domenica 22 marzo 2020

Soffrire "dentro" ai tempi del coronavirus


                                              Ph. Credits: Tatiana Mura


Anche quest’anno, è arrivata, puntuale la primavera: mandorli e peschi in fiore, il primo tepore, il coro degli uccellini… Ma non ce la possiamo godere appieno, perché, reclusi in casa, siamo tutti in quarantena forzata da diverse settimane ormai. La vita quotidiana sembra stravolta, non c’è più tempo per correre, per uscire, per festeggiare.
Bisognava fermarsi: lo dovevamo alla terra, lo dovevamo a noi stessi, sempre troppo occupati da una sfinente routine, ossessionati dal fare e dimentichi dell’importanza di ciò che davvero è importante, il nostro ben-essere psico-fisico.
Nonostante i segnali d’allarme, siamo andati avanti imperterriti, a tutta velocità, come treni in corsa.
Bisognava fermarsi per evitare lo schianto, per evitare il collasso. D’improvviso, stop.

Messi alle strette e privati delle nostre libertà, iniziamo solo ora a renderci conto del valore di tante piccole cose, di tanti gesti, piccoli ma infinitamente preziosi, come una stretta di mano o il rito del caffè al bar, una passeggiata al mare o l’abbraccio di un caro amico; già, è proprio vero che si comprende il vero valore di una cosa solo quando ci viene sottratta. E allora il rimpianto che ne consegue può essere un prezioso monito, se lo sappiamo elaborare, se possiamo trasformarlo in un insegnamento utile per vivere un domani migliore.

Pur con il massimo rispetto per tutte le persone che lottano tra la vita e la morte e con cordoglio per tutte le vittime di questa drammatica pandemia, in questo momento non riesco a non fermarmi a riflettere su quanto ancora invisibile, impercettibile, sia la sofferenza psichica. Che la salute mentale sia considerata una salute di “serie B” lo andiamo costatando già da molto, purtroppo. Ma che nessuno in quest’emergenza collettiva si stia occupando e pre-occupando di chi è preda di una sofferenza interiore, viscerale, spesso invisibile ad occhio nudo, è un’altra amara constatazione che mi ritrovo a fare in questi giorni.
Penso a tante e diverse forme di disagio, soprattutto, alla violenza domestica, ai disturbi psichici e psicosomatici, alle disabilità -fisiche e psichiche- che cozzano contro le misure restrittive a cui tutti, indistintamente, siamo sottoposti in queste settimane e per un tempo non ancora ben definito. Restare h24 con le proprie difficoltà e con quelle di chi ci si ritrova accanto, è una sfida a cui molti non erano preparati e purtroppo poi quando si sta male chiedere aiuto può essere tremendamente difficile.
Stiamo tutti vivendo un terremoto emotivo che ci lascia nudi di fronte alla nostra vulnerabilità di esseri, e di essere, umani in questo pianeta chiamato terra. Per fronteggiare quest’emergenza, siamo tutti (chi più e chi meno) chiamati a gestire un importante carico emotivo, ognuno all’interno delle proprie mura domestiche, mentre cerchiamo disperatamente un modo per alleggerirlo, per renderlo un po’ più tollerabile e un po’ meno doloroso.
Se solo ci rendessimo conto di quanto importante è restare in contatto con tutte queste emozioni represse, che si scatenano e ci mandano in subbuglio.
Se solo imparassimo a fare loro spazio e ad ascoltarle con pazienza e attenzione, smettendo di trascurarle, di trascurarci.
Se solo comprendessimo che il senso più profondo di questa battaglia contro un minuscolo ma pericolosissimo virus è in noi, siamo noi, e che l’unica possibilità che abbiamo per sconfiggerlo è riprenderci la nostra umanità, il nostro essere fragili e vulnerabili, “semplicemente” e “imperfettamente” umani. Pensiamo sempre che a noi no, non toccherà, e stiamo imparando invece che potrebbe toccare proprio anche a noi o ad uno dei nostri cari: ché la sofferenza non guarda in faccia nessuno, arriva e traccia segni indelebili, arriva e lascia preziosi insegnamenti, arriva e talvolta, purtroppo, se ne va portando con sé chi cade nella sua trappola.

Sarà che l’ho imparato in 10 lunghi anni di lotta contro un altro mostro, il disturbo alimentare (senza dubbio meno letale e non contagioso come il coronavirus, ma altrettanto subdolo e diffuso) che lentamente ti spegne, ti isola e ti allontana dalla vita e dai tuoi cari ogni giorno un po’ di più, ma non riesco più a tollerare che si volti lo sguardo alla sofferenza, di qualunque natura o entità essa sia. Tutti meritiamo rispetto, meritiamo attenzione, meritiamo assistenza e meritiamo amore, anche a distanza.

La quarantena non è una vacanza, né un tempo immobile e sterile: è certo una misura preventiva e contenitiva, ma è soprattutto un’occasione preziosissima per restare in noi, con noi, per guardarci dentro e ascoltarci, per guarire le ferite che ci portiamo dentro da troppo tempo e che a lungo ci siamo illusi di poter ignorare, trascurare, persino dimenticare. E’ il momento di fare di necessità virtù…se non ora, quando?
In ognuno di noi c’è qualcosa di irrisolto, di inascoltato, di doloroso, con cui dover fare i conti e liberarsi da qualunque male, da qualunque ferita, da qualunque malattia implica sempre un faticoso lavoro di ri-elaborazione e di ri-scoperta di se stessi, che passa prima di tutto attraverso l’ascolto; l’unica vera “arma” che ci permette di capire e di ritrovare chi siamo veramente, quell’identità più pura che il male, la malattia, il dolore, sembrano averci strappato di mano.
La sofferenza assume un valore se ci orienta a costruire, a ri-costruirci, a crescere nel nostro rapporto con l’“io” e con l’altro.
La sofferenza va accolta, non ostentata.
Il dolore va elaborato, non represso.
L’anima (non solo il corpo) va nutrita, non soffocata.

Vorrei ricordarla così questa quarantena, come il tempo del silenzio e dell’ascolto, del ricordo e della crescita, del contatto intimo e degli affetti ritrovati e fortificati.

R-esistiamo.
Lo sconforto, l’incertezza e la paura passeranno.
Torneremo ad avere le nostre libertà e le abbracceremo con più ardore che mai.
Torneremo a sorriderci, a stringerci la mano, ad abbracciarci e lo faremo con più consapevolezza e umanità di prima.
Ne usciremo, perché prima o poi quest’emergenza finirà. E ne usciremo tutti più umani.
Ma nel frattempo non smettiamo di volerci bene e, soprattutto, di dircelo. Per dirci l’amore che proviamo, ogni momento è quello buono: anche domani, anche oggi, anche adesso.

Sandra




 

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