C’era qualcosa di misterioso, di insidioso in me; un qualcosa di inafferrabile, impalpabile, eppure così oppressivo. La mia mente mi diceva che quel “qualcosa” non era altro che “vuoto” da colmare ma tutto ciò che ho fatto è stato generare altro vuoto dentro di me: “non mangiare”, “corri”, “non fermarti difronte alle emozioni, accelera, fuggile”, sono stati i miei motti, e in un certo senso lo sono ancora oggi. Perché la mia mente lo percepiva un “vuoto”? E perché ancora tutt’oggi, dopo 5 anni di autolesionismo ininterrotto continua a farlo? Cos’è il “vuoto” se non la parte complementare del “pieno”, se non il suo opposto e quindi la sua definizione? Cera un qualcosa di misterioso dietro quella porta, tra gli scheletri nell’armadio, qualcosa che attrasse sempre più il mio interesse. Giorno dopo giorno quel mistero alimentava la fame di me, era la mia forza: più quel numero decresceva in modo indiretto rispetto alle ossa che sporgevano e maggiore era l’adrenalina che scorreva nelle mie vene. Velocemente sono precipitata nel vortice, senza accorgermene, orgogliosa e fautrice di un’onnipotenza inesistente. Si stava generando troppo vuoto intorno a me, o forse era quello che io stessa lasciavo tra me e gli altri; c’eravamo solo io e la malattia. La “piccola Alice”, un giorno stanca dei digiuni iniziò a mordere dei piccoli biscottini invitanti (<<eat me>> sembravano sussurrarle insistentemente) e osservò che attimo dopo attimo la sua ombra diventava sempre più imponente. Non poteva di certo continuare quello strazio, quelle privazioni eterne, così trovò un compromesso che apparteneva allo stesso mostro che era l’anoressia, fatto di vuoti affamati e “full” disgustati che trasformarono la routine del cibo in un immancabile appuntamento notturno. Ora siamo in 4, il cerchio si allarga pur restringendosi: ci sono io, le due facce della malattia e il bagno. All’improvviso quest’estate qualcosa cambiò: come un angelo qualcuno scese accanto a me, senza parlare, solo essendo presente mi ha dato un input vitale, riuscivo addirittura a percepire piccoli crampi di fame di vita. Fu l’ennesima illusione. Ormai mi trovo qui, nel labirinto di specchi che mi confonde e mi rimanda immagini slabbrate e deformate; ovunque mi trovo non so dove andare, sento echi, e poi fruscii e vedo ombre correre affianco a me. Mi fermo, senza possibilità di cambiare, cammino, sperimentando nuove mete, forse ancora troppo lontane da quella che è la bramosia di vita. Mi sono preclusa di vivere, ed ora tutto è passato senza essere stato vissuto, continuo a precludermi di vivere il presente divorando me stessa e rigettandomi nell’angolo più squallido e deserto, senza un passato adolescenziale, senza un presente e con un futuro inafferrabile e indefinito. Tu che stai leggendo non sei sola, tu che stai scrivendo non sei sola, tu che stai ascoltando non sei sola; tu, non sei né bianco né nero, sei tu: luce che riflette ogni colore e fortezza di ogni sfumatura di cui sei ignara. Tu, si proprio io, proprio tu che stai lottando la mia stessa battaglia, tu che non hai mai avuto tutto ciò come nemico ma che ne hai molti altri; noi…siamo nero sbiadito fino al blu protettore, angeli lilla speranza, fino al bianco puro e vergine. Abbi il coraggio di osare, abbi la forza di vivere; perché tu sei.
Giorgia
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