martedì 18 gennaio 2022

Il dolore toglie, ma se lo ascolti, il dolore dona - Laboratorio del 11 gennaio


Nel laboratorio di questa stasera si è parlato molto delle dinamiche che la malattia del comportamento alimentare crea. Dinamiche che sappiamo quanto destabilizzano la comunicazione dell’interno della famiglia. Dinamiche che il periodo festivo appena concluso ha messo maggiormente  in evidenza, facendo vivere le festività in un clima spesso carico di tensione per la paura di dire o fare la cosa sbagliata. 
Qualcuno ha festeggiato questo periodo natalizio solo tra i membri più stretti della famiglia per soddisfare le richieste della figlia/o che voleva proteggersi dai parenti che a volte si lasciano andare inconsapevolmente a commenti un po’ troppo spontanei che possono fere chi soffre di una malattia del comportamento alimentare (come ti vedo bene…oppure, ma non lo mangi il primo?…. ). Dietro a questa richiesta che apparentemente può apparire banale, si nasconde un aspetto importante da non trascurare: ovvero, il riuscire a individuare quelle situazioni o persone che possono scatenare i meccanismi della malattia. Questa consapevolezza può essere la base per imparare a vedere le dinamiche della malattia e conseguentemente imparare a gestire l’ambiente intorno in modo da proteggersi. Spesso i genitori non riescono a intravedere questi passaggi perché ne sono direttamente coinvolti e influenzati, quasi impossibilitati a estrapolarne invece il significato che tali aspetti portano. Finiscono anche per dimenticare di pensare a se stessi perché il loro pensiero principale (che è umanamente comprensibile) è focalizzato solo sul fare stare bene i propri figli.

La domanda che più frequentemente viene posta e’: “Cosa posso fare per aiutare mia figlia o mio figlio”? E la risposta che spesso viene data e’: “ Aiuta prima te stessa/o”. Una domanda che sorge quando la famiglia si trova a convivere con i rituali della malattia in un contesto di “routine quotidiana” (ovviamente non in situazioni in cui la patologia è a un livello di ricovero ospedaliero). La risposta che ne consegue è talmente ovvia e banale da sembrare di non aver colto il problema. Ma quanti sono i genitori che, assorbiti dalle dinamiche della malattia, hanno smesso di porre attenzione alle proprie emozioni, ai propri bisogni, al proprio tempo? Una volta una mamma aveva condiviso il suo sentirsi in colpa per aver provato gioia nel guardare delle vecchie fotografie in cui era stata in villeggiatura e per desiderare una vacanza. “ Ma come, mia figlia sta male e io penso ad andare in vacanza? Ma che madre
sono” ? Verrebbe da rispondere, una mamma che prova dei sani desideri naturali.

Anche se già detto più volte, la malattia del comportamento alimentare non comunica attraverso le parole, ma comunica attraverso i simboli e il corpo. Questo vuol dire che se si vuole comunicare qualcosa ai propri figli, bisognerebbe farlo mostrando i fatti e facendo da esempio. Se si desidera spronare la propria figlia o figlio a prendersi cura di sé, se li si vuole esortare a uscire di casa, non è dicendoglielo a parole che li si aiuta. Bisognerebbe essere i primi a prendersi cura di sé stessi, a uscire di casa. Perché la malattia del comportamento alimentare ragiona anche attraverso il pensiero dicotomico del tutto o del nulla, del bianco o del nero, il grigio non esiste. I genitori sentono emozioni molto intense e vorrebbero risolvere la sofferenza che la malattia riversa sui figli. Lasciare che i figli vivano il loro dolore è tra le cose più difficili che un genitore è chiamato a fare, ma è necessario per permettere a loro di risentire il desiderio di vivere. 

La malattia del comportamento alimentare è anche portatrice di un cambiamento che spaventa, i genitori potrebbero temere di perdere quel legame affettivo che li ha tenuti insieme nei momenti essenziali della crescita. La famiglia diviene al contrario una risorsa fondamentale nel momento in cui decide di mettersi in gioco totalmente chiedendo aiuto e affrontando una psicoterapia familiare che le permette da una parte di acquisire gli strumenti adatti per capire e gestire le dinamiche familiari, e dall’altra di collaborare col terapeuta affinché il cambiamento avvenga in modo sincrono con quello dei propri figli. La malattia del comportamento alimentare spesso si manifesta in un momento preciso che determina un arresto del processo evolutivo della persona interessata. Alla base c'è un trauma, che non significa che sia accaduto qualcosa di particolarmente grave (anche se lo è per chi lo ha vissuto). Il più delle volte alla base c'è un modo distorto di percepire ciò che accade intorno a sé. Molte volte i genitori sono preoccupati nel vedere che la sintomatologia si intensifica, tralasciando quelli che possono essere dettagli importanti: riprendere gli studi, rifrequentare gli amici, progettare una mini vacanza, telefonare a un’amica con cui non ci si sentiva da tempo. Per questo potrebbe essere importante per la famiglia accogliere e costruire un nuovo modo di relazionarsi e stare insieme.

La frase della settimana: IL DOLORE TOGLIE, MA SE LO ASCOLTI, IL DOLORE DONA

2 commenti:

  1. Buon giorno ho letto tutto attentamente avete scritto che può essere scatenato da un trauma ma non ce ne sono stati dovrebbe essere contenta non le manca niente né in termini economici che affettivi se non fosse così come facciamo a capire dove sbagliamo se sbagliamo. Abbiamo parlato ma continua a dire che neanche lei sa da cosa sia dovuta e vorrebbe guarire. Sono anni che va avanti così che terapie libri siti ci sono se avete consigli spiegazioni qualsiasi cosa è è apprezzata purché si esca da questa malattia grazie. Saluti Matilde.

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