Quando nel 2014 fu indetto il concorso letterario "Mi nutro di parole" dall'associazione Mi Nutro di Vita, ne rimanemmo
piacevolmente colpiti.
Scrivere può essere un vero e proprio strumento
terapeutico.
Per questo motivo, invitammo alcuni nostri pazienti
a partecipare al concorso letterario e, aver letto successivamente il loro
racconto tra le pagine del libro, fu per noi una grande gioia e un motivo di
orgoglio.
Di questo prezioso volume acquistammo subito 2
copie: una per noi ed una da prestare ai pazienti. Infatti, accade spesso che le persone con un
disturbo alimentare vivano una condizione di "ambivalenza". Attraverso l'ambivalenza, da un lato
desidererebbero un cambiamento, vorrebbero curarsi e liberarsi dal dolore
provocato dalla propria malattia.
Dall'altro lato, invece, nutrono una grande paura
del cambiamento, presentano un forte attaccamento alla malattia e una forte
identificazione con essa che, nel tempo, diventa una vera e propria modalità di
funzionamento.
Come fare, dunque, per aiutare queste persone a
superare la loro ambivalenza?
Le difficoltà iniziali più importanti dei pazienti
con ambivalenza sono:
- negare la malattia;
- sentirsi soli e incompresi;
- non credere in se stessi, nelle cure proposte e
magari credere di potercela fare da soli senza alcuna terapia.
Per aiutare i pazienti a superare queste difficoltà
iniziali ci sono diverse strategie. Solitamente si propone la lettura di un
libro che ha lo scopo, appunto, di "agganciare" il paziente in
terapia.
Uno dei libri più utili, e che personalmente
utilizziamo quasi sempre è proprio "Mi nutro di parole".
È un libro suddiviso in varie lettere scritte da
diversi pazienti, genitori e anche terapeuti, dove si intrecciano emozioni,
lacrime, paura, dolore, speranza, guarigione e vita.
È un libro che dona la possibilità al paziente di
sentirsi meno solo, di leggere altre storie simili alla sua, di dare un nome ai
sintomi del suo problema e di ritrovare un briciolo di fiducia nel fatto che è
possibile affrontare e guarire da queste malattie.
Il libro va prestato al paziente per un lasso di
tempo stabilito (in genere una settimana) e successivamente va commentato
insieme in terapia attraverso le frasi che la persona ha sottolineato oppure
attraverso i post-it che ha applicato sulle pagine che ha ritenuto più
interessanti o vicine alla sua storia.
Oltre al libro, un'altra strategia efficace per
agganciare i pazienti ambivalenti è "parlare il loro linguaggio e provare
ad entrare nel loro mondo".
Con un esempio, oltre alla lettura del libro, siamo
riusciti ad agganciare una ragazza di appena 17 anni affetta da una grave forma
di disturbo alimentare, parlando del suo cantautore preferito: Tiziano Ferro. Abbiamo
ascoltato insieme una sua canzone dal Titolo "Mai nata" che tratta
proprio il tema dei disturbi alimentari.
In questo modo, la paziente ci ha sentito vicini,
suoi complici.
Si è fidata e si è sentita accolta, compresa,
accettata innanzitutto come persona, prima che come paziente affetta da un
problema.
Questi semplici esempi possono trasmetterci che
l'unico modo che abbiamo per avvicinarci ad un paziente ambivalente e resistente
alle cure è provare ad entrare, in maniera metodica ma con sensibilità e
delicatezza, nel suo personalissimo mondo.
Non
è facile ma è sicuramente possibile.
Dott.
Mario Russo
Dott.
Viviana Valtucci
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