, eh.
Ma ti perdono. Ti perdono tutto il male, in amore funziona così, giusto? Ed io ti amo incondizionatamente.
Se solo potessi abbattere il muro degli anni che ci dividono, ti farei respirare l’aria che tira qui, per farti assaporare questa libertà che ora non ti è concessa.
Ma ci saranno giorni di sole, te lo giuro, e una luce accecante che fa male agli occhi e illumina ogni cosa e la rende chiarissima.
Lo so cosa stai pensando.
Io so di cosa parli.
Abbiamo lo stesso cuore.
So che ti sembra di vivere in una gabbia, una trappola asfissiante. La prigione che ti sei costruita con le tue stesse mani.
Ma adesso ascoltami, sentilo questo vuoto che ti lacera. Accoglilo, non averne paura. Abbi il coraggio di essere sbagliata, imperfetta.
La voragine interminabile che è ora la tua vita, diverrà uno spazio accogliente per raccogliere i pezzi dei tuoi anni andati in frantumi.
Ma non è colpa tua.
Ascoltami.
Io ti prometto questo: tu un giorno ti sveglierai e il macigno che ti porti dentro sarà lo stesso, ma sarai diventata più forte e in grado di sopportarne il peso.
Credimi.
Un giorno sorriderai ripensando a quando non riuscivi neppure ad alzarti dal letto perché credevi che il mondo lì fuori fosse una minaccia insopportabile. 
Amami più che puoi, ti scongiuro.
Aggrappati forte alla certezza che io sono qui, che non sono un sogno o un miraggio. Sono qui che ti parlo, e ti proteggo e ti sosterrò, per sempre.
Le mie mani sono le tue mani.
Ho lo stesso colore dei tuoi occhi sempre velati di tristezza.
Mi hai fatto del male, è vero. Mi hai punita per anni, mi hai sfregiata, maltrattata, umiliata, derisa, mi hai fatto sanguinare perché credevi che farmi provare ulteriore dolore sarebbe servito a qualcosa.
Hai ferito a morte la tua pelle perché ti illudevi di uccidere quella cosa mostruosa che colonizza corpo, mente e spirito.
Mi hai odiata da morire.
Hai dissacrato quel bene che mattoncino per mattoncino avevo costruito attorno a te, e macchiato in un secondo quella tela perfetta che con estremo sacrificio e cura avevo dipinto nel tempo.
Ma tu resti la mia casa, tu il mio sacro tempio, tu il mio porto sicuro, l’unica vera amica che possa avere.
Da sole, io e te, abbiamo trovato dimensione nel mondo. Sole, noi, in questo mondo, ci siamo plasmate a vicenda. Amore e odio.
E solo io e te sappiamo quanto grande e profonda sia la nostra ferita, che forma abbia il dolore della malattia che ci logora, quale sia il rumore assordante della sua voce, l’assurdo suono delle sue parole.
Ascoltami.
Io lo capisco che ci sono giorni in cui vorresti solo cadere in un sonno perenne, unica dimensione in cui riesci a sottrarti dal peso insostenibile di ciò che senti.
So che non riesci a tollerare l’idea asfissiante di dover trascorrere le ore in compagnia di te stessa, di quella parte di te che si odia.
Ma la combatterai, quella te, la vincerai, te lo prometto, ancora un’altra volta.
Ci sarà un giorno in cui tutto sarà colmo di un senso nuovo. Cambieremo insieme i tuoi occhi vecchi e logori da cui vedi solo in bianco e nero. Rivestiremo la tua pelle, stanca e lacera, sarà la tua nuova splendida corazza. Il male del mondo defluirà sotto i piedi, al di là di tutte le radici dell’odio, dove esiste un posto in cui non dovrai più veder scorrere la tua vita, ma la vivrai. Io ti aspetto qui. 

Faysa


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