sabato 21 dicembre 2019

Lettera al Paese delle Meraviglie


Cara Anoressia,
Forse rimarrai sorpresa dal mio tono tutt’altro che perentorio e adirato, dato che sai dell’enorme inganno in cui mi hai tratto e della profusione di lacrime che mi hai fatto versare. Ma l’autocontrollo è un’abilità che mi hai insegnato tu, ricordi?
Ho una certa difficoltà a esprimermi con te, poiché fin dall’inizio abbiamo coltivato il nostro rapporto clandestinamente, come pirati legati da un’alleanza per organizzare un ammutinamento contro il capitano. Sussurri, sorrisi falsi, cenni d’intesa dietro lo scaffale di un supermercato. E forse non ti ho mai parlato direttamente perché non ero consapevole della tua presenza nella mia vita, all’inizio.
Il nostro, in realtà, era un mondo a parte. Un mondo dove le inibizioni e i castighi erano all’ordine del giorno, dominato dalla potenza quasi sacra delle tabelle nutrizionali. Un mondo in cui tu avevi creato la terra dove camminare, e io con le mie lacrime avevo formato gli oceani dove avevi intenzione di affogarmi.
A prima vista quel pianeta mi era parso un luogo perfetto, sede di sicurezza, ordine, controllo. Tutto ciò di cui io avevo bisogno. Ma l’euforia del momento mi aveva distratto dal fatto che il pianeta che avrei dovuto raggiungere fosse molto più piccolo della Terra. Talmente piccolo che per accedervi avrei dovuto rimpicciolirmi come Alice quando bevve la pozione che le avrebbe permesso di attraversare la porticina dalla quale era sparito il Bianconiglio.
«Bevimi», dicevi, «Sarai perfetta, vedrai, e finalmente una volta per tutte non sarai ignorata, perché la gente guarderà le tue cosce che non si sfioreranno, le clavicole sporgenti sotto la canottiera e le vertebre che riaffioreranno alla pelle come germogli in primavera. Sarai la migliore, perché sarai forte, fiera e tenace come un leone. Non mi deludere.»
Alla fine del leone avevo solamente la peluria in cui il mio corpo era avvolto, eppure suonava tutto così auspicabile nella mia testa.
Tuttavia, quelle parole non durarono più di quattro mesi. La vera Beatrice non voleva che il suo destino fosse quello di annullarsi in una gabbia conta calorie, anche se quelle sbarre la separavano dalla fatica, dalle responsabilità, dalla sua identità che ormai credeva di aver perso sotto le macerie del disastro. Anche se essere intrappolata in un corpo da bambina la illudeva di poter rimanere tale.
Sei stata il silenzio alle domande della gente che mi chiedeva come mai non mangiassi, il silenzio che mi imponevo di rispettare nel momento in cui tentavo di redimere la mia anima dal crimine di essermi nutrita; il rimprovero più devastante che abbia mai ricevuto, un dito davanti alla bocca per ignorare i miei bisogni primari e distruggere la mia persona come fosse stata un castello di carte in cui Tu eri la Regina di Cuori che mi perseguitava.
Nonostante ciò, ti devo ringraziare, perché se con la nascita una persona parte alla scoperta della vita, con la rinascita si apprende la bellezza in essa racchiusa. Dopotutto le storie degne di essere raccontate necessitano di un’antagonista, altrimenti esse nemmeno esisterebbero, e mentre nelle fiabe la matrigna cattiva è vista esclusivamente con risoluta ostilità, nella vita reale anche le disgrazie peggiori possono lasciarci qualcosa di positivo. Le cicatrici non sono solo simboli di guarigione, ma anche promemoria a tempo indeterminato del nostro coraggio, e ti sarò eternamente grata per esserlo: ora sei solo uno dei tanti libri di fiabe che conserverò negli scaffali del mio passato. Adesso è giunto il momento di scrivere il presente sognando il futuro che desidero vivere oltre la pura e semplice sopravvivenza.
Con affetto,
Beatrice

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