lunedì 31 luglio 2017

Prendersi per mano.


Quando nel 2014 fu indetto il concorso letterario "Mi nutro di parole" dall'associazione Mi Nutro di Vita, ne rimanemmo piacevolmente colpiti.
Scrivere può essere un vero e proprio strumento terapeutico.
Per questo motivo, invitammo alcuni nostri pazienti a partecipare al concorso letterario e, aver letto successivamente il loro racconto tra le pagine del libro, fu per noi una grande gioia e un motivo di orgoglio. 
Di questo prezioso volume acquistammo subito 2 copie: una per noi ed una da prestare ai pazienti. Infatti, accade spesso che le persone con un disturbo alimentare vivano una condizione di "ambivalenza". Attraverso l'ambivalenza, da un lato desidererebbero un cambiamento, vorrebbero curarsi e liberarsi dal dolore provocato dalla propria malattia.
Dall'altro lato, invece, nutrono una grande paura del cambiamento, presentano un forte attaccamento alla malattia e una forte identificazione con essa che, nel tempo, diventa una vera e propria modalità di funzionamento.

Come fare, dunque, per aiutare queste persone a superare la loro ambivalenza?
Le difficoltà iniziali più importanti dei pazienti con ambivalenza sono:
- negare la malattia;
- sentirsi soli e incompresi;
- non credere in se stessi, nelle cure proposte e magari credere di potercela fare da soli senza alcuna terapia.

Per aiutare i pazienti a superare queste difficoltà iniziali ci sono diverse strategie. Solitamente si propone la lettura di un libro che ha lo scopo, appunto, di "agganciare" il paziente in terapia.
Uno dei libri più utili, e che personalmente utilizziamo quasi sempre è proprio "Mi nutro di parole".
È un libro suddiviso in varie lettere scritte da diversi pazienti, genitori e anche terapeuti, dove si intrecciano emozioni, lacrime, paura, dolore, speranza, guarigione e vita.
È un libro che dona la possibilità al paziente di sentirsi meno solo, di leggere altre storie simili alla sua, di dare un nome ai sintomi del suo problema e di ritrovare un briciolo di fiducia nel fatto che è possibile affrontare e guarire da queste malattie.
Il libro va prestato al paziente per un lasso di tempo stabilito (in genere una settimana) e successivamente va commentato insieme in terapia attraverso le frasi che la persona ha sottolineato oppure attraverso i post-it che ha applicato sulle pagine che ha ritenuto più interessanti o vicine alla sua storia.
Oltre al libro, un'altra strategia efficace per agganciare i pazienti ambivalenti è "parlare il loro linguaggio e provare ad entrare nel loro mondo".
Con un esempio, oltre alla lettura del libro, siamo riusciti ad agganciare una ragazza di appena 17 anni affetta da una grave forma di disturbo alimentare, parlando del suo cantautore preferito: Tiziano Ferro. Abbiamo ascoltato insieme una sua canzone dal Titolo "Mai nata" che tratta proprio il tema dei disturbi alimentari.
In questo modo, la paziente ci ha sentito vicini, suoi complici.
Si è fidata e si è sentita accolta, compresa, accettata innanzitutto come persona, prima che come paziente affetta da un problema.

Questi semplici esempi possono trasmetterci che l'unico modo che abbiamo per avvicinarci ad un paziente ambivalente e resistente alle cure è provare ad entrare, in maniera metodica ma con sensibilità e delicatezza, nel suo personalissimo mondo.
Non è facile ma è sicuramente possibile.

Dott. Mario Russo
Dott. Viviana Valtucci



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