È rannicchiata sul letto, le ginocchia al petto e le braccia distese lungo i fianchi, il volto girato a destra. Il suo sguardo assente è fisso sul muro, quasi volesse penetrarlo e scappare via, guarda il nulla e tutto. Si stringe con forza il ventre, vorrebbe spezzarsi a metà, lasciare lì quelle gambe pesanti, aprire la porta-finestra e poter fluttuare tra le nuvole grigie di quella giornata uggiosa. Ma la porta-finestra è chiusa, le tende non lasciano passare nemmeno quei pochi raggi di luce che sfuggono alle masse gonfie delle nuvole, e lei è lì intera, spezzata dentro. Non può fare a meno di sentire quella voce spessa e possente che dai visceri le urla e le dice di uscire, perché lei ha fame. Esce. Questo è il suo vuoto, lo sente nelle gambe, pesanti ma vuote al tempo stesso. Vorrebbe lasciarle lì quelle povere gambe, bastarde, che camminano sole, orchestrano i passi. Vorrebbe tornare indietro, cambiare strada ma loro continuano imperterrite la loro folle corsa. Questo è il suo vuoto, che riempie con massi pesanti, mastica lentamente questo piombo che si è portata alla bocca. Ingoia velocemente e sente quel vuoto che voleva colmare ingigantirsi. Il masso continua a scendere, le gambe sempre più pesanti, non riesce più a muoverle. Quelle povere gambe, bastarde, la bloccano lì dove è.
Lei non ha memoria di un mattino leggero, di un mezzogiorno spensierato, di una notte tranquilla. Ricorda solo la persistente oscillazione dei suoi folli pensieri, le sue traballanti decisioni, mascherate da ferme prese di posizione per un futuro che non esiste. Quel “da domani” che maledettamente ritorna come un pendolo a prendere a schiaffi la stessa fermezza col quale viene pronunciato; è una culla di morbida seta che la accarezza, le dà l’illusione di una totale ma fulminea felicità, prima di scaraventarla di nuovo nel baratro della realtà.Eppure, l’aveva scritto di non farlo più. Quella piccola agendina blu era un pozzo dal quale qualsiasi persona avrebbe potuto pescare l’ordine e il rigore con i quali organizzava il ritmo delle sue giornate. Appena posati sulla pagina, quei pochi grammi di inchiostro imperavano su qualsiasi cosa, persino sulle sue volontà. Quelle righe a penna nera orchestravano le sue giornate, vigili inesperti in un traffico confuso di azioni illogiche. E poi bastava un imprevisto, un evento che non doveva accadere perché fuori dal programma, ed ecco che tutti i semafori dell’incrocio diventavano verdi di colpo, simultaneamente, e le auto sfrecciavano nelle loro direzioni, incuranti di chi avessero davanti, di fianco, dietro. Lei stava lì, nel mezzo di quel groviglio che lei stessa aveva creato tracciando linee troppo dritte, immobile e incapace di spostarsi per mettersi in salvo.
Sofia
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