In
questi giorni ho sperimentato l'importanza della condivisione. Premetto che il
mese appena passato è stato, a livello emotivo, un po' pesante. Perché io ero
pesante. Mi sono caricata di pensieri, doveri, corse contro il tempo,
responsabilità, sensi di colpa, mancanza ( si! questo è stato anche il primo
Natale senza mio padre). Mi sono voluta tenere ogni cosa dentro di me...o
meglio....ho voluto caparbiamente trattenere tutto dentro di me, con la
illusoria speranza che questo potesse
proteggermi e colmare eventuali vuoti, eventuali assenze.
Eppure...razionalmente sapevo che non è
con le paure ne' tantomeno con i
pensieri o la tristezza che si riempie il vuoto. Anzi, caso mai lo si amplifica
ancora di più. Eppure, una forza più grande di me ha voluto abbandonarsi a
tutto questo...Ho voluto abbandonarmi alla mia sofferenza. Guarire dal disturbo
del comportamento alimentare non vuol dire che non si soffre più. La sofferenza
fa parte della vita. Guarire dal disturbo del comportamento alimentare vuol
dire imparare a gestire le proprie paure in modo diverso da quello che è il
rifugiarsi o tenersi lontano dal cibo. E questa dinamica, che ho potuto vedere
ancor più chiaramente in questo periodo, non fa più parte di me. Sì, ora ho ben
capito il perché ho voluto abbandonarmi al mio star male: volevo vedere quanto
io potevo realmente considerarmi guarita dall' anoressia e bulimia. Spesso
vengo a contatto con storie di ragazze e genitori che stanno affrontando,
giorno dopo giorno, la malattia. Ogni volta, è un andare a riaprire vecchie
ferite. Le guardo, le osservo, le riconosco e, con un profondo lavoro su me
stessa, cerco di disidentificarmi da loro. Questo disidentificarmi, questo
prendere la giusta distanza, mi permette di vedere la sofferenza dell'altro, e
non la mia. E quindi, non proiettando la mia storia, riesco a rimanere più
lucida e presente. È chiaro che non sono una wonder woman, e non sempre riesco
a proteggermi dal dolore che mi arriva.
Ritornando
alla parola che ho usato all'inizio, condivisione, ebbene...ho potuto
verificare su me stessa il potere che ha questa semplice parola. Sto facendo
una scuola specializzata nelle relazioni di aiuto. Ho avuto la grande
opportunità di poter condividere con i miei compagni e i miei docenti le paure,
gli stati d'animo e le difficoltà di questo periodo. Mentre parlavo, sentivo
alleggerirmi sempre di più. Era come se tutto ciò che avevo trattenuto dentro
di me finalmente potesse uscire allo scoperto, lasciandomi una sensazione di
grande leggerezza. Il mio bel carico pesante si è lentamente dissolto. Mi è
venuto da pensare all'etimologia della parola con - divisione.
Ciò
che è divisione insieme al con diventa un' unione. È come un seme. Se questo
seme lo tieni dentro di te, non riceve ne' acqua, ne' luce..è senza
nutrimento..non gli permetti di germogliare, non gli permetti di fiorire.
Questo mi ha fatto ricordare tutti gli anni trascorsi nella malattia in cui non
ho permesso a nessuno di condividere qualcosa con me. Ho cominciato a non
condividere le emozioni, le paure....il cibo.....Ho trattenuto tutto dentro di
me, lasciando gli altri fuori... Per anni, non mi sono permessa di far
germogliare i semi dentro di me. Li ho trattenuti, soffocati, e quando era
troppo, li ho "vomitati", per
poi ricominciare a trattenere dentro e via, via, via, come in una spirale
così..ogni giorno, sempre di più.... Un'anima pesante in un corpo etereo.
Se
in questo momento qualcuno mi domandasse cosa è per me la felicità? Cosa è per
me vivere?
Non
posso che rispondere che per me la felicità è il poter condividere con gli
altri. Non siamo nati per trattenere. Per stare soli. Siamo nati per dare e
ricevere. Siamo nati per vivere e condividere.
Francesca
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