venerdì 27 gennaio 2017

Condivisione




In questi giorni ho sperimentato l'importanza della condivisione. Premetto che il mese appena passato è stato, a livello emotivo, un po' pesante. Perché io ero pesante. Mi sono caricata di pensieri, doveri, corse contro il tempo, responsabilità, sensi di colpa, mancanza ( si! questo è stato anche il primo Natale senza mio padre). Mi sono voluta tenere ogni cosa dentro di me...o meglio....ho voluto caparbiamente trattenere tutto dentro di me, con la illusoria speranza che  questo potesse proteggermi e colmare eventuali vuoti, eventuali assenze. Eppure...razionalmente sapevo che non è  con le paure  ne' tantomeno con i pensieri o la tristezza che si riempie il vuoto. Anzi, caso mai lo si amplifica ancora di più. Eppure, una forza più grande di me ha voluto abbandonarsi a tutto questo...Ho voluto abbandonarmi alla mia sofferenza. Guarire dal disturbo del comportamento alimentare non vuol dire che non si soffre più. La sofferenza fa parte della vita. Guarire dal disturbo del comportamento alimentare vuol dire imparare a gestire le proprie paure in modo diverso da quello che è il rifugiarsi o tenersi lontano dal cibo. E questa dinamica, che ho potuto vedere ancor più chiaramente in questo periodo, non fa più parte di me. Sì, ora ho ben capito il perché ho voluto abbandonarmi al mio star male: volevo vedere quanto io potevo realmente considerarmi guarita dall' anoressia e bulimia. Spesso vengo a contatto con storie di ragazze e genitori che stanno affrontando, giorno dopo giorno, la malattia. Ogni volta, è un andare a riaprire vecchie ferite. Le guardo, le osservo, le riconosco e, con un profondo lavoro su me stessa, cerco di disidentificarmi da loro. Questo disidentificarmi, questo prendere la giusta distanza, mi permette di vedere la sofferenza dell'altro, e non la mia. E quindi, non proiettando la mia storia, riesco a rimanere più lucida e presente. È chiaro che non sono una wonder woman, e non sempre riesco a proteggermi dal dolore che mi arriva.

Ritornando alla parola che ho usato all'inizio, condivisione, ebbene...ho potuto verificare su me stessa il potere che ha questa semplice parola. Sto facendo una scuola specializzata nelle relazioni di aiuto. Ho avuto la grande opportunità di poter condividere con i miei compagni e i miei docenti le paure, gli stati d'animo e le difficoltà di questo periodo. Mentre parlavo, sentivo alleggerirmi sempre di più. Era come se tutto ciò che avevo trattenuto dentro di me finalmente potesse uscire allo scoperto, lasciandomi una sensazione di grande leggerezza. Il mio bel carico pesante si è lentamente dissolto. Mi è venuto da pensare all'etimologia della parola con - divisione.

Ciò che è divisione insieme al con diventa un' unione. È come un seme. Se questo seme lo tieni dentro di te, non riceve ne' acqua, ne' luce..è senza nutrimento..non gli permetti di germogliare, non gli permetti di fiorire. Questo mi ha fatto ricordare tutti gli anni trascorsi nella malattia in cui non ho permesso a nessuno di condividere qualcosa con me. Ho cominciato a non condividere le emozioni, le paure....il cibo.....Ho trattenuto tutto dentro di me, lasciando gli altri fuori... Per anni, non mi sono permessa di far germogliare i semi dentro di me. Li ho trattenuti, soffocati, e quando era troppo, li  ho "vomitati", per poi ricominciare a trattenere dentro e via, via, via, come in una spirale così..ogni giorno, sempre di più.... Un'anima pesante in un corpo etereo.

Se in questo momento qualcuno mi domandasse cosa è per me la felicità? Cosa è per me vivere?

Non posso che rispondere che per me la felicità è il poter condividere con gli altri. Non siamo nati per trattenere. Per stare soli. Siamo nati per dare e ricevere. Siamo nati per vivere e condividere.

Francesca

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