lunedì 24 agosto 2020

Urlate contro la malattia

 


Quando mi ammalai 5 anni fa mi ritenevo la persona più determinata e forte dell'universo, sapevo fare ciò che nessuno era in grado di fare: non mangiare. Riuscivo a sopravvivere senza toccare il nettare vitale degli altri uomini, come fossi una divinità, una potenza imbattibile. Iniziai a prendere distanza dal resto del mondo, dalla società, dal cibo e anche da me stessa come se fossi planata su Marte con l'anima e la testa, mentre il corpo vuoto e inerme rimaneva sulla Terra privo di ogni motivazione, passione, sentimento. Iniziai a circondarmi virtualmente di persone che approvavano le mie idee e addirittura mi davano consigli, pensavo di aver trovato le amiche vere e sincere che mi mancavano, diventai completamente una loro schiava, un burattino che potevano manovrare come meglio credevano. Le giornate passavano senza che io me ne accorgessi, il momento più bello era la sera quando mi pesavo e vedevo il numero scendere, la gioia si impossessava di me e mi spingeva a fare sempre di più: correre di più, ridurre di più,mentire di più. Non mi accorgevo che passo dopo passo mi avvicinavo al baratro, al confine che separava la vita dalla morte, la caduta definitiva dalla speranza di poter risalire, vedevo le facce delle persone che mi circondavano cambiare quando si avvicinavano e io interpretavo i loro sguardi terrificati come invidiosi, io stavo vincendo e loro perdenti non riuscivano neanche a partire, ero un'illusa.
35 chili, lacrime, urla e crisi isteriche, ma io dentro sapevo che avevo un obiettivo molto lontano ancora e non avrei mollato, mai, ero una vincente e dovevo dimostrarlo a me stessa, agli altri, all'intera galassia.
Cinque anni dopo, mi guardo indietro, spesso mi manca quel corpo, quella sensazione di onnipotenza, gli sguardi degli altri sempre addosso, mi sentivo desiderabile e capace di qualcosa per la prima volta nella mia vita, la malattia mi aveva regalato un'identità che credevo di non avere, poi apro gli occhi, accendo la lampadina della razionalità e realizzo quanto quel brodo di giuggiole in cui mi sentivo immersa era fittizio, falso, meschino. Ho perso tutto, ho lasciato la mia esistenza in stand-by per tanto, troppo tempo, ho smesso di leggere, di imparare, di uscire, di ridere, di sentire emozioni, di esperire e ora mi sento, a 18 anni, come una bambina di 14, che non ha una struttura, che deve ancora crescere, ma in realtà sono già cresciuta.
Vorrei urlare di chiudere le porte quando l'anoressia inizia a bussare, perché ti penetra nel corpo e ne occupa ogni atomo, divorando tutte le energie e gli istinti presenti, sostituendoli con odio, rabbia, fame di vittoria (una vittoria mortale e irraggiungibile).
Quanto è vile la malattia, ama giocare facile, vincere facile colpendo anime deboli e disarmate, adesso ogni qualvolta che affronto e distruggo una molecola del disturbo sostituendola con una molecola di Annalisa, spirito e corpo, lei cerca di chiedere la rivincita, con colpi bassi e costanti, ma io non sono più il dio invulnerabile che credevo di essere, io sono una persona di carne e ossa, con debolezze, difetti, ma tanta anima, cuore, testa, ora lo so, sono vulnerabile e posso munirmi di pazienza e volontà per domare il mio temperamento sofferente, ma non darò più il volante in mano a lei.
Non è ancora morta, anzi, è viva, si fa sentire, ma è più piccola e dentro di me la persona che sono diventata sta cercando di spaventarla e pian piano la sta cacciando, riconquistando terreno per arrivare in cima e piantare la bandierina "Annalisa".
Urlate contro la malattia, vivete, uccidetela. La malattia non è la tua persona, ho creduto anche io di essere zero senza lei, di essere stupida e brutta e di aver bisogno di lei per essere qualcuno, a volte ci credo ancora adesso, poi osservo la mia vita ora, vuota e scarna a causa delle possibilità che mi sono sfuggite dalle mani, allora mi autoconvinco che senza malattia non sono nessuno, per adesso, ma sono un foglio bianco su cui dovrò lentamente dipingere il quadro della mia personalità, cosa che avrei dovuto fare tanto tempo prima. Non voglio più colori rigidi e freddi come nero e grigio, voglio usare tempere rosse come il fuoco, verdi come gli alberi, gialle come il sole, arancioni come le albicocche, marroni come il cioccolato e  creare una miriade di tele profumate, vivaci e intense che possano contenere pensieri, idee, progetti, obiettivi da appuntare sopra giorno dopo giorno.

Annalisa

 

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