lunedì 2 settembre 2019

Ricordi di cadute e ossa



Che dire BuliMia cara,
Mia strada tortuosa, dissestata, buche nascoste dove inciampare e sassi dove sbucciarsi le ginocchia. Cicatrici da indossare in un corpo sempre troppo grande per me. E ancora una volta mi ritrovo in pedi, tumefatta, arrabbiata; molto, molto arrabbiata. E non passa giorno che io non ti pensi, mentre mi asciugo la faccia allo specchio al mattino, dentro i miei passi, attenta a non inciampare ancora.
E ora come allora scriverti fa così tanto male, fa male al cuore, alla testa, allo stomaco, brucia in gola come il reflusso. In 18 anni non mi hai mai lasciata sola, nemica fedele.
Me li ricordo gli psicofarmaci, e tu? Andavamo al liceo. Me lo ricordo il mio sorriso stampato e la rabbia dentro, dietro. Che cos’hai da sorridere? Qui non c’è niente da ridere. Qui c’è da piangere, da urlare, da disperarsi. Qui c’è da soffrire e tu ridi. E io rido.
Mi ero convinta di averti superata, di aver dimenticato tutti questi ricordi e il dolore che si portano dentro. Sbagliavo. Impolverati, ammucchiati comeossa in una fossa, sono gli scheletri nel mio armadio. E li riconosco tutti, uno per uno e li ricompongo come un grande puzzle.
Me lo ricordo il ricovero a Pavia, dicembre 2007. Un mese in clinica, specialisti di ogni genere a rovesciarmi come un calzino, a insegnarmi come avrei dovuto vivere, mangiare, muovermi, senza poter uscire, lontano da casa, sola. Ricordo che fuori era freddo e spesso c’era la nebbia, ricordo che il giorno di Natale vennero a trovarmi mamma e papà e potemmo fare finta di essere al ristorante, ricordo lo sforzo per sembrare felici.
Questo femore va con questo bacino, in fondo a questo rachide... e pian piano uno scheletro prende forma.
Ricordo il palloncino intragastrico, il B.I.B. Rovereto 2010, le complicanze dell’intervento, e il virus intestinale.  Persi quasi 10 chili in quei 10 giorni, poi non ne persi quasi più. E tu lo sai il perché Mia cara, vero? La mia abilità nell’eludere il sistema di sorveglianza di quel corpo estraneo, poche quantità, frequenti, semiliquide.
Ricordo il senso di colpa quando la Dietista del centro per i disturbi del comportamento alimentare di Ravenna mi dimise, dopo il fallimento del B.I.B, avevo 26 anni. Ricordo quando mi disse “Abbiamo provato tutto il possibile, sei diventata grande, non possiamo più fare niente per te.” Di quella frase ricordo il tono, e non mi ferì la dimissione, il senso di abbandono, no. Mi ferì la sua tristezza, credo che quel medico, ma prima di tutto quella donna che mi aveva vista fallire per nove anni, credo che lei stesse in qualche modo soffrendo con me.
E poi qualcosa è cambiato. Nel momento in cui mi sono sentita sola con te, allora ho cominciato a guardare la strada. Ho camminato un passo alla volta, pian piano ho alzato la testa e iniziato a conoscermi, riconoscermi, scoprirmi e ricostruirmi. Quello che ora so per certo Mia cara, è che io esisto e resisto. Nel mio cammino ho avuto la costanza di non mollare mai la psicoterapia, maniglione di sicurezza. Dovevo vedere il tuo viso e non solo quel ghigno incappucciato che per anni mi ha spaventata. Dovevo guardarti negli occhi per riconoscervi i miei.
E ora che ho disegnato una mappa, che riconosco i sassi, le buche, ora che non sono più quella che ero e che non puoi più farmi così tanto male, resta. Resta perché quelle ossa ammucchiate sono scheletri interi e sotto la luce degli occhi aperti non fanno più tanta paura. Resta per ricordarmi quei giorni, non come una tortura ma come una vittoria. Resta perché io ho intenzione di restare a ridere, ma a ridere davvero.

F. C.


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