Mi nutro di vita augura a tutti un Felice Natale ed un Sereno 2014!!!
Michela e tutti i Soci
domenica 22 dicembre 2013
mercoledì 4 dicembre 2013
Altri contributi...
Ed ecco a voi un contributo della nostra amica Simolyliham tratto dal suo blog "Fame d'amore" :
Anoressia e Bulimia. Una giovane donna racconta la sua storia“DCA” per molte persone è una sigla vuota, per altre invece colma di dolore, sofferenze, tristezza se non depressione; e per altre ancora è sinonimo di morte, propria o di qualche caro.
Con la sigla DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) si indicano diverse malattie che, soprattutto negli ultimi anni, sono diventante tristemente famose rimbalzando da media a media: anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo dell’alimentazione incontrollata, obesità, picacismo. Tra queste malattie quella più nota è l’anoressia, perché strettamente legata al culto di un certo tipo bellezza.
Abbiamo incontrato Adriana (nome di fantasia), una ragazza che vive nell’area pinerolese, che è stata malata di anoressia e di bulimia, ed è ora è sulla via della guarigione.
Come accade che una ragazza si ammali di anoressia?
All’inizio vuoi seguire il canone di bellezza della Società di oggi, dove “magro è bello”. Tutto inizia con una semplice dieta: vuoi soltanto dimagrire. Perciò inizi a contare le calorie, a pesarti tutti i giorni e a ridurre le porzioni sempre più. Tutte le ragazze potenzialmente potrebbero ammalarsi, perché tutte fanno la classica dieta.
Come ti accorgi che qualcosa non va nel tuo modo di seguire una dieta?
In realtà tu non te ne accorgi: i tuoi comportamenti ti sembrano normali, fino a quando insorgono atteggiamenti che ti portano ad un “punto di non-ritorno”. Ne prendi coscienza, o almeno per me è stato così, quando dalla semplice dieta passi davvero ad avere “comportamenti compulsivi-ossessivi” riguardo al cibo e al tuo corpo.
Quali sono i “punti di non-ritorno” di cui parli?
Un punto di non ritorno: quando, raggiunto il peso che ti eri prefissato, continui a non mangiare ugualmente per paura di ingrassare. Così non solo non ingrassi, ma continui a dimagrire. Ti piace vedere il tuo corpo assottigliarsi e iniziano a piacerti le tue ossa. Arrivi ad amare le tue ossa, vuoi le tue ossa.
Tutto ciò che conta è vedere la bilancia scendere: diventa eccitante vedere il numero calare. Persino l’acqua in corpo ti dà fastidio, perché gonfia la pancia e ti fa pesare di più. Si arriva persino a pesarsi prima e dopo l’essere andati al bagno. Un altro punto di non ritorno è il non voler più mangiare di fronte agli altri.
Questo perché, per una ragazza con l’anoressia, anche una fetta di pizza è un pasto eccessivo. Ha troppe calorie. Da sola supera il tuo “budget giornaliero”. Perché arrivi ad avere un budget di calorie giornaliero che di solito, quando la malattia ti prende forte, non supera le 300!
300 calorie in termini di cibo a cosa equivarrebbero?
Circa 3 mele grandi.
Non hai fame?
Certo che hai fame, muori di fame! Hai talmente tanta fame che non senti nemmeno più i crampi alla pancia, anzi sentire lo stomaco che si restringe è diventata una sensazione piacevole. Ma prima o poi la fame ti sovrasta. Ecco che insorge la bulimia per fame: non ce la fai più, non ce la fai proprio più ad un certo punto.
Perché?
Perché ti sei affamato per troppo tempo, a volte per anni. Certe ragazze hanno addirittura l’anoressia pura per quasi una vita, se non muoiono. Ma comunque prima o poi tutte passano dalla bulimia, se non si fa il percorso di guarigione. Perché arrivi che sei proprio affamata, hai una fame bestiale.
Quando mangi che cosa provi?
Quando hai l’anoressia pura è un contorcersi del tuo spirito: ti senti lievitare anche solo per un boccone di verdura, ti senti cosmicamente in colpa, ti senti gli occhi puntati addosso, che tutti ti giudicano una “vacca grassa”.
Nella fase bulimica il termine giusto è “godi”. Quando mangi godi e non riesci a fermarti. Più mangi più mangeresti, come una belva famelica.
Mangi, però poi vai in bagno a vomitare, giusto?
Sì. Non vuoi mangiare di fronte agli altri, ma non vuoi nemmeno che gli altri si accorgano dell’anoressia, quindi devi trovare un modo per mangiare senza ingrassare, anzi dimagrendo. Allora molte ragazze con un DCA iniziano a vomitare. Quando inizi a vomitare è finita, non smetti più: è come una droga, anzi peggio!
Inizi a mangiare tutto quello che vuoi, ma di nascosto, perché sai come smaltire in fretta! Altre ragazze iniziano a fare frenetica e compulsiva attività fisica, altre prendono lassativi, altre ancora (come feci io), fanno più cose assieme.
E tutto questo comincia cercando di dimagrire?
Dimagrire è la punta dell’iceberg. Vuoi essere notata, ma non dai ragazzi, quella è la scusa superficiale. Tu vuoi essere notata dalla gente, precisamente dalle persone che ami, come i tuoi parenti. Perché sono loro che ti hanno causato la fame d’amore.
Loro che, pur facendo il possibile, tutto ciò che erano capaci di fare, non sono riusciti ad amarti come ne avevi bisogno, magari spesso non ti hanno neanche mai apprezzata. Allora, paradossalmente, vuoi diventare invisibile per essere vista.
Come si convive con questa malattia?
Non ci convivi, sopravvivi, finché non muori. Perché di DCA o si guarisce o si muore: puoi sopravvivere anche 30-40 anni con l’anoressia pura (con la bulimia molto meno: ad ogni crisi rischi di avere un infarto), ma alla fine non ce la fai più: i tuoi organi interni si rovinano col tempo.
È una vita di privazioni, giusto?
Sì. Non solo ti privi del cibo, degli affetti e della vita sociale, ma smetti di uscire: hai paura di dover mangiare fuori, quindi davanti agli altri; non sai più come vestirti, perché sei troppo grassa; devi avere ossessivo- compulsivo controllo su tutta la tua vita, persino i bicchieri sulla tavola devono essere messi perfettamente.
L’anoressia è anche una sorta di “elogio alla perfezione”, un pretendere di essere perfetti. Ci si sente superiori agli altri: tu sei più forte, tu “vivi” anche senza cibo. Ma non è un vivere…
Vederti pelle e ossa non ti allarma?
No, perché l’obiettivo ultimo e principale della malattia, è l’autodistruzione: i DCA sono un vero e proprio metodo autodistruttivo e autolesionista. Ci sono ragazze che non si limitano a non mangiare, vomitare, abbuffarsi, ma tentano veramente di uccidersi anche con altri metodi, classici sono i tagli di lametta.
Perché molti credono che sia soltanto un mania da ragazze che vorrebbero fare la modella?
Forse perché la gente non conosce e non capisce che è una malattia, scientificamente dimostrata. Ma al tempo stesso ci tengo a precisare che noi non siamo una malattia. Se tu dici ad una ragazza con l’anoressia che è anoressica, lei sarà contenta perché è arrivata ad identificarsi con la malattia; lei vuole essere la malattia.
Quindi più ci si sente dire «sei anoressica », più lo si sarà e meno si penserà che queste sono malattie che ti vengono. Non sono esperta medica di DCA, ma ho letto molti articoli e ho avuto a che fare con molti medici. Per esempio ho letto in un articolo che anche il cervello dimagrisce col dimagrire del corpo: così cala la fiducia nel medico e ci si chiude sempre più in se stessi.
Oppure a riguardo della bulimia, so che è tutto un meccanismo provocato dalle ghiandole che producono serotonina: questa, nelle ragazze che hanno il DCA, è carente. E il cibo, in particolare i dolci, fanno aumentare il livello di serotonina, la quale provoca piacere e assuefazione. Ma la gente queste cose non le sa, perché di DCA non si parla, ce ne si vergogna.
Bisognerebbe venisse fatta più informazione. I DCA sono la maggior causa di morte per le ragazze. Non dobbiamo e non possiamo vergognarci di parlare di questa malattia! Sia perché dobbiamo convincerci tutti che non ce la siamo causata, ma siamo predisposte alla malattia (vedi serotonina e bulimia), sia perché non possiamo permettere che altre ragazze muoiano. Non possiamo più tacere.
Come si può guarire?
L’amore: sentirsi amati per imparare ad amarsi. Perché non ti ami, ti odi e per tanti motivi. Non ti senti amata, proprio perché non sei capace ad amare te stessa. Solo quando incontri qualcuno che sappia andare oltre la malattia, e vedere ciò che realmente sei aiutandoti a tirarlo fuori, allora puoi intraprendere il percorso di guarigione.
Prima invece il senso della tua vita è dettato solo più da numeri: bilancia, calorie, misure del tuo corpo, minuti di attività fisica, ore gettate via.
E il percorso di guarigione com’è?
Non è bello, né producente essere considerati solo un paziente-numero. Occorre sentirsi amati anche dai dottori, benché il loro non sia un affetto materno, alcuni riescono davvero a far sentire che sono lì per te, per il tuo bene e non perché “vogliono farti ingrassare”.La malattia coinvolge anche aspetti psichici e fisici, bisogna affidarsi ad un buon centro contro i DCA. Soprattutto bisogna fidarsi dei dottori e questi devono instaurare con la persona che ha un DCA un rapporto di umanità prima di tutto: persona che ha esperienza aiuta persona con problema.
Perché una ragazza con l’anoressia pensa che un dottore voglia solo far riprendere peso per farla guarire. Ma non si guarisce solo prendendo peso. Io penso che si possa essere anoressici anche a 70 chili. Non è il peso che conta: il cibo è la punta di un iceberg. La magrezza è solo la maschera dietro cui si nasconde un profondo disagio esistenziale e psicologico.
Se incontrassi una ragazza con un DCA come l’aiuteresti?
Le direi che non è sola, non è colpa sua quello che le accade, che lei ha una malattia, non è anoressica o bulimica; non deve identificarsi con la malattia. L’aiuterei a scrutarsi interiormente per capire le cause scatenanti e cercherei di convincerla con l’amore a farsi seguire da un buon centro.
Soprattutto diventerei sua amica. Come è successo con le amiche che ho: le mie amiche migliori sono quelle conosciute durante i ricoveri, quelle che hanno o stanno passando ciò che vivo io.
spero sia stato interessante per voi come lo è stato per me.. aspetto vostri commenti per un confronto!
Un abbraccio
Michi
Anoressia e Bulimia. Una giovane donna racconta la sua storia“DCA” per molte persone è una sigla vuota, per altre invece colma di dolore, sofferenze, tristezza se non depressione; e per altre ancora è sinonimo di morte, propria o di qualche caro.
Con la sigla DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) si indicano diverse malattie che, soprattutto negli ultimi anni, sono diventante tristemente famose rimbalzando da media a media: anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo dell’alimentazione incontrollata, obesità, picacismo. Tra queste malattie quella più nota è l’anoressia, perché strettamente legata al culto di un certo tipo bellezza.
Abbiamo incontrato Adriana (nome di fantasia), una ragazza che vive nell’area pinerolese, che è stata malata di anoressia e di bulimia, ed è ora è sulla via della guarigione.
Come accade che una ragazza si ammali di anoressia?
All’inizio vuoi seguire il canone di bellezza della Società di oggi, dove “magro è bello”. Tutto inizia con una semplice dieta: vuoi soltanto dimagrire. Perciò inizi a contare le calorie, a pesarti tutti i giorni e a ridurre le porzioni sempre più. Tutte le ragazze potenzialmente potrebbero ammalarsi, perché tutte fanno la classica dieta.
Come ti accorgi che qualcosa non va nel tuo modo di seguire una dieta?
In realtà tu non te ne accorgi: i tuoi comportamenti ti sembrano normali, fino a quando insorgono atteggiamenti che ti portano ad un “punto di non-ritorno”. Ne prendi coscienza, o almeno per me è stato così, quando dalla semplice dieta passi davvero ad avere “comportamenti compulsivi-ossessivi” riguardo al cibo e al tuo corpo.
Quali sono i “punti di non-ritorno” di cui parli?
Un punto di non ritorno: quando, raggiunto il peso che ti eri prefissato, continui a non mangiare ugualmente per paura di ingrassare. Così non solo non ingrassi, ma continui a dimagrire. Ti piace vedere il tuo corpo assottigliarsi e iniziano a piacerti le tue ossa. Arrivi ad amare le tue ossa, vuoi le tue ossa.
Tutto ciò che conta è vedere la bilancia scendere: diventa eccitante vedere il numero calare. Persino l’acqua in corpo ti dà fastidio, perché gonfia la pancia e ti fa pesare di più. Si arriva persino a pesarsi prima e dopo l’essere andati al bagno. Un altro punto di non ritorno è il non voler più mangiare di fronte agli altri.
Questo perché, per una ragazza con l’anoressia, anche una fetta di pizza è un pasto eccessivo. Ha troppe calorie. Da sola supera il tuo “budget giornaliero”. Perché arrivi ad avere un budget di calorie giornaliero che di solito, quando la malattia ti prende forte, non supera le 300!
300 calorie in termini di cibo a cosa equivarrebbero?
Circa 3 mele grandi.
Non hai fame?
Certo che hai fame, muori di fame! Hai talmente tanta fame che non senti nemmeno più i crampi alla pancia, anzi sentire lo stomaco che si restringe è diventata una sensazione piacevole. Ma prima o poi la fame ti sovrasta. Ecco che insorge la bulimia per fame: non ce la fai più, non ce la fai proprio più ad un certo punto.
Perché?
Perché ti sei affamato per troppo tempo, a volte per anni. Certe ragazze hanno addirittura l’anoressia pura per quasi una vita, se non muoiono. Ma comunque prima o poi tutte passano dalla bulimia, se non si fa il percorso di guarigione. Perché arrivi che sei proprio affamata, hai una fame bestiale.
Quando mangi che cosa provi?
Quando hai l’anoressia pura è un contorcersi del tuo spirito: ti senti lievitare anche solo per un boccone di verdura, ti senti cosmicamente in colpa, ti senti gli occhi puntati addosso, che tutti ti giudicano una “vacca grassa”.
Nella fase bulimica il termine giusto è “godi”. Quando mangi godi e non riesci a fermarti. Più mangi più mangeresti, come una belva famelica.
Mangi, però poi vai in bagno a vomitare, giusto?
Sì. Non vuoi mangiare di fronte agli altri, ma non vuoi nemmeno che gli altri si accorgano dell’anoressia, quindi devi trovare un modo per mangiare senza ingrassare, anzi dimagrendo. Allora molte ragazze con un DCA iniziano a vomitare. Quando inizi a vomitare è finita, non smetti più: è come una droga, anzi peggio!
Inizi a mangiare tutto quello che vuoi, ma di nascosto, perché sai come smaltire in fretta! Altre ragazze iniziano a fare frenetica e compulsiva attività fisica, altre prendono lassativi, altre ancora (come feci io), fanno più cose assieme.
E tutto questo comincia cercando di dimagrire?
Dimagrire è la punta dell’iceberg. Vuoi essere notata, ma non dai ragazzi, quella è la scusa superficiale. Tu vuoi essere notata dalla gente, precisamente dalle persone che ami, come i tuoi parenti. Perché sono loro che ti hanno causato la fame d’amore.
Loro che, pur facendo il possibile, tutto ciò che erano capaci di fare, non sono riusciti ad amarti come ne avevi bisogno, magari spesso non ti hanno neanche mai apprezzata. Allora, paradossalmente, vuoi diventare invisibile per essere vista.
Come si convive con questa malattia?
Non ci convivi, sopravvivi, finché non muori. Perché di DCA o si guarisce o si muore: puoi sopravvivere anche 30-40 anni con l’anoressia pura (con la bulimia molto meno: ad ogni crisi rischi di avere un infarto), ma alla fine non ce la fai più: i tuoi organi interni si rovinano col tempo.
È una vita di privazioni, giusto?
Sì. Non solo ti privi del cibo, degli affetti e della vita sociale, ma smetti di uscire: hai paura di dover mangiare fuori, quindi davanti agli altri; non sai più come vestirti, perché sei troppo grassa; devi avere ossessivo- compulsivo controllo su tutta la tua vita, persino i bicchieri sulla tavola devono essere messi perfettamente.
L’anoressia è anche una sorta di “elogio alla perfezione”, un pretendere di essere perfetti. Ci si sente superiori agli altri: tu sei più forte, tu “vivi” anche senza cibo. Ma non è un vivere…
Vederti pelle e ossa non ti allarma?
No, perché l’obiettivo ultimo e principale della malattia, è l’autodistruzione: i DCA sono un vero e proprio metodo autodistruttivo e autolesionista. Ci sono ragazze che non si limitano a non mangiare, vomitare, abbuffarsi, ma tentano veramente di uccidersi anche con altri metodi, classici sono i tagli di lametta.
Perché molti credono che sia soltanto un mania da ragazze che vorrebbero fare la modella?
Forse perché la gente non conosce e non capisce che è una malattia, scientificamente dimostrata. Ma al tempo stesso ci tengo a precisare che noi non siamo una malattia. Se tu dici ad una ragazza con l’anoressia che è anoressica, lei sarà contenta perché è arrivata ad identificarsi con la malattia; lei vuole essere la malattia.
Quindi più ci si sente dire «sei anoressica », più lo si sarà e meno si penserà che queste sono malattie che ti vengono. Non sono esperta medica di DCA, ma ho letto molti articoli e ho avuto a che fare con molti medici. Per esempio ho letto in un articolo che anche il cervello dimagrisce col dimagrire del corpo: così cala la fiducia nel medico e ci si chiude sempre più in se stessi.
Oppure a riguardo della bulimia, so che è tutto un meccanismo provocato dalle ghiandole che producono serotonina: questa, nelle ragazze che hanno il DCA, è carente. E il cibo, in particolare i dolci, fanno aumentare il livello di serotonina, la quale provoca piacere e assuefazione. Ma la gente queste cose non le sa, perché di DCA non si parla, ce ne si vergogna.
Bisognerebbe venisse fatta più informazione. I DCA sono la maggior causa di morte per le ragazze. Non dobbiamo e non possiamo vergognarci di parlare di questa malattia! Sia perché dobbiamo convincerci tutti che non ce la siamo causata, ma siamo predisposte alla malattia (vedi serotonina e bulimia), sia perché non possiamo permettere che altre ragazze muoiano. Non possiamo più tacere.
Come si può guarire?
L’amore: sentirsi amati per imparare ad amarsi. Perché non ti ami, ti odi e per tanti motivi. Non ti senti amata, proprio perché non sei capace ad amare te stessa. Solo quando incontri qualcuno che sappia andare oltre la malattia, e vedere ciò che realmente sei aiutandoti a tirarlo fuori, allora puoi intraprendere il percorso di guarigione.
Prima invece il senso della tua vita è dettato solo più da numeri: bilancia, calorie, misure del tuo corpo, minuti di attività fisica, ore gettate via.
E il percorso di guarigione com’è?
Non è bello, né producente essere considerati solo un paziente-numero. Occorre sentirsi amati anche dai dottori, benché il loro non sia un affetto materno, alcuni riescono davvero a far sentire che sono lì per te, per il tuo bene e non perché “vogliono farti ingrassare”.La malattia coinvolge anche aspetti psichici e fisici, bisogna affidarsi ad un buon centro contro i DCA. Soprattutto bisogna fidarsi dei dottori e questi devono instaurare con la persona che ha un DCA un rapporto di umanità prima di tutto: persona che ha esperienza aiuta persona con problema.
Perché una ragazza con l’anoressia pensa che un dottore voglia solo far riprendere peso per farla guarire. Ma non si guarisce solo prendendo peso. Io penso che si possa essere anoressici anche a 70 chili. Non è il peso che conta: il cibo è la punta di un iceberg. La magrezza è solo la maschera dietro cui si nasconde un profondo disagio esistenziale e psicologico.
Se incontrassi una ragazza con un DCA come l’aiuteresti?
Le direi che non è sola, non è colpa sua quello che le accade, che lei ha una malattia, non è anoressica o bulimica; non deve identificarsi con la malattia. L’aiuterei a scrutarsi interiormente per capire le cause scatenanti e cercherei di convincerla con l’amore a farsi seguire da un buon centro.
Soprattutto diventerei sua amica. Come è successo con le amiche che ho: le mie amiche migliori sono quelle conosciute durante i ricoveri, quelle che hanno o stanno passando ciò che vivo io.
spero sia stato interessante per voi come lo è stato per me.. aspetto vostri commenti per un confronto!
Un abbraccio
Michi
mercoledì 27 novembre 2013
giovedì 14 novembre 2013
Speranza....
Ringraziamo Rosa per aver condiviso con noi un momento così importante...
Oggi c’è speranza (lettera a mia sorella Chiara).
E’passato un anno da quel giorno in cui ti ho portata d’urgenza in ospedale. Le immagini di quei giorni, di quei momenti, sono ancora molto vivide nella mia mente; ogni tanto qualcosa, anche apparentemente scollegato, mi rimanda alla tua voce rallentata di un anno fa, ai tuoi occhi impauriti, a quello che rimaneva del tuo corpo, dilaniato dall’anoressia. Ho avuto molta paura e, voglio essere sincera, ne ho ancora. Ma oggi ti vedo sorridere per cose piccole, ti vedo fare progetti di vita e non di morte, ti vedo entusiasmarti ancora per quelle che erano sempre state le tue passioni. Oggi ti vedo consapevole. E vedo in te la volontà di non chiuderti un’altra volta al mondo. So che hai paura anche tu, che ti spaventa l’idea di affrontare la vita senza la corazza che ti eri costruita attraverso “quel modo di funzionare”. Proprio ieri mi hai detto che il tuo è sempre stato un modo per dire: “ciao mondo, io non ci sono, non esisto, non voglio responsabilità, accetto di non avere grandi gioie purchè mi vengano risparmiati grandi dolori”. Detta così sembra la scelta di una persona codarda, priva di coraggio. In realtà penso sia la scelta di una persona con una sensibilità esasperata, che ad un certo punto non è più riuscita a stare dietro a questo suo sentire tutto in maniera così forte e profonda. Ad un certo punto, molto presto in realtà, visto che eri ancora una bambina, avevi saturato il tuo magazzino emotivo e hai deciso di chiudere i battenti e cambiare dimensione. Oggi hai capito che tutto questo ingranaggio mortale nella tua mente non era solo finalizzato ad autodistruggerti, anzi, in primo luogo serviva per proteggerti. Certo, è meno nobilitante questa versione, ma più vera e più utile al tuo obiettivo: riagganciarti alla realtà, tornare a vivere, diventare adulta.
Oggi cammini per strada, e nonostante il tuo sottopeso ancora molto marcato, la gente non si volta a guardarti. Il viso della mamma è più rilassato, non deve più proteggere sua figlia da sguardi indiscreti e stupiti. Il tuo passo è cambiato: non è più il moto frenetico di chi non ha pace, ma è un passo fermo, più tranquillo, rilassato. Guardi i negozi, e ti interessa davvero quello che vedi.
Ti ho vista paertecipe ed entusiasta anche per cose che non ti riguardavano in prima persona, mentre non tanto tempo fa eri così egosintonica con la malattia che non vedevi nulla di quello che accadeva intorno a te. Hai provato gioia per la mia gioia, ed era tanto, davvero tanto, che non succedeva…
Fra una settimana termina il tuo percorso in comunità, e poi riprenderai subito i tuoi studi giornalistici. Sono tanto orgogliosa di te… e continuo ad avere fiducia.
Oggi c’è speranza.
Rosa
mercoledì 6 novembre 2013
Sfatiamo qualche mito!!!
ed ecco a voi il contributo della nostra amica Lylih
*Miti da sfatare*
Sfatiamo un po' di miti: avere l'anoressia non significa essere uno scheletro. L'essere "magra come un chiodo", come direbbe la maggior parte delle persone, non prescinde l'anoressia e viceversa. Si può avere l'anoressia anche a ottanta chili. Perché? Perché è una malattia!
Diciamo pure che noi tutte, ragazze che hanno l'anoressia, siamo stufe di sentirci dire che siamo guarite e che stiamo bene solo perché abbiamo ripreso del peso. Prendere peso è facile: i ricoveri, le abbuffate(che sono sintomo di bulimia nervosa) senza vomito magari, l'essere più positive, perché no e non voler rischiare la vita... e ci sono altri motivi per riprendere peso. Ma ciò non vuol dire che si è guariti dall'anoressia.
Per chi ha l'anoressia è molto importante sentirsi malato. Perché la malattia diventa la tua identità e tu arrivi ad identificarti con essa; quindi, se ti dicono che sei guarita, tu non ritrovi più una parte di te stessa, che è diventata la parte principale di te. L'anoressia è una malattia anzitutto dell'anima. Il peso, per chi ha l'anoressia, è una questione marginale, o quasi(come sostiene anche Clara Brunello nel suo libro "Viva di nuovo" e non solo lei). L'essere uno scheletro è una fase della malattia, fase per altro che non tutte passano. Uno può avere l'anoressia ed essere sempre "grasso". Perché è una questione principalmente psicospirituale; la malattia insorge per tanti fattori sia "scientificamente dimostrati", sia psichici, sia spirituali appunto: la fame d'amore prima di ogni altro causa la malattia(ma di questo scriverò in seguito).
Ora veniamo a sfatare il secondo mito: noi NON siamo anoressiche, ma ABBIAMO L'ANORESSIA. Che è completamente diverso. Si dice "avere un cancro, avere il raffreddore", non essere una malattia. Bene, l'anoressia e la bulimia sono malattie e dimostreremo il perché. Quindi, basta puntare le dita contro e giudicare una ragazza, quasi sicuramente molo magra, anoressica. Non esiste l'anoressica. Non esiste che si E' una malattia. Non siamo malattie: siamo persone, con problemi, ma essere umani, come tutti gli atri. Così come anche i drogati, i così detti "pazzi", gli alcolisti: no! Sono tutte persone che hanno problemi con la droga, con l'alcool e che soffrono di disturbi della psiche.
Riprendendo il discorso dell'identificazione con la malattia: è deleterio dire ad una ragazza con l'anoressia che "è anoressica". Perché a lei farà piacere e si sentirà ancora più malata e vorrà essere ancora più malata. Ma lei non è la sua malattia: deve capirlo, deve convincersi del fatto che queste malattie ti vengono, non te le causi tu, non del tutto. Certo, sei tu che decidi di seguire l'anoressia e la bulimia quale metodo autodistruttivo, ma non sei tu che hai voluto il desiderio di autodistruggerti; questo ti nasce per tutta una serie di carenze che tu hai: dalla serotonina, se vogliamo parlare dal punto di vista scientifico, all'amore e all'affetto che tu non hai mai sentito( e sottolineo tu non hai sentito, che non vuol dire che non te lo hanno dato).
Questo post vuole essere una critica al giudizio della gente, ignorante(dall'etimo latino del termine) riguardo ai DCA e piena di stupide convinzioni che, ancora oggi, nonostante due milioni di ragazze morte, continuano a sostenere che l'anoressia "è un capriccio di una ragazzina che vuole essere magra come una modella".
Diciamo pure che noi tutte, ragazze che hanno l'anoressia, siamo stufe di sentirci dire che siamo guarite e che stiamo bene solo perché abbiamo ripreso del peso. Prendere peso è facile: i ricoveri, le abbuffate(che sono sintomo di bulimia nervosa) senza vomito magari, l'essere più positive, perché no e non voler rischiare la vita... e ci sono altri motivi per riprendere peso. Ma ciò non vuol dire che si è guariti dall'anoressia.
Per chi ha l'anoressia è molto importante sentirsi malato. Perché la malattia diventa la tua identità e tu arrivi ad identificarti con essa; quindi, se ti dicono che sei guarita, tu non ritrovi più una parte di te stessa, che è diventata la parte principale di te. L'anoressia è una malattia anzitutto dell'anima. Il peso, per chi ha l'anoressia, è una questione marginale, o quasi(come sostiene anche Clara Brunello nel suo libro "Viva di nuovo" e non solo lei). L'essere uno scheletro è una fase della malattia, fase per altro che non tutte passano. Uno può avere l'anoressia ed essere sempre "grasso". Perché è una questione principalmente psicospirituale; la malattia insorge per tanti fattori sia "scientificamente dimostrati", sia psichici, sia spirituali appunto: la fame d'amore prima di ogni altro causa la malattia(ma di questo scriverò in seguito).
Ora veniamo a sfatare il secondo mito: noi NON siamo anoressiche, ma ABBIAMO L'ANORESSIA. Che è completamente diverso. Si dice "avere un cancro, avere il raffreddore", non essere una malattia. Bene, l'anoressia e la bulimia sono malattie e dimostreremo il perché. Quindi, basta puntare le dita contro e giudicare una ragazza, quasi sicuramente molo magra, anoressica. Non esiste l'anoressica. Non esiste che si E' una malattia. Non siamo malattie: siamo persone, con problemi, ma essere umani, come tutti gli atri. Così come anche i drogati, i così detti "pazzi", gli alcolisti: no! Sono tutte persone che hanno problemi con la droga, con l'alcool e che soffrono di disturbi della psiche.
Riprendendo il discorso dell'identificazione con la malattia: è deleterio dire ad una ragazza con l'anoressia che "è anoressica". Perché a lei farà piacere e si sentirà ancora più malata e vorrà essere ancora più malata. Ma lei non è la sua malattia: deve capirlo, deve convincersi del fatto che queste malattie ti vengono, non te le causi tu, non del tutto. Certo, sei tu che decidi di seguire l'anoressia e la bulimia quale metodo autodistruttivo, ma non sei tu che hai voluto il desiderio di autodistruggerti; questo ti nasce per tutta una serie di carenze che tu hai: dalla serotonina, se vogliamo parlare dal punto di vista scientifico, all'amore e all'affetto che tu non hai mai sentito( e sottolineo tu non hai sentito, che non vuol dire che non te lo hanno dato).
Questo post vuole essere una critica al giudizio della gente, ignorante(dall'etimo latino del termine) riguardo ai DCA e piena di stupide convinzioni che, ancora oggi, nonostante due milioni di ragazze morte, continuano a sostenere che l'anoressia "è un capriccio di una ragazzina che vuole essere magra come una modella".
giovedì 10 ottobre 2013
Irene...una nuova amica
Abbiamo deciso di pubblicare uno degli articoli che la nostra nuova amica Irene ha inserito nel suo blog.
un abbraccio
Michi
Tally Weijl: La verità, vi prego, sulla moda
Non è bastata la morte di Isabelle Caro, modella francese che nel 2008 aveva posato, scheletrica e nuda, per Oliviero Toscani, nella controversa campagna contro l'anoressia lanciata dal marchio di abbigliamento italiano Nolita. Non è bastata la morte delle sorelle Ramos e di Caroline Reston, tre modelle sudamericane decedute per le conseguenze del disturbo alimentare di cui soffrivano. Non bastano le innumerevoli sfilate di moda dove, tra le già magrissime partecipanti, figurano ragazze che esibiscono gli evidenti segni di un deperimento fisico provocato da patologie legate all'alimentazione; un caso su tutti quello della Berlin Fashion Week del 2010, dove lo stilista Patrick Mohr aveva fatto sfilare modelle disgustosamente magre, pelate e con una barba posticcia. (Curiosamente, in quell'occasione le critiche erano state volte più all'aspetto sgradevolmente caricaturale di quelle donne barbute che non alla condizione clinica delle stesse.) Non sono bastati nemmeno tutti i tentativi (a mio avviso ridicoli) di "ridimensionare le taglie", di "proporre nuovi canoni", di "esaltare le curve femminili": niente di concreto è stato fatto, nessun cambiamento significativo apportato. Gli stilisti continuano ad esigere ossa e magrezza, come testimonia lo scandalo scoppiato a Stoccolma, dove alcuni agenti reclutavano pazienti all'uscita della clinica per la cura dei disturbi alimentari più grande di tutta la Scandinavia, offrendo loro un contratto da modelle. Eppure, nonostante queste notizie, c'è qualcuno che ancora non ha capito la gravità del problema: due giorni fa, esposta in bella vista nel negozio Tally Weijl di via Torino a Milano, campeggiava una maglia con la scritta "DON'T FEED THE MODELS".("Non nutrite le modelle".) Alla luce di esempi così eclatanti di come il mondo della moda stravolga e influenzi i corpi e le menti di migliaia di ragazze e donne, ci vuole un bel coraggio a propinare un simile slogan, che può essere definito a tutti gli effetti come inneggiante all'anoressia. Inoltre, data la chiara allusione ai cartelli che vietano di dare cibo agli animali ("don't feed the animals", "don't feed the birds") il messaggio veicolato è anche profondamente irrispettoso nei confronti della donna, presentata alla stregua di un animale che non merita di essere nutrito. E questa idea è proposta con estrema leggerezza e voluta noncuranza alla (per lo più giovane e non necessariamente consapevole) clientela del negozio che, passivamente, recepisce e sublima un pericoloso messaggio all'interno di un ambito apparentemente innocuo - un negozio di moda giovanile. Complimenti a Tally Weijl!
un abbraccio
Michi
Tally Weijl: La verità, vi prego, sulla moda
Da Tally Weijl messaggi pro anoressia |
Irene
mercoledì 25 settembre 2013
La scrittura libera...i pensieri volano
Con molto piacere vi proponiamo una serie di pensieri e riflessioni raccolti dalla nostra amica Rosy... parlano di lei, parlano di me, parlano di tutti noi...
Scoprirsi, svelare i propri scheletri nell’ armadio, può essere un atto di coraggio, un impulso dettato dalla stanchezza, un modo per essere trasparenti, non giustificarsi in continuazione o spiegare perché si fa o non si fa una determinata cosa. Non sto parlando di denudarsi di quella giusta e sana riservatezza che deve far parte di noi, ma semplicemente della voglia di vivere in libertà il proprio essere, senza più trappole. É vero tante cose rimarranno incomprensibili alle persone, soprattutto quando la tua bocca pronuncia queste parole " soffro di anoressia da otto anni"..e da li "ma come, perché non ti manca niente, hai tutte le carte in regola". Prima di tutto perché, non c è un perché, possono esserci uno,due,dieci, cento mila perché quindi non c è risposta, poi ho tutto? Non mi manca nulla ? Allora vi dico cosa è tutto? Quel tutto può essere tranquillamente NIENTE,il vuoto...allora non biasimo chi non può capire fino in fondo di cosa si tratta perché solo vivendola si può veramente comprendere..chi soffre come te dello stesso male, non verrà a chiederti perché , ma ti sfiorerà con uno sguardo con il quale ti dirà so cosa provi. Ma per chi ne è al di fuori, anche se giustamente si sente impotente,sappia che le parole tante volte non servono a molto ma un semplice abbraccio può far rimanere senza fiato.
Leggendo alcune pagine di un diario che ormai da tempo sto scrivendo, mi è venuta ancora più voglia di parlarvi un pò di me.......Bè che dire sono otto anni che combatto la mia battaglia con l'anoressia una battaglia lunga, difficile fatta di riprese e ricadute....si può dire che quasi immediatamente chiesi aiuto e cominciai subito ad essere seguita da una nutrizionista e da una psicologa e per breve tempo da uno psichiatra...ho fatto esperienze di danzamovimentoterapia, terapia di gruppo e familiare e apparentemente sembrava che le cose stessero migliorando...ma l'anoressia è subdola così come la bulimia...infatti due anni fa inevitabilmente è arrivata una brutta ricaduta....il vomito era diventato il mio "compagno" ogni giorno e più volte al giorno...se alcuni giorni mangiavo pochissimo in altri mi azzardavo a mangiare un pò di più, quel di più che può rientrare nella normalità, il vomito diventava un chiodo fisso, un rito e tante volte mangiavo per vomitare, riempire un vuoto per svuotarlo subito perchè tenere il cibo dentro di me significava trattenere anche emozioni per me insopportabili e l'unica strada per farle uscire fuori era proprio quella...questa situazione è andata avanti fino allo scorso anno quando ho rischiato un arresto cardiaco...ricoverata in ospedale ho cominciato l'alimentazione parenterale, dolorosa, invasiva psicologicamente e fisicamente e solo dopo mi sono resa ben conto che anche quello era il segno di una grave patologia...come può accettare una persona tanto dolore fisico e psicologico piuttosto che mangiare? La cosa più naturale del mondo in fin dei conti...da lì è cominciato un altro calvario l'attesa di ricovero in una clinica di Guidonia specializzata in disturbi alimentari...l'attesa ha comportato una vita ospedaliera in casa...non mi era consentito fare quasi nulla per evitare di perdere altro peso, finchè nell'agosto dell'altro anno sono stata ricoverata...un percorso duro, doloroso difficile per me e la mia famiglia....lì ho imparato ad accettare la malattia un altro step fondamentale per la "guarigione". Gia perchè in otto anni non ho mai accettato il fatto di essere anoressica, avevo anche paura di pronunciare questa parola...la consapevolezza è il primo passo ma poi ci vuole l'accettazione perchè senza quella il cammino diventa più difficile anzi direi impossibile. Ora continuo le mie cure fuori dopo nove mesi di ricovero. Il mio percorso è molto lento perchè ho imparato anche che ci vuole molta pazienza oltre a molta forza. Sono i piccoli passi quelli che rendono le tue giornate e i tuoi risultati grandi, fatti nei giusti tempi....Mi sto rendendo conto anche di quanta forza mi dia parlarne, qui, con gli amici, conoscenti e soprattutto poter contribuire in qualche modo alla sensibilizzazione delle persone al problema...è per questo che vi dico non abbiate paura, non provate vergogna date voce alle vostre sofferenze, perchè il dolore appartiene a tutti così come la rabbia, l'intolleranza, l'insicurezza, la gioia, l'allegria e chi ne ha più ne metta.Vi abbraccio forte
La libertà si raggiunge cercando altrove ? Altrove dove ? Rimanere imprigionati ...in un labirinto di menzogne e paure, in acque fredde, gelide senza alcun conforto ti spinge a volare via per cercare altrove quell'angolo di paradiso. Ma prima di volare bisogna percorrere quel labirinto strabordante di rovi, vecchi alberi privi di vita, sentieri sterrati fatti di sassi appuntiti sui quali si rischia di cadere, dove i raggi del sole si posano per troppo poco tempo per poter riscaldare anche un solo quadratino di terra. Allora l’ istinto è quello di fuggire perché si è stanchi, affaticati e non ci si riesce nemmeno ad ammetterlo, o meglio 'non ci è concesso'. Ma quando esplori ogni angolo del labirinto anche quello più impervio, ne esci ugualmente distrutta e sfinita, con ogni scampolo del tuo corpo segnato da cicatrici. Da questo momento però puoi permetterti di volare e anche di andare a cercare altrove..
Gli ostacoli possono essere una risorsa?.....direi proprio di si! Risorsa, mezzo di conquiste e cambiamenti...chi l'avrebbe mai detto che attraverso il mio grande"OSTACOLO" scoprissi la meravigliosità della colazione...una cosa normale per tanti ma per me, come ben mi capite, no.... ora per me la colazione è diventata sacrosanta...il mio primo pensiero del mattino è quello di andare a fare colazione perchè è il mio corpo che me lo chiede...la colazione non ha mai fatto parte del mio stile alimentare neanche prima della malattia ma ora almeno quella è diventata sacrosanta... in quel momento riesco ad ascoltare il mio corpo, i suoi bisogni e guai a chi me la leva !!! il corpo che deve essere soddisfatto, che prova piacere perchè l'atto del mangiare non è per forza legato a un dovere è una sensazione che il mio OSTACOLO mi ha dato l'opportunità di provare...quante persone vivono la loro vita in maniera automatica senza dare "peso" a ciò che fa parte della quotidianità? io ci sono riuscita perchè forse quella non era la mia quotidianità, anzi era la proibizione fatta persona. Certo sono molto legata ad un certo tipo di colazione e in questo sono ancora molto rigida, ma guardo al fatto che prima era solo un grande tabù! Per me questa è una piccola grande vittoria che ho raggiunto nel mio cammino e farò di tutto affinchè esso sia costellato di vittorie...guardo avanti si agli obbiettivi da raggiungere ma mi godo anche quelli raggiunti, per sentirmi fiera di me come non ho mai fatto
Pensare a se stessi è terrificante,
ma è la sola cosa onesta:
pensare a me come io sono,
alle mie brutte caratteristiche,
alle mie belle qualità,
e stupirmene.
Quale altro concreto inizio,
da quale punto di partenza progredire, se non da me stesso?
Kahlil Gibran
In un percorso di conoscenza di sè dove si va a scavare in profondità, si viene a contatto con ogni nostro spigolo, curva o sfumatura. Uno spigolo può essere fastidioso da sopportare; una debolezza che non si accetta perché pensiamo di non potercela permettere, dobbiamo essere all’altezza delle aspettative degli altri e soprattutto delle nostre inconsapevoli, un ‘difetto’ che ci allontana dal nostro modello rigido di perfezione che ci rende troppo severi e intolleranti verso noi stessi perché forse tutta la tolleranza che possediamo la utilizziamo solo verso gli altri che poi inesorabilmente ci invadono, o meglio ci lasciamo invadere. Le curve sono quella via di mezzo nella quale riusciamo a vedere delle volte il bicchiere mezzo pieno e delle volte il bicchiere mezzo vuoto, uno strattone che ci allontana da noi stessi e un dolce passo di danza che ci porta verso il nostro centro. Poi le sfumature, l’equilibrio forse più difficile da raggiungere dove non esiste il “o”…. “o” ma il “e”….”e”, dove i colori sono quelli dell’arcobaleno e non le immagini di una televisione in bianco e nero, dove riusciamo a guardare e a sorprenderci della grandezza del nostro vivere già solo perchè siamo unici e irripetibili al mondo con i nostri pregi e i nostri difetti, luci e ombre, con i nostri forse e i nostri però ma pur sempre unici.
Imparare a dire di no….Quanto è difficile tante volte pronunciare questa semplice parola….Già perché se dico di no cosa potrebbe succedere? Verrò rifiutato? Verrò abbandonato? Perderò la stima e l’amore degli altri? Non sarò accettato? Ma quanto l’accettazione da parte degli altri passa insindacabilmente attraverso l’accettazione di noi stessi in prima istanza. Per noi però è sempre troppo difficile pensare ad affermare il nostro modo di essere, è molto più facile annullarsi per accontentare gli altri. Il risultato è che così ci vogliamo sempre meno bene, ci sentiamo sfruttati e inadeguati. I nostri desideri e le nostre esigenze passano in secondo ordine perche ‘la paura di disturbare’ è sempre più forte. Il nostro canone di perfezione è sempre così preponderante che non lascia spazio a ciò di cui abbiamo bisogno e alla fine ci ritroviamo a vivere una vita arida perchè è quella vita che NOI non avremmo voluto. Una vita in cui l’altro occupa uno spazio sempre troppo grande nel nostro mondo, uno spazio che lievita ogni giorno di più senza lasciare neanche un cantuccio per noi stessi, per potere esprimere la nostra personalità. Il risultato è soffocare continuamente e covare rabbia, stanchezza e un grande senso di insoddisfazione. Ci sentiamo invasi dall’altro che può approfittare della nostra disponibilità perche se fondamentalmente non ci poniamo noi alcun problema perché dovrebbe farlo gli altri? Allora impariamo a rispettare il nostro spazio e di conseguenza a farlo rispettare. D’altronde, come dice Fabio Volo ‘Pensare a se stessi non è un egoismo. Semmai lo è pensare solo a se stessi’.
Quando non si ha la lucidità di capire la differenza tra ciò che deve essere messo in discussione e cosa no, si finisce che si accettano le cose che dovrebbero cambiare e si insiste a voler modificare quelle che si devono accettare così come sono. Accettare non è una cosa facile.Troppo spesso non guardiamo fino in fondo ad un nostro modo di essere o ad un aspetto patologico per paura di affrontarne la sofferenza che ne consegue. E allora rivolgiamo il nostro sguardo in ciò che non va negli altri con la pretesa di poterla cambiare, perché ci sembra assurda illogica e inaccettabile. Poi però ti rendi conto che certe cose non possono essere cambiate e che devi immergerti a capofitto in quello che in te non va. Accettare qualcosa non significa rassegnarsi ma prenderne atto, ammettere la situazione qual è, un passo successivo alla coscienza e precedente all’azione. E se questo comporta affrontare una o più battaglie diventiamo orgogliosi delle nostre cicatrici le quali dicono molto di più della lama della spada che le ha provocate.
Forzaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un simpatico aneddoto parla di due ragazzini, uno ottimista e l’altro pessimista. IL pessimista viene condotto in una stanza colma di bellissimi giocattoli di ogni tipo, ma appena entrato si siede vicino all’uscio e fa il muso. Poco dopo lo fanno uscire e gli chiedono perché lì dentro si sentisse così infelice. “Perché sapevo”, risponde triste “ che se avessi scelto un giocattolo che mi piaceva, probabilmente si sarebbe rotto”.
Nel frattempo il piccolo ottimista, che è stato condotto in una stanza piena di sterco di cavallo, si è messo a scavare alacremente e intanto canticchia una ballata da cow-boy. Quando lo invitano a uscire, scuote il capo e continua a scavare. “io lo so”, esclama tutto eccitato, “ con tutto questo sterco, da qualche parte deve esserci un pony”. Ecco l’importante è credere al pony, credere che ci sia sempre un dono nascosto sotto la ….. chiaro no?
R. Norwood, “Guarire coi perché”
Quante volte non ci soffermiamo abbastanza sui risultati ottenuti o non ne godiamo neanche una briciola perché abbiamo paura che sia un’illusione? Ci diciamo ‘ok ho raggiunto questo obbiettivo ma sicuramente una ‘trappola’ c’è’ dimenticando il faticoso cammino che ci ha portato a raggiungerlo. E’ vero mai abbassare la guardia e esser comunque pronti, ,ma troppe volte questo diventa un ostacolo nel passare in rassegna i doni che abbiamo ricevuto. Dal peggiore dei mali può nascere una nuova vita e il livello di consapevolezza che abbiamo raggiunto può servirci a pensare che anche le nostre attuali difficoltà daranno i loro frutti.
E poi diventi un parafulmine, la malattia diventa un parafulmine per gli altri. Attraverso essa possono uscir fuori dinamiche che non riguardano in toto te in prima persona, ma le persone che hai accanto. Essa può scatenare paure, rabbia, insicurezze negli altri o meglio le risvegliano e diventa il mezzo attraverso il quale anche gli altri parlano di sè.
Hanno da ridire su di te, sulle cose che non vanno in te ma in realtà parlano di loro, del loro mondo e di ciò che in loro non va.
Questo accade in famiglia dove ridefinire i ruoli e gli spazi diventa complicato e la malattia diventa uno spazio che ci si ricava per farsi sentire, ma non solo per chi la vive in prima persona ma anche per le persone che ti stanno intorno e questo può essere molto pericoloso. La stanchezza mentale delle persone coinvolte nel percorso terapeutico è normale che ci sia e che si faccia sentire, ma tante volte si traduce in un' ambivalenza di stati d'animo in cui si vorrebbe esser coinvolti ma allo stesso tempo non ce la si fa più. Allora tu vivi in questo stato di confusione che è non solo tua ma anche degli altri. Capire fino a che punto coinvolgerli e quando fermarsi. questo è un altro problema.
Quando si vive un disagio per tanto tempo si comincia a credere che ormai non ci sia nulla da fare, ci si da per spacciati e si abbandona ogni speranza...allora diviene più difficile entrare in contatto con il concetto di AIUTO.E' insito nella natura dell'essere umano perseguire l'idea 'io basto a me stesso', 'non ho bisogno degli altri', un concetto che trasferito su un disagio diventa molto pericoloso e tende ad amplificarsi. Ci si chiude in se stessi perchè non ci si sente capiti non si sente quell'empatia con l'altro che ti fa sentire a tuo agio nell'esprimerti, hai paura di essere frainteso, giudicato e dopo tutto molte volte, anzi troppe volte, si dice 'sto bene' perchè sarebbe troppo complicato spiegare perchè si sta male. Allora eviti, ti nascondi dietro un falso sorriso e quelle tre parole 'tutto bene grazie', è meno impegnativo sicuramente, il rischio è che poi a forza di dirlo te ne convinci e in superficie diventi il paladino del benessere. Si in superficie...come un lago gelato fatto di strati di ghiaccio più resistenti e lastre che al minimo tocco vanno in mille pezzi e poi inevitabilmente devi fare i conti con quelle acque gelide che ti paralizzano. E' lì che si blocca tutto; pensieri, emozioni e parole...perchè l'impatto è così forte che reagire istantaneamente è impossibile. Allora pensi che avventurarti su un lago ghiacciato è qualcosa di troppo pericoloso e decidi o di rimanere impassibile su una sponda o di calpestarlo con cautela per cercare la parte più fragile, quella più facile da perforare ma hai l'accortezza di portarti una corda dietro e si assicurarti la presenza delle giuste persone sulla sponda del lago per poterti poi calare nell'abisso, immergerti nel gelo di quelle acque e risalire aiutandoti con quella corda che è fatta 'soltanto' di tutto l'amore che puoi avere per te stesso, e da quelle stesse persone pronte a tenderti la mano sulla riva del lago.
Riaffacciarsi con occhi e un cuore diverso a qualcosa che già conosciamo. Tante volte è facile perdere quel senso della ‘sorpresa e della scoperta’ davanti ad eventi o ad attività che per lungo tempo hanno fatto parte della nostra vita. L’emozione della novità è qualcosa che si perde quando ripetiamo per l’ennesima volta qualcosa che facciamo più o meno da sempre. Invece il segreto per goderne appieno ogni volta è proprio quello di guardarlo sempre con occhi nuovi. Sorprendersi di sé e di quello che ti accade intorno è uno dei dono più speciali che la vita ti può offrire. Un po’ quello che è successo a me ieri. Dopo tanto tempo rivestire quei vestiti da pagliaccio, che si in passato mi emozionavano già solo nell’indossarli, ma ieri sera è stato qualcosa di diverso.
Avrà avuto un significato anche il mio nuovo vestito, nuova Rosy nuovi abiti. Mi sono ritrovata a fare qualcosa che facevo da tempo e nella quale a detta degli altri me la sono sempre cavata egregiamente forse per lo spirito che mi ha sempre accompagnato. Ma ogni volta lo vivevo si bene ma anche con un senso di ansia e di angoscia che mi accompagnava e del quale piano piano mi sto liberando da un anno a questa parte. Certo di strada da fare ce n’è ancora molta per arrivare a quella tanto desiderata serenità ma ieri ho sentito i risultati del cambiamento che sta avvenendo in me. Mi sono divertita, ma in maniera diversa senza pensare troppo ‘ma i genitori dei bambini saranno soddisfatti, io sarò abbastanza brava’ una trappola infernale questa. Bè ieri per molti istanti questo pensiero mi ha abbandonato e sono riuscita a godere di più anche del mio e del loro sorriso così come di quello di mia sorella che inevitabilmente anche lei non sta vivendo un momento facile proprio per tutto quello che ha scatenato la mia malattia. E come diceva il grande De Andrè è proprio vero che ‘dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior’.
Un abbraccio Michi
Scoprirsi, svelare i propri scheletri nell’ armadio, può essere un atto di coraggio, un impulso dettato dalla stanchezza, un modo per essere trasparenti, non giustificarsi in continuazione o spiegare perché si fa o non si fa una determinata cosa. Non sto parlando di denudarsi di quella giusta e sana riservatezza che deve far parte di noi, ma semplicemente della voglia di vivere in libertà il proprio essere, senza più trappole. É vero tante cose rimarranno incomprensibili alle persone, soprattutto quando la tua bocca pronuncia queste parole " soffro di anoressia da otto anni"..e da li "ma come, perché non ti manca niente, hai tutte le carte in regola". Prima di tutto perché, non c è un perché, possono esserci uno,due,dieci, cento mila perché quindi non c è risposta, poi ho tutto? Non mi manca nulla ? Allora vi dico cosa è tutto? Quel tutto può essere tranquillamente NIENTE,il vuoto...allora non biasimo chi non può capire fino in fondo di cosa si tratta perché solo vivendola si può veramente comprendere..chi soffre come te dello stesso male, non verrà a chiederti perché , ma ti sfiorerà con uno sguardo con il quale ti dirà so cosa provi. Ma per chi ne è al di fuori, anche se giustamente si sente impotente,sappia che le parole tante volte non servono a molto ma un semplice abbraccio può far rimanere senza fiato.
Leggendo alcune pagine di un diario che ormai da tempo sto scrivendo, mi è venuta ancora più voglia di parlarvi un pò di me.......Bè che dire sono otto anni che combatto la mia battaglia con l'anoressia una battaglia lunga, difficile fatta di riprese e ricadute....si può dire che quasi immediatamente chiesi aiuto e cominciai subito ad essere seguita da una nutrizionista e da una psicologa e per breve tempo da uno psichiatra...ho fatto esperienze di danzamovimentoterapia, terapia di gruppo e familiare e apparentemente sembrava che le cose stessero migliorando...ma l'anoressia è subdola così come la bulimia...infatti due anni fa inevitabilmente è arrivata una brutta ricaduta....il vomito era diventato il mio "compagno" ogni giorno e più volte al giorno...se alcuni giorni mangiavo pochissimo in altri mi azzardavo a mangiare un pò di più, quel di più che può rientrare nella normalità, il vomito diventava un chiodo fisso, un rito e tante volte mangiavo per vomitare, riempire un vuoto per svuotarlo subito perchè tenere il cibo dentro di me significava trattenere anche emozioni per me insopportabili e l'unica strada per farle uscire fuori era proprio quella...questa situazione è andata avanti fino allo scorso anno quando ho rischiato un arresto cardiaco...ricoverata in ospedale ho cominciato l'alimentazione parenterale, dolorosa, invasiva psicologicamente e fisicamente e solo dopo mi sono resa ben conto che anche quello era il segno di una grave patologia...come può accettare una persona tanto dolore fisico e psicologico piuttosto che mangiare? La cosa più naturale del mondo in fin dei conti...da lì è cominciato un altro calvario l'attesa di ricovero in una clinica di Guidonia specializzata in disturbi alimentari...l'attesa ha comportato una vita ospedaliera in casa...non mi era consentito fare quasi nulla per evitare di perdere altro peso, finchè nell'agosto dell'altro anno sono stata ricoverata...un percorso duro, doloroso difficile per me e la mia famiglia....lì ho imparato ad accettare la malattia un altro step fondamentale per la "guarigione". Gia perchè in otto anni non ho mai accettato il fatto di essere anoressica, avevo anche paura di pronunciare questa parola...la consapevolezza è il primo passo ma poi ci vuole l'accettazione perchè senza quella il cammino diventa più difficile anzi direi impossibile. Ora continuo le mie cure fuori dopo nove mesi di ricovero. Il mio percorso è molto lento perchè ho imparato anche che ci vuole molta pazienza oltre a molta forza. Sono i piccoli passi quelli che rendono le tue giornate e i tuoi risultati grandi, fatti nei giusti tempi....Mi sto rendendo conto anche di quanta forza mi dia parlarne, qui, con gli amici, conoscenti e soprattutto poter contribuire in qualche modo alla sensibilizzazione delle persone al problema...è per questo che vi dico non abbiate paura, non provate vergogna date voce alle vostre sofferenze, perchè il dolore appartiene a tutti così come la rabbia, l'intolleranza, l'insicurezza, la gioia, l'allegria e chi ne ha più ne metta.Vi abbraccio forte
La libertà si raggiunge cercando altrove ? Altrove dove ? Rimanere imprigionati ...in un labirinto di menzogne e paure, in acque fredde, gelide senza alcun conforto ti spinge a volare via per cercare altrove quell'angolo di paradiso. Ma prima di volare bisogna percorrere quel labirinto strabordante di rovi, vecchi alberi privi di vita, sentieri sterrati fatti di sassi appuntiti sui quali si rischia di cadere, dove i raggi del sole si posano per troppo poco tempo per poter riscaldare anche un solo quadratino di terra. Allora l’ istinto è quello di fuggire perché si è stanchi, affaticati e non ci si riesce nemmeno ad ammetterlo, o meglio 'non ci è concesso'. Ma quando esplori ogni angolo del labirinto anche quello più impervio, ne esci ugualmente distrutta e sfinita, con ogni scampolo del tuo corpo segnato da cicatrici. Da questo momento però puoi permetterti di volare e anche di andare a cercare altrove..
Gli ostacoli possono essere una risorsa?.....direi proprio di si! Risorsa, mezzo di conquiste e cambiamenti...chi l'avrebbe mai detto che attraverso il mio grande"OSTACOLO" scoprissi la meravigliosità della colazione...una cosa normale per tanti ma per me, come ben mi capite, no.... ora per me la colazione è diventata sacrosanta...il mio primo pensiero del mattino è quello di andare a fare colazione perchè è il mio corpo che me lo chiede...la colazione non ha mai fatto parte del mio stile alimentare neanche prima della malattia ma ora almeno quella è diventata sacrosanta... in quel momento riesco ad ascoltare il mio corpo, i suoi bisogni e guai a chi me la leva !!! il corpo che deve essere soddisfatto, che prova piacere perchè l'atto del mangiare non è per forza legato a un dovere è una sensazione che il mio OSTACOLO mi ha dato l'opportunità di provare...quante persone vivono la loro vita in maniera automatica senza dare "peso" a ciò che fa parte della quotidianità? io ci sono riuscita perchè forse quella non era la mia quotidianità, anzi era la proibizione fatta persona. Certo sono molto legata ad un certo tipo di colazione e in questo sono ancora molto rigida, ma guardo al fatto che prima era solo un grande tabù! Per me questa è una piccola grande vittoria che ho raggiunto nel mio cammino e farò di tutto affinchè esso sia costellato di vittorie...guardo avanti si agli obbiettivi da raggiungere ma mi godo anche quelli raggiunti, per sentirmi fiera di me come non ho mai fatto
Pensare a se stessi è terrificante,
ma è la sola cosa onesta:
pensare a me come io sono,
alle mie brutte caratteristiche,
alle mie belle qualità,
e stupirmene.
Quale altro concreto inizio,
da quale punto di partenza progredire, se non da me stesso?
Kahlil Gibran
In un percorso di conoscenza di sè dove si va a scavare in profondità, si viene a contatto con ogni nostro spigolo, curva o sfumatura. Uno spigolo può essere fastidioso da sopportare; una debolezza che non si accetta perché pensiamo di non potercela permettere, dobbiamo essere all’altezza delle aspettative degli altri e soprattutto delle nostre inconsapevoli, un ‘difetto’ che ci allontana dal nostro modello rigido di perfezione che ci rende troppo severi e intolleranti verso noi stessi perché forse tutta la tolleranza che possediamo la utilizziamo solo verso gli altri che poi inesorabilmente ci invadono, o meglio ci lasciamo invadere. Le curve sono quella via di mezzo nella quale riusciamo a vedere delle volte il bicchiere mezzo pieno e delle volte il bicchiere mezzo vuoto, uno strattone che ci allontana da noi stessi e un dolce passo di danza che ci porta verso il nostro centro. Poi le sfumature, l’equilibrio forse più difficile da raggiungere dove non esiste il “o”…. “o” ma il “e”….”e”, dove i colori sono quelli dell’arcobaleno e non le immagini di una televisione in bianco e nero, dove riusciamo a guardare e a sorprenderci della grandezza del nostro vivere già solo perchè siamo unici e irripetibili al mondo con i nostri pregi e i nostri difetti, luci e ombre, con i nostri forse e i nostri però ma pur sempre unici.
Imparare a dire di no….Quanto è difficile tante volte pronunciare questa semplice parola….Già perché se dico di no cosa potrebbe succedere? Verrò rifiutato? Verrò abbandonato? Perderò la stima e l’amore degli altri? Non sarò accettato? Ma quanto l’accettazione da parte degli altri passa insindacabilmente attraverso l’accettazione di noi stessi in prima istanza. Per noi però è sempre troppo difficile pensare ad affermare il nostro modo di essere, è molto più facile annullarsi per accontentare gli altri. Il risultato è che così ci vogliamo sempre meno bene, ci sentiamo sfruttati e inadeguati. I nostri desideri e le nostre esigenze passano in secondo ordine perche ‘la paura di disturbare’ è sempre più forte. Il nostro canone di perfezione è sempre così preponderante che non lascia spazio a ciò di cui abbiamo bisogno e alla fine ci ritroviamo a vivere una vita arida perchè è quella vita che NOI non avremmo voluto. Una vita in cui l’altro occupa uno spazio sempre troppo grande nel nostro mondo, uno spazio che lievita ogni giorno di più senza lasciare neanche un cantuccio per noi stessi, per potere esprimere la nostra personalità. Il risultato è soffocare continuamente e covare rabbia, stanchezza e un grande senso di insoddisfazione. Ci sentiamo invasi dall’altro che può approfittare della nostra disponibilità perche se fondamentalmente non ci poniamo noi alcun problema perché dovrebbe farlo gli altri? Allora impariamo a rispettare il nostro spazio e di conseguenza a farlo rispettare. D’altronde, come dice Fabio Volo ‘Pensare a se stessi non è un egoismo. Semmai lo è pensare solo a se stessi’.
Quando non si ha la lucidità di capire la differenza tra ciò che deve essere messo in discussione e cosa no, si finisce che si accettano le cose che dovrebbero cambiare e si insiste a voler modificare quelle che si devono accettare così come sono. Accettare non è una cosa facile.Troppo spesso non guardiamo fino in fondo ad un nostro modo di essere o ad un aspetto patologico per paura di affrontarne la sofferenza che ne consegue. E allora rivolgiamo il nostro sguardo in ciò che non va negli altri con la pretesa di poterla cambiare, perché ci sembra assurda illogica e inaccettabile. Poi però ti rendi conto che certe cose non possono essere cambiate e che devi immergerti a capofitto in quello che in te non va. Accettare qualcosa non significa rassegnarsi ma prenderne atto, ammettere la situazione qual è, un passo successivo alla coscienza e precedente all’azione. E se questo comporta affrontare una o più battaglie diventiamo orgogliosi delle nostre cicatrici le quali dicono molto di più della lama della spada che le ha provocate.
Forzaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un simpatico aneddoto parla di due ragazzini, uno ottimista e l’altro pessimista. IL pessimista viene condotto in una stanza colma di bellissimi giocattoli di ogni tipo, ma appena entrato si siede vicino all’uscio e fa il muso. Poco dopo lo fanno uscire e gli chiedono perché lì dentro si sentisse così infelice. “Perché sapevo”, risponde triste “ che se avessi scelto un giocattolo che mi piaceva, probabilmente si sarebbe rotto”.
Nel frattempo il piccolo ottimista, che è stato condotto in una stanza piena di sterco di cavallo, si è messo a scavare alacremente e intanto canticchia una ballata da cow-boy. Quando lo invitano a uscire, scuote il capo e continua a scavare. “io lo so”, esclama tutto eccitato, “ con tutto questo sterco, da qualche parte deve esserci un pony”. Ecco l’importante è credere al pony, credere che ci sia sempre un dono nascosto sotto la ….. chiaro no?
R. Norwood, “Guarire coi perché”
Quante volte non ci soffermiamo abbastanza sui risultati ottenuti o non ne godiamo neanche una briciola perché abbiamo paura che sia un’illusione? Ci diciamo ‘ok ho raggiunto questo obbiettivo ma sicuramente una ‘trappola’ c’è’ dimenticando il faticoso cammino che ci ha portato a raggiungerlo. E’ vero mai abbassare la guardia e esser comunque pronti, ,ma troppe volte questo diventa un ostacolo nel passare in rassegna i doni che abbiamo ricevuto. Dal peggiore dei mali può nascere una nuova vita e il livello di consapevolezza che abbiamo raggiunto può servirci a pensare che anche le nostre attuali difficoltà daranno i loro frutti.
E poi diventi un parafulmine, la malattia diventa un parafulmine per gli altri. Attraverso essa possono uscir fuori dinamiche che non riguardano in toto te in prima persona, ma le persone che hai accanto. Essa può scatenare paure, rabbia, insicurezze negli altri o meglio le risvegliano e diventa il mezzo attraverso il quale anche gli altri parlano di sè.
Hanno da ridire su di te, sulle cose che non vanno in te ma in realtà parlano di loro, del loro mondo e di ciò che in loro non va.
Questo accade in famiglia dove ridefinire i ruoli e gli spazi diventa complicato e la malattia diventa uno spazio che ci si ricava per farsi sentire, ma non solo per chi la vive in prima persona ma anche per le persone che ti stanno intorno e questo può essere molto pericoloso. La stanchezza mentale delle persone coinvolte nel percorso terapeutico è normale che ci sia e che si faccia sentire, ma tante volte si traduce in un' ambivalenza di stati d'animo in cui si vorrebbe esser coinvolti ma allo stesso tempo non ce la si fa più. Allora tu vivi in questo stato di confusione che è non solo tua ma anche degli altri. Capire fino a che punto coinvolgerli e quando fermarsi. questo è un altro problema.
Quando si vive un disagio per tanto tempo si comincia a credere che ormai non ci sia nulla da fare, ci si da per spacciati e si abbandona ogni speranza...allora diviene più difficile entrare in contatto con il concetto di AIUTO.E' insito nella natura dell'essere umano perseguire l'idea 'io basto a me stesso', 'non ho bisogno degli altri', un concetto che trasferito su un disagio diventa molto pericoloso e tende ad amplificarsi. Ci si chiude in se stessi perchè non ci si sente capiti non si sente quell'empatia con l'altro che ti fa sentire a tuo agio nell'esprimerti, hai paura di essere frainteso, giudicato e dopo tutto molte volte, anzi troppe volte, si dice 'sto bene' perchè sarebbe troppo complicato spiegare perchè si sta male. Allora eviti, ti nascondi dietro un falso sorriso e quelle tre parole 'tutto bene grazie', è meno impegnativo sicuramente, il rischio è che poi a forza di dirlo te ne convinci e in superficie diventi il paladino del benessere. Si in superficie...come un lago gelato fatto di strati di ghiaccio più resistenti e lastre che al minimo tocco vanno in mille pezzi e poi inevitabilmente devi fare i conti con quelle acque gelide che ti paralizzano. E' lì che si blocca tutto; pensieri, emozioni e parole...perchè l'impatto è così forte che reagire istantaneamente è impossibile. Allora pensi che avventurarti su un lago ghiacciato è qualcosa di troppo pericoloso e decidi o di rimanere impassibile su una sponda o di calpestarlo con cautela per cercare la parte più fragile, quella più facile da perforare ma hai l'accortezza di portarti una corda dietro e si assicurarti la presenza delle giuste persone sulla sponda del lago per poterti poi calare nell'abisso, immergerti nel gelo di quelle acque e risalire aiutandoti con quella corda che è fatta 'soltanto' di tutto l'amore che puoi avere per te stesso, e da quelle stesse persone pronte a tenderti la mano sulla riva del lago.
Riaffacciarsi con occhi e un cuore diverso a qualcosa che già conosciamo. Tante volte è facile perdere quel senso della ‘sorpresa e della scoperta’ davanti ad eventi o ad attività che per lungo tempo hanno fatto parte della nostra vita. L’emozione della novità è qualcosa che si perde quando ripetiamo per l’ennesima volta qualcosa che facciamo più o meno da sempre. Invece il segreto per goderne appieno ogni volta è proprio quello di guardarlo sempre con occhi nuovi. Sorprendersi di sé e di quello che ti accade intorno è uno dei dono più speciali che la vita ti può offrire. Un po’ quello che è successo a me ieri. Dopo tanto tempo rivestire quei vestiti da pagliaccio, che si in passato mi emozionavano già solo nell’indossarli, ma ieri sera è stato qualcosa di diverso.
Avrà avuto un significato anche il mio nuovo vestito, nuova Rosy nuovi abiti. Mi sono ritrovata a fare qualcosa che facevo da tempo e nella quale a detta degli altri me la sono sempre cavata egregiamente forse per lo spirito che mi ha sempre accompagnato. Ma ogni volta lo vivevo si bene ma anche con un senso di ansia e di angoscia che mi accompagnava e del quale piano piano mi sto liberando da un anno a questa parte. Certo di strada da fare ce n’è ancora molta per arrivare a quella tanto desiderata serenità ma ieri ho sentito i risultati del cambiamento che sta avvenendo in me. Mi sono divertita, ma in maniera diversa senza pensare troppo ‘ma i genitori dei bambini saranno soddisfatti, io sarò abbastanza brava’ una trappola infernale questa. Bè ieri per molti istanti questo pensiero mi ha abbandonato e sono riuscita a godere di più anche del mio e del loro sorriso così come di quello di mia sorella che inevitabilmente anche lei non sta vivendo un momento facile proprio per tutto quello che ha scatenato la mia malattia. E come diceva il grande De Andrè è proprio vero che ‘dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior’.
E negli abissi della rabbia puoi affogare...quella rabbia inespressa, che ti comprime lo stomaco tanto da renderlo insensibile...soffocare, non svelare e ingoiare...tenerla nascosta in primis a se stessi perché pensi che sia un' emozione malvagia che tu non puoi provare, il tuo modo di porti non ammette rabbia..un sentimento malsano che non può appartenere ad un cuore nobile! Ma siamo umani, esseri umani con le proprie debolezza e le proprie fragilità, con la rabbia, il rancore e l intolleranza...per continuare a dimostrare di avere un cuore nobile non ci si permette neanche più di essere semplicemente quello che siamo; esseri umani...provare emozioni che definirei ' difficili' può metterti in gabbia proprio perché sono loro a farlo nel momento in cui non gli dai spazio facendo finta che non esistano..dargli voce non significa essere malvagi, significa accettarsi e poterle guardare dritte negli occhi. Questo può rendere il tuo cuore ancora più nobile !
Una bolla nell'aria
Rosy racconta....
Una vita sospesa come una bolla nell'aria che fluttua...questa vita era la mia più di un anno fa....appesa a un filo, fluttuante e senza stabilità...un rimanere sospesi che fa male, ti uccide dentro e fuori...ma nel rimanere sospesi una dolce e flebile mano ti evita di cadere più giù, di dissolverti a terra come se niente fosse. Una mano amica che ti protegge, ti sostiene e ti accompagna. Quella mano emanava calore, un respiro vitale così come una luce soffusa irradiava il mio essere delicatamente senza farsi sentire troppo, perchè il gelo intorno a me era veramente troppo per essere annientato da una tenue luce apparentemente insignificante. Quel barlume però è stato più forte e mi ha guidato e mi sta guidando verso la risalita...curve, dossi, dirupi ma così quella luce come quella mano mi accompagnano, mi sfiorano con grazia e mi trasmettono man mano quel tepore...ed io ora porgo loro una guancia per avere una e più carezze, nei momenti di sconforto e nelle piccole vittorie, perchè ora fa un pò meno freddo e quel gelo davvero non lo voglio più.
Una vita sospesa come una bolla nell'aria che fluttua...questa vita era la mia più di un anno fa....appesa a un filo, fluttuante e senza stabilità...un rimanere sospesi che fa male, ti uccide dentro e fuori...ma nel rimanere sospesi una dolce e flebile mano ti evita di cadere più giù, di dissolverti a terra come se niente fosse. Una mano amica che ti protegge, ti sostiene e ti accompagna. Quella mano emanava calore, un respiro vitale così come una luce soffusa irradiava il mio essere delicatamente senza farsi sentire troppo, perchè il gelo intorno a me era veramente troppo per essere annientato da una tenue luce apparentemente insignificante. Quel barlume però è stato più forte e mi ha guidato e mi sta guidando verso la risalita...curve, dossi, dirupi ma così quella luce come quella mano mi accompagnano, mi sfiorano con grazia e mi trasmettono man mano quel tepore...ed io ora porgo loro una guancia per avere una e più carezze, nei momenti di sconforto e nelle piccole vittorie, perchè ora fa un pò meno freddo e quel gelo davvero non lo voglio più.
Ancora tanta forza nel raccontare...
Danzando per la vita
Storia vera di Barbara M. raccolta da Giulia Bertollini
Era una notte di fine gennaio. Fuori, il vento e la pioggia sembravano combattere un'ardua battaglia come fossero antagonisti di una triste storia. Nella penombra della mia stanza, la luce vibrante dei tuoni ritagliava sulle pareti immagini di vita danzante mentre il lento sciabordio dell'acqua si mescolava confusamente ai ricordi di una vita trascorsa davanti ad una sbarra. Negli anni passati in Accademia avevo assaporato il merito e il successo ma nel contempo mi ero anche imbattuta nella sofferenza e nel vuoto dell'anima. Avevo sei anni quando per la prima volta mia madre mi accompagnò in una scuola di danza. E' strano come certe sensazioni si ripropongano ogni qualvolta un brivido scorra sotto la pelle. L'odore della pece solleticava quella stanchezza improvvisa che funestava i muscoli e intorpidiva la mente mentre i grandi specchi a muro riflettevano le posizioni e condannavano gli errori. Appoggiavo le mani alla sbarra e nella fatica dei movimenti sentivo il legno inumidito, impregnato di sudore. Quando danzavo riuscivo a sentirmi libera ed era come se le note sprigionate dal pianoforte accarezzassero la mia anima, trastullandola di baci. Con il tempo però, riuscii a sgrossare quella acerba realtà e quello che vidi si confondeva con i miei sogni, dissacrandoli e annegandoli nella confusione. Non tutte infatti, compresa me, possedevano quelle linee perfette che la danza richiedeva come fosse un dettame obbligatorio e questo, unitamente ai chili di troppo, poteva infierire nella mente di una ballerina ambiziosa. Durante il quinto anno di corso, provai a mie spese che la rincorsa della perfezione è spesso il riscatto dell'abnegazione totale. Indossavo la magrezza come l'abito migliore e guardandomi allo specchio, adulavo le ossa sporgenti. Non immaginavo a cosa stessi andando incontro fin quando un giorno capii che il mio stomaco era diventato un piccolo imbuto. L'incubo assunse così contorni spaventosi sino a rivelare il proprio nome: Anoressia.
Seduta a tavola, fissavo il cibo e sfidavo il suo odore cercando di frenare l'impulso del vomito improvviso. La bistecca riposava nel piatto accomiatando la forchetta, appoggiata tra le labbra della bocca. Fingevo di masticare buttando giù saliva, un gioco perverso dietro cui annullare preoccupazioni e paure. Il calore avvampava le orecchie e il cuore batteva all'impazzata, scandendo ritmi sovrapposti. Mi alzai di scatto dalla sedia correndo trafelata verso il bagno, mentre sentivo lo stomaco mordersi per poi svuotarsi come un peso stanco nella tazza. Il cibo si trasformò pian piano in un'amara ossessione, un demone da cui dileguarsi, un avido nemico da sconfiggere. I capelli divennero sempre più radi, ridotti ormai ad un insolito mucchietto e il sangue mestruale si arrestò. Arrivai a pesare 33 kg per 1.72 di altezza. Intanto in Accademia, fervevano i preparativi per il saggio di fine corso. Il balletto scelto era “La Bella Addormentata” di Chaikovsky, uno dei più grandi capolavori del musicista russo. Presentimenti negativi infarcivano ed adombravano i pensieri mentre sentivo affrettarsi il passo cocente della delusione. L'amara convinzione si dissolse però nelle parole dell'insegnante:
“ Barbara, tu interpreterai la Fata dei Lillà”.
Il grido interiore di entusiasmo faceva a cazzotti con il senso di inadeguatezza. Durante le prove, sentivo le gambe afflosciarsi come panni sbattuti e la testa girare vorticosamente. Di notte, immobile nel letto, dipingevo con lo sguardo il mio corpo vissuto e straziato. Lo vedevo lì, steso a terra, martoriato e coperto di lividi profondi, mentre a stento tentava di rianimarsi, assetato di vendetta.
Con le mani, tastando il ventre nudo, rivelavo solchi e ossa e, nel silenzio, trangugiavo a sorsi la disperazione, arginando le lacrime. Ogni giorno di vita era una fuga dall'abbraccio della morte. Ballando sulle punte, eclissavo i languori spenti e i sorrisi persi raggirando il dolore che mi scuoteva. Ma, un giorno, accadde l'imprevedibile: durante le prove in teatro, mentre mi esibivo in una variazione, caddi rovinosamente a terra. La Fata dei Lillà giaceva sul pavimento, priva di sensi.
Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai in un letto di ospedale con l'ago della flebo conficcato nel braccio. Non ricordavo nulla di quanto era accaduto. Era come se la memoria si fosse tramutata improvvisamente in un buco nero nel quale gorgogliavano marce speranze e desideri infranti. Nella sacca, le gocce di glucosio cadenzavano il tempo malsano, ristorando l'aspra sconfitta. I mesi intanto trascorrevano lenti, animati talvolta dalle visite di parenti e amiche dell'Accademia. Mi rinserravo nei loro gesti d'affetto,rubando sorrisi ed estorcendo consigli. In quel momento, più che mai, avevo bisogno di ricevere calore e amore da chi mi voleva bene. Purtroppo però, i miei genitori erano morti in un tragico incidente stradale quando avevo undici anni e la loro perdita non si era mai cicatrizzata. Nel frattempo, i medici mi sottoposero ad alimentazione forzata, costringendomi ad ingerire piccole quantità di cibo per riabituare lo stomaco. Le macerie del corpo si sgretolarono sotto il peso di una nuova pelle. Lottavo tutti i giorni per vivere e per ricominciare a danzare. Ad ogni boccone di cibo, ingerito e non rimesso, rimuginavo sul lungo calvario vissuto espiando l'inammissibile ingenuità. Riacquistavo giorno dopo giorno i chili persi mentre la mia vecchia immagine affondava trascinando assieme a sé le viscere del mostro. Mi sentivo meglio e questo bastava a darmi la carica per non arrendermi. Come un leitmotiv, continuavo a pensare alle parole di mia madre all'epoca in cui entrai in Accademia.
“ Sarà una strada difficile, ardua, alcune volte penserai di perderla di vista ma guarda dritta sempre davanti a te e la ritroverai. Ne sono certa. Rincorri i tuoi sogni e questi un giorno diventeranno realtà”.
Quanto aveva ragione!. Terminato il periodo di ricovero, tornai in Accademia. Ero pronta ad un nuovo inizio e stavolta niente mi avrebbe fermato. L'anoressia si era insinuata subdolamente come un amante mendace strappandomi dalle mani il futuro e violentando i sogni ma io avevo dimostrato di essere più forte e avevo vinto. Ce l'avevo fatta. Oggi, da ballerina professionista, posso raccontare la mia storia infondendo coraggio a tutte le donne che rinnegano la loro immagine braccando la femminilità nell'assenza di curve. Voglio dire loro che, prima di amare gli altri, bisognerebbe imparare ad amare se stessi con le proprie imperfezioni e instabilità. Stasera si va di nuovo in scena per una replica del balletto “Il Lago dei Cigni”. L'emozione è palpabile. Seduta in camerino, osservo l'immagine riflessa di Odette. L'altra metà, Odile, l'ho seppellita dentro di me tanto tempo fa. Mancano cinque minuti. Mi alzo avviandomi dietro le quinte mentre in platea serpeggia il silenzio.
Il sipario si alza e la luce si spegne. Lo spettacolo può iniziare.
venerdì 6 settembre 2013
Rossella
Grazie ancora Rossella
Michi
La questione è che ce la prendiamo col cibo quando vorremo vomitare tutt'altro, la rabbia, la paura, la gente. Quel posto per tre, che invece è solo per due. Tu ne sei fuori. Quel posto che qualcuno si è preso senza chiedere permesso, senza bussare alla tua porta o all'anima. Quegli occhi che ti scrutano e sì, ti fanno schifo, rabbia, non è odio. E' che quella donna ti ha portato via tutto con violenza, si è presa ogni cosa, il mobile che piaceva a tua madre, gli scatoloni pieni di ricordi e speranze, le foto, lo spazio, la casa, tuo padre. Perché sì, alla fine per quanto non fossimo una coppia vincente, si era creata una certa complicità di padre e figlia, effimera, debole, ma c'era. Poi sì, ce la prendiamo col cibo quando ti scoppia il cuore ed i legami vanno in frantumi, ce la prendiamo col cibo perché non ha un volto, non ha voce, resta solo lì a subire ciò che ti accade dentro, mentre gli occhi degli altri non vedono e le orecchie di tuo padre non ascoltano. Mentre lei tira fuori il peggio di te, sradica via le tue certezze ed il tuo tetto sulla testa. Sei fuori, scoperta, non resisti agli urti e non ce la fai più neanche con il tempo, quando hai riscoperto il piacere di vivere, quando tua madre ti ha ridato la vita per la seconda volta, con l'amore che solo una madre può donare, non ce la fai ancora a vedere gli occhi di quella donna che si è presa tutto quello che c'era. Sono ancora lame taglienti, ma lasciarla vincere, lasciare che tutto ritorni come era prima, lasciare che le debolezze ti scavino dentro sino a mostrare che la pelle sono il campo minato dove lotti contro le tue stesse guerre, significherebbe perdere, perdere ancora di più di quanto hai perso. Invece no, parto da me e divento tetto, certezza, divento mio padre, divento tutto ciò che mi è stato asportato. E' una mutazione che parte dalle ceneri e conduce alla vita.
Un abbraccioMichi
mercoledì 5 giugno 2013
Il contributo di Rossella
Ecco un'altra voce importante...
Rossella Assanti
Era inverno ovunque, nei miei 16 anni, tra le pareti di casa e negli occhi indiscreti di chi osservava gelidamente, senza provare a capire, a penetrarti l'anima. Era inverno da quando non trovai più mia madre in cucina a prepararmi la colazione, da quando non sentivo il suo profumo per casa, sì, quel profumo che si portano addosso le persone che ami, ne hanno uno tutto loro. Era inverno da quando mio padre chiuse tutto in degli scatoloni, anche se stesso, anche me. Le parole erano boomerang che tornavano indietro, ti ritornavano tra le mani e facevano male. Il ticchettio dell'orologio rendeva sempre più assordante un silenzio che si attaccava allo stomaco, è lì che nasce e si ferma la vita. E' sullo stomaco che si fermavano gli occhi di quella donna, il vuoto che mio padre mi lasciava dentro fino a logorarmi l'anima, sino a farla ammalare per mancanza di amore, di protezione. Non si ammala la mente, si ammala l'anima. Volevo solo che Lui mi amasse, che le sue braccia fossero un rifugio come quando ero solo una bambina e correvo da lui come se la sua forza compensasse le mie fragilità. Pensai che non ero abbastanza bella per essere l'orgoglio di un padre, che non gli avrei mai sentito dire "sono orgoglioso di te." Le parole non servivano, ti si scagliavano contro e allora dovevo presentargli il dolore su di un piatto d'argento, o su di un piatto sempre pieno mentre lo stomaco diventava sempre più vuoto e il corpo si consumava. Era il mio urlo silenzioso e lo è stato per anni, fino a che il cuore faceva fatica e le gambe non avevano forza per restare in piedi. Pensavo che fosse la fine, un circolo vizioso che inizia con un "terrò tutto sotto controllo" mentre quel "tutto" prende il sopravvento su di te e tu non sei più nulla, anzi, non accetti più nemmeno la tua stessa immagine, sei schiava di un bisogno che non sai più qual è...forse. Sentivo la forte incomprensione anche da parte di quella donna che per anni ascoltava le mie paure, le mie insicurezze e voleva un resoconto dei miei pasti vuoti. Per questo ho mollato anche lei, il bisogno d'amore, di attenzione e di accettazione di se stesse non si compra, non ha un prezzo e lei invece ce lo aveva. Ci si vendeva pur di ricevere conforto, pur di sentirsi apprezzate. Un mondo troppo povero d'amore. Poi la forza di quella donna che mi ha messa al mondo, che non era mai andata via, ma era sempre lì, sempre al suo stesso posto sebbene fisicamente un po' distante, la volontà di non volerla far soffrire, la vergogna di mostrare quel corpo vittima di se stesso e di un'anima fragile, fin troppo. La forza di quella donna, di mia madre, mi ha rimessa al mondo una seconda volta. Non si è mai troppo lontani dalla luce e sebbene i fantasmi ritornino, sebbene talvolta quel cibo sembra essere tutte le parole che vorresti vomitare, tutti i dolori che vorresti rifiutare no, c'è prima la vita da respirare.
sabato 25 maggio 2013
Cose peggiori del riprendere peso
Il post di oggi è ispirato a un post che ho letto sul blog di una ragazza americana. La ragazza in questione, in lotta contro l’anoressia e con il costante timore di prendere troppo peso, ha stilato un lista delle cose che reputa comunque peggiori del riguadagnare chili.
Penso che sia un’idea molto propositiva ed utile: mettere a fuoco che, per quanto riprendere peso possa essere, a suo modo, certamente ansiogeno, ci sono molte cose che sono peggiori di qualche chilo in più. E sono cose che accadono se si resta qualche chilo in meno. Perché è vero: a volte quando si è nel pieno di un DCA si ha l’erronea sensazione che è l’essere “troppo grasse” che ci impedisce di fare tutto nella vita… eppure, in effetti – e lo dico per esperienza personale – anche l’essere troppo magra impedisce di fare tutto.
Credo sia davvero importante renderci conto di questo, e perciò quello che vi invito a fare oggi è stilare la vostra personale lista di ciò che c’è di peggio del dover riprendere peso.
Se vi va, lasciate la vostra lista nei commenti di questo post!
Comincio io, con la mia lista, e dunque…
50 cose peggiori del riprendere peso
1) Non andare in pizzeria con gli amici
2) Non andare fuori con gli amici
3) Non avere amici
4) Essere costantemente in ansia
5) Pianificare tutto quello ciò che c’è da fare nel corso della giornata
6) Pianificare cosa, dove e quanto mangiare
7) Andare nel panico se il piano non è rispettato
8) Realizzare che un piatto di spaghetti aveva più controllo sulla mia vita di quanto non ne avessi io stessa
9) Essere fissata con disgusto da qualcuno per l’eccessiva magrezza
10) Fregarsene di essere fissata con disgusto da qualcuno per l’eccessiva magrezza
11) Rompere le promesse con tutti, specialmente con me stessa
12) Dire bugie a tutti, specialmente a me stessa
13) Non andare al mare/in piscina per la vergogna di dovermi mettere in costume
14) La persona che mi piace che mi dice che non sono un granché perchè sono troppo magra
15) Non poter fare sport per l'eccessivo sottopeso
16) Osteoporosi
17) Infertilità
18) Controlli su controlli dalla dietista
19) Non riuscire a guardarmi allo specchio...
20) ...ma guardarmi in ogni superficie riflettente attraversata
21) Sentirmi in colpa
22) Sentirmi in colpa perchè mi sentivo in colpa
23) Inventare scuse
24) Odiarmi
25) Farmi del male
26) Far preoccupare gli altri per me
27) Essere in fondo preoccupata anch’io per me stessa
28) Vivere secondo regole arbitrarie imposte da me stessa
29) Litigare costantemente con me stessa
30) Non riuscire a badare a me stessa
31) Digestione a puttane
32) Metabolismo idem
33) Perdere la mia identità per l’anoressia
34) Abbassare le aspettative
35) Nascondere e negare
36) Deludere tutti, soprattutto me stessa
37) Miglioramento-ricaduta, miglioramento-ricaduta, miglioramento-ricaduta…
38) Dover rispondere sempre alle stesse domande…
39) … e dare sempre le stesse risposte
40) Basare l’autostima sulla capacità di restringere l’alimentazione
41) Andare a fare tirocinio in ospedale e sembrare più malata dei pazienti
42) Perdere la sanità mentale
43) Non sapere se mi sarei svegliata la mattina successiva
44) Non sapere se avrei voluto svegliarmi la mattina successiva
45) Perdere la libertà
46) Perdere l'autonomia
47) Perdere il controllo
48) Perdere tutto ciò che rende la vita degna d'essere vissuta
49) Perdere me stessa
50) Perdere la vita
Cara anoressia, alla faccia tua, io sono ancora qui che combatto affinchè tu non possa avere la meglio su di me. Perché, sì, la mia morte è un’arte… ma la mia vita è un capolavoro.
Penso che sia un’idea molto propositiva ed utile: mettere a fuoco che, per quanto riprendere peso possa essere, a suo modo, certamente ansiogeno, ci sono molte cose che sono peggiori di qualche chilo in più. E sono cose che accadono se si resta qualche chilo in meno. Perché è vero: a volte quando si è nel pieno di un DCA si ha l’erronea sensazione che è l’essere “troppo grasse” che ci impedisce di fare tutto nella vita… eppure, in effetti – e lo dico per esperienza personale – anche l’essere troppo magra impedisce di fare tutto.
Credo sia davvero importante renderci conto di questo, e perciò quello che vi invito a fare oggi è stilare la vostra personale lista di ciò che c’è di peggio del dover riprendere peso.
Se vi va, lasciate la vostra lista nei commenti di questo post!
Comincio io, con la mia lista, e dunque…
50 cose peggiori del riprendere peso
1) Non andare in pizzeria con gli amici
2) Non andare fuori con gli amici
3) Non avere amici
4) Essere costantemente in ansia
5) Pianificare tutto quello ciò che c’è da fare nel corso della giornata
6) Pianificare cosa, dove e quanto mangiare
7) Andare nel panico se il piano non è rispettato
8) Realizzare che un piatto di spaghetti aveva più controllo sulla mia vita di quanto non ne avessi io stessa
9) Essere fissata con disgusto da qualcuno per l’eccessiva magrezza
10) Fregarsene di essere fissata con disgusto da qualcuno per l’eccessiva magrezza
11) Rompere le promesse con tutti, specialmente con me stessa
12) Dire bugie a tutti, specialmente a me stessa
13) Non andare al mare/in piscina per la vergogna di dovermi mettere in costume
14) La persona che mi piace che mi dice che non sono un granché perchè sono troppo magra
15) Non poter fare sport per l'eccessivo sottopeso
16) Osteoporosi
17) Infertilità
18) Controlli su controlli dalla dietista
19) Non riuscire a guardarmi allo specchio...
20) ...ma guardarmi in ogni superficie riflettente attraversata
21) Sentirmi in colpa
22) Sentirmi in colpa perchè mi sentivo in colpa
23) Inventare scuse
24) Odiarmi
25) Farmi del male
26) Far preoccupare gli altri per me
27) Essere in fondo preoccupata anch’io per me stessa
28) Vivere secondo regole arbitrarie imposte da me stessa
29) Litigare costantemente con me stessa
30) Non riuscire a badare a me stessa
31) Digestione a puttane
32) Metabolismo idem
33) Perdere la mia identità per l’anoressia
34) Abbassare le aspettative
35) Nascondere e negare
36) Deludere tutti, soprattutto me stessa
37) Miglioramento-ricaduta, miglioramento-ricaduta, miglioramento-ricaduta…
38) Dover rispondere sempre alle stesse domande…
39) … e dare sempre le stesse risposte
40) Basare l’autostima sulla capacità di restringere l’alimentazione
41) Andare a fare tirocinio in ospedale e sembrare più malata dei pazienti
42) Perdere la sanità mentale
43) Non sapere se mi sarei svegliata la mattina successiva
44) Non sapere se avrei voluto svegliarmi la mattina successiva
45) Perdere la libertà
46) Perdere l'autonomia
47) Perdere il controllo
48) Perdere tutto ciò che rende la vita degna d'essere vissuta
49) Perdere me stessa
50) Perdere la vita
Cara anoressia, alla faccia tua, io sono ancora qui che combatto affinchè tu non possa avere la meglio su di me. Perché, sì, la mia morte è un’arte… ma la mia vita è un capolavoro.
Etichette: anoressia, auto-aiuto, bulimia, combattere, consigli, dca, lista, no pro-ana, peso, ricovero
domenica 5 maggio 2013
Non ci fermiamo !!!
Ciao a tutti,
ogni tanto purtroppo il blog si ferma e per questo mi scuso con tutti voi....l'importante è però farvi sapere che la missione di "Mi nutro di vita" non si è mai arrestata!!! Siamo sempre ricchi di impegni, inviti ed iniziative ed è questa la cosa fondamentale.
In particolar modo in questo ultimo periodo io, Stefano e il dottor. Cardamone abbiamo effettuato diversi interventi nelle scuole di secondo grado di Genova e dintorni.
Inutile raccontare la grande soddisfazione e l'arricchimento che l'esperienza ha portato a noi; ragazzi attenti ed interessati ci hanno dato quella forza per raccontare quell'esperienza non sempre facile da esporre.
sono rimasta piacevolmente stupita dalla numerosità delle domande da parte dei ragazzi...spesso esordivano dicendo "magari è una domanda stupida...", ma per quanto semplice potesse essere risultava sempre fondamentale ed interessante per eventuali spunti.
Le domande più frequenti come "Quali sono i sintomi?" , "Come posso comportarmi con un'amica che ha questo problema?", "Qual è la differenza tra anoressia e bulimia?" e "Come hai fatto ad uscirne" permettono di far comprendere a chi ha come noi l'obiettivo di fare prevenzione quanto sia limitata la conoscenza dei ragazzi oggi.
Gli interventi quindi sono fondamentali per permettere loro di conoscere una realtà, di comprendere cause e disagi profondi che spesso stanno dietro all'espressione additante e stigmatizzante "quella è magrissima, è un'anoressica"!
Interessante è stato inoltre notare come la maggior parte delle domande fossero rivolte a me, probabilmente per una maggior vicinanza al loro mondo; vedevano in me una confidente, una persona alla pari piuttosto che una mera trasmettitrice di conoscenze.
questo per raccontarvi come la nostra missione sia sempre più viva e ricca!!!
Il prossimo appuntamento è a Savona presso il Teatro Chiabrera con lo spettacolo su Cibo Corpo ed Emozioni dal titolo "Dilemma" della compagnia Teatro Esperimento Madness ; l'ingresso è libero!!!
Un abbraccio
a presto
Michi
ogni tanto purtroppo il blog si ferma e per questo mi scuso con tutti voi....l'importante è però farvi sapere che la missione di "Mi nutro di vita" non si è mai arrestata!!! Siamo sempre ricchi di impegni, inviti ed iniziative ed è questa la cosa fondamentale.
In particolar modo in questo ultimo periodo io, Stefano e il dottor. Cardamone abbiamo effettuato diversi interventi nelle scuole di secondo grado di Genova e dintorni.
Inutile raccontare la grande soddisfazione e l'arricchimento che l'esperienza ha portato a noi; ragazzi attenti ed interessati ci hanno dato quella forza per raccontare quell'esperienza non sempre facile da esporre.
sono rimasta piacevolmente stupita dalla numerosità delle domande da parte dei ragazzi...spesso esordivano dicendo "magari è una domanda stupida...", ma per quanto semplice potesse essere risultava sempre fondamentale ed interessante per eventuali spunti.
Le domande più frequenti come "Quali sono i sintomi?" , "Come posso comportarmi con un'amica che ha questo problema?", "Qual è la differenza tra anoressia e bulimia?" e "Come hai fatto ad uscirne" permettono di far comprendere a chi ha come noi l'obiettivo di fare prevenzione quanto sia limitata la conoscenza dei ragazzi oggi.
Gli interventi quindi sono fondamentali per permettere loro di conoscere una realtà, di comprendere cause e disagi profondi che spesso stanno dietro all'espressione additante e stigmatizzante "quella è magrissima, è un'anoressica"!
Interessante è stato inoltre notare come la maggior parte delle domande fossero rivolte a me, probabilmente per una maggior vicinanza al loro mondo; vedevano in me una confidente, una persona alla pari piuttosto che una mera trasmettitrice di conoscenze.
questo per raccontarvi come la nostra missione sia sempre più viva e ricca!!!
Il prossimo appuntamento è a Savona presso il Teatro Chiabrera con lo spettacolo su Cibo Corpo ed Emozioni dal titolo "Dilemma" della compagnia Teatro Esperimento Madness ; l'ingresso è libero!!!
Un abbraccio
a presto
Michi
IL contributo di lylih dal blog Fame d'amore
*VIVA DI NUOVO - Come sono guarita dall'anoressia*
"Il testo descrive l’esperienza di vita dell’autrice, una giovane donna che ha vissuto e superato l’anoressia, e si rivolge direttamente, con uno stile confidenziale, diretto e personale, a chi sta sperimentando la stessa sofferenza, o perché direttamente colpito, o perché a contatto con una persona che la vive.
Accanto alla narrazione dell’esperienza vissuta, il libro presenta concreti suggerimenti per aiutare ad uscire dalla malattia; per offrire una solida speranza a chi spesso crede di averla perduta; per comprendere da un punto di vista cristiano il cammino pasquale di riconciliazione e risurrezione, che permette di guarire definitivamente dalla malattia e, soprattutto, di uscirne profondamente rinnovati.
L’esperienza dell’anoressia coinvolge oggi un numero sempre crescente di persone: anche se colpisce in prevalenza giovani donne, è un problema che riguarda una numero sempre in crescita di persone. Mentre molti si limitano a considerarla quasi come una mania estetica, tanti hanno compreso che è invece una sofferenza psicologica. Manca, tuttavia, una profonda comprensione dell’aspetto spirituale di questo dramma sempre più diffuso.
Amica mia carissima, se per caso questa sofferenza indicibile è anche la tua, permettimi solo di prendere le tue mani nelle mie, guardarti negli occhi e dirti: “Sorella, coraggio… Nulla è perduto!”. A te forse adesso pare impossibile… Ti sei così abituata al buio della notte che ti sembra impossibile che esista ancora l’alba… Ma esiste, carissima amica mia… Esiste e ti aspetta. C’è ancora, c’è sempre un Dio che ti ama da pazzi, che ti attende ogni giorno… C’è un Dio che crede in te, anche se a te forse sembra di non credere più in Lui… C’è un Dio che vuole riempirti di gioia. C’è un Dio che sa che puoi essere felice… che puoi ritrovare una ragione per vivere, la gioia di vivere…(L’autrice)
Questo un libro che può cambiarti la vita. A me l'ha cambiata, nel mio piccolo. Mi ha fatto recuperare il rapporto con Dio.
Leggere questo libro non è come leggere una qualsiasi storia di anoressia, no, Chiara, l'autrice, scrive una lettera a noi, sue sorelline che hanno bisogno di aiuto.
Guardate l'intervista, è meraviglioso. E leggete il libro perchè ti tocca l'anima e ti fa capire che cosa realmente è l'anoressia e dove bisogna scavare per uscirne.
Io ringrazio Chiara perchè, contattandomi su facebook, mi ha regalato il suo libro, così gratuitamente, per provare ad aiutarmi. E sta nascendo un'amicizia, un'amicizia di fede. Perchè Chiara è guarita grazie a Dio(e ovviamente alle persone che le volevano bene e a lei stessa), ed io sono convinta che sono la misericordia e l'amore di Dio possano tirarci fuori da questo vuoto dell'anima.
GRAZIE CHIARA!
lunedì 25 marzo 2013
diamoci alla lettura!!!
Giulia, una nuova amica di Mi nutro di vita, ha deciso di condividere con il nostro blog alcune schede libro molto interessanti!
spero che i temi scelti siano per voi motivo di discussione e di riflessione ...
Un abbraccio
Michi
spero che i temi scelti siano per voi motivo di discussione e di riflessione ...
Un abbraccio
Michi
COMMENTO DEL LIBRO" IL VASO DI PANDORA" ( a cura di Laura Dalla Ragione e Paola Bianchini).
Questo è un libro talmente importante che, secondo me, dovrebbero leggerlo obbligatoriamente tutti i componenti della famiglia colpita da un caso di Dca, i medici di base, gli insegnanti nonchè alcune persone che si improvvisano esperte e fondano associazioni e gruppi di aiuto autoinvestendosi di ruoli di pseudo-salvatrici per chissà quale ragione.
Se solo invece si avesse l'umiltà di leggere questo libro capace invece di dare voce e dignità alla domanda che sta dietro una anoressia/bulimia e che non promette soluzioni miracolose (ma diffonde la speranza che è proprio attraverso la crisi che possa emergere il "nuovo") molti pregiudizi su questi disturbi cadrebbero.
E " l'immensa vergogna di essere sbagliate, di dare fastidio, di esistere" ( che io stessa ho provato prima di riconoscere l'evidenza di un problema) potrebbe essere almeno non rinforzata dalla parola dell'altro poco pensata.
E, davvero, per una ragazza con un disturbo alimentare ricevere una parola che apre e che non strozza ancora il cappio della corda che lei stessa si è messa al collo è già come poter respirare un pò di più.
In questi casi purtroppo " non si tratta di volontà, né buona né cattiva: la mancanza di volontà, il non poter avere una volontà è ciò che caratterizza questo disturbo".
A mio avviso è estremamente importante capire che , se una ragazza continua a digiunare, a vomitare o AD OSTINARSI A NON CHIEDERE AIUTO, non lo fa perchè vuole ma perchè non ha altra scelta.
Paola Bianchini infatti scrive:" è una impotenza meno evidente di quella fisica (essere per esempio in una carrozzella) ma non per questo meno invalidante.....non solo è sbagliato ma nocivo rimproverare questi pazienti dicendo che sono loro che la cercano (la malattia). Tutto questo oltre a farli sentire impotenti, non farà che aumentare il loro senso di colpa."
Che, mi permetto di aggiungere io essendoci passata, è cosi intenso e viscerale, cosi pervasivo in qualunque pensiero/azione si provi a compiere, che non ha affatto bisogno di essere ulteriormente rinforzato dalla parola altrui. O, peggio ancora , in questo caso PREGIUDIZIO.
COMMENTO DE " LA VITA ACCANTO" DI MARIAPIA VELADIANO.
Mi ha colpito subito il titolo di questo libro. Anzi per la precisione mi ha proprio chiamata. La vita accanto.... ma accanto a cosa? a chi?
Perchè il titolo va oltre, a mio avviso, all'idea di una esistenza con l'obbligo di convivere con "qualcosa/qualcuno" di scomodo.
Il libro non parla di come sopravvivere a una disgrazia. Il titolo lo dice chiaro: VITA.
Nel caso della protagonista , che è nata brutta, si tratta di crearsi una vita attorno alla sua "bruttezza". Si tratta di riuscire a spostare lo sguardo da quella cosa che la marchia agli occhi dell'altro e che non si può cambiare in modo da far emergere dell' altro oltre a quella"bruttezza".
In questa storia, per Rebecca sarà il pianoforte che le permetterà di crearsi un posto sostenibile nel mondo in cui poter essere cosi com'è semplicemente.
Ripeto è un titolo a mio avviso applicabile a qualunque vissuto in cui la persona, per qualsiasi motivo consapevole/inconsapevole, sente di essere una specie di aborto, di avereun vizio genetico, un qualche tipo di "deformità" che la rende SBAGLIATA e IMMERITEVOLE DI AMORE.
E' un titolo in sostanza che rispecchia quello che io definisco la "guarigione" : una vita accanto a quella mancanza ad essere su cui si basa, inevitabilmente, la nostra natura umana
venerdì 22 marzo 2013
la 2 ^ giornata nazionale del fiocchetto lilla per lyliham
Ed ecco la giornata del fiocchetto lilla per lyliham
*Giornata del fiocchetto lilla*
15 Marzo 2013: una serata indimenticabile. Non pensavo andasse così bene l'evento organizzato in questo mio piccolo paese.
Sono venute una ventina di persone e la cosa che più mi ha fatto piacere e che io non conoscevo quasi nessuno. Questo vuol dire che nessuno è venuto per farmi piacere. Chi è venuto è giunto per ascoltare, informarsi, capire, non giudicare e cercare di aiutare.
Io e Chiara, la mia compagna di (dis)avventure abbiamo dato la nostra testimonianza, dopo che io ho fatto un introduzione sull'associazione Mi Nutro di Vita e sulle definizioni mediche di DCA. Dopodichè è intervenuta anche mia madre, a dare la sua testimonianza.
Tutti ascoltavano interessati. Volevano capire, entrare nella nostra testa come per cercare di aggiustare il nostro cervello, farlo tornare felice.
Io non ho parole per descrivere ciò che ho provato in quel momento. Sono state sensazioni uniche, che mi han fatto capire che sono fatta per lottare contro i DCA, per testimoniare l'inferno che si vive per impedire che altri ci caschino, per portare avanti campagne di sensibilizzazione. Perchè abbiamo proprio toccato il cuore dei presenti. E' stato bellissimo.
Ringrazio tutti i presenti, chi ha dato origine all'evento e Dio, che mi ha dato le parole giuste.
La cosa più bella è stato sentire dire il vicesindaco che vuole portare avanti questa testimonianza. Che il tutto non deve finire il quella serata. Che potremmo fare altri momenti di sensibilizzazione.
Intanto abbiamo già fatto tanto, nel nostro piccolo. Una cosa sono sicura che i presenti han capito: I DCA NON SONO UN CAPRICCIO, MA MALATTIE! Malattie anche dure da combattere. E questo perchè i presenti hanno saputo ascoltare, non solo con le orecchie, ma anche con il cuore.
Insieme si può. Eravamo in tanti in tutta Italia, possiamo essere sempre di più!
Grazie a te Giulia... nuove voci!!!
Ciao
Mi chiamo Giulia
Sono una ragazza che è venuta in contatto con Minutrodivita tramite la giornata del fiocchetto lilla ,dato che ho la mia analista al centro heta di ancona (fida).
Ho l'amicizia di Ilaria e della associazione e prima mi ha chiamato stefano perchè ha trovato interessanti delle cose che avevo scritto sulla pagine facebook di minutrodivita.
Io, poichè ora per me il cibo è solo cibo , dopo 10 anni di psicoterapie varie e 3 mesi in struttura, sono finalmente passata da ottobre alla psicanalisi proprio perchè la mia domanda è intorno al concetto di esistenze e desiderio e sinceramente sono stanca di spostare i sintomi , vorrei avere un punto di tenuta più saldo, mio, particolare. Dico questo per dirvi che collaboro con il centro heta per fornire le schede libro( e fisicamente i libri) della piccola bibliotechina del centro (www.centroheta.itandate su liberilibri schede libro e troverete le prime cinque se sieete curiose!!!)e per gli incontri che facciamo, la presentazione di libri ( stasera devo leggere ehehehe) o incontri con esperti. Di solito scrivo per le rubriche ( ad esempio le citazioni letterarie che trovate o la parte donazioni l'ho scirtta io) da cui cmq traspare la mia sofferenza e la fatica anche adesso che sto facendo.
Vengo da una delusione di una associazione che insomma credevo seria e invece è formata da gente incompetente che si proclama salvatrice, propone modelli standar di guarigione come se fosse una cosa fatta a step!!!!
Stefano mi ha parlato di quello che fate e mi piace molto, soprattutto l'umiltà e la nn presunzione di sapere come si deve "guarire" e come si vedrà il mondo da "guarite". Credo che sia questo lo scopo di una associazione non avere una sorta di seguaci intorno ad una ex dca e/o genitore!!!!! Il lavoro, la terapia, l'analisi è un discorso troppo intimo e particolare per essere etichettato dall'Altro.
Stefano mi ha detto che potevo scrivere a te per avere il permesso di pubblicare qualcosa se mi andava. A me fa immensamente piacere. Se ti va aggiungimi su facebook Giulia Tamburini.
Io posso anche parlare di me senza problemi, intanto ti mando quello che è già pubblicato sulla pagine facebook di minutrodivita che è la scheda libro de "IL VASO DI PANDORA" un libro pubblicato dall'associazione MIFIDODITE ponte con Todi a cui mi rivolsi dopo 7 anni di terapie a giugno 2009 (quando il DCA degenerò) e che mi indirizzo al centro heta.
Vedi tu se la scheda del libro, o non so qualche mio intervento può essere opportuno nel vostro contesto.
Per me sarebbe un onore trovare un luogo in cui la mia parola possa essere raccolta senza pregiudizi.
Giulia Tamburini
COMMENTO DEL LIBRO" IL VASO DI PANDORA" ( a cura di Laura Dalla Ragione e Paola Bianchini).
Questo è un libro talmente importante che, secondo me, dovrebbero leggerlo obbligatoriamente tutti i componenti della famiglia colpita da un caso di Dca, i medici di base, gli insegnanti nonchè alcune persone che si improvvisano esperte e fondano associazioni e gruppi di aiuto autoinvestendosi di ruoli di pseudo-salvatrici per chissà quale ragione.
Se solo invece si avesse l'umiltà di leggere questo libro capace invece di dare voce e dignità alla domanda che sta dietro una anoressia/bulimia e che non promette soluzioni miracolose (ma diffonde la speranza che è proprio attraverso la crisi che possa emergere il "nuovo") molti pregiudizi su questi disturbi cadrebbero.
E " l'immensa vergogna di essere sbagliate, di dare fastidio, di esistere" ( che io stessa ho provato prima di riconoscere l'evidenza di un problema) potrebbe essere almeno non rinforzata dalla parola dell'altro poco pensata.
E, davvero, per una ragazza con un disturbo alimentare ricevere una parola che apre e che non strozza ancora il cappio della corda che lei stessa si è messa al collo è già come poter respirare un pò di più.
In questi casi purtroppo " non si tratta di volontà, né buona né cattiva: la mancanza di volontà, il non poter avere una volontà è ciò che caratterizza questo disturbo".
A mio avviso è estremamente importante capire che , se una ragazza continua a digiunare, a vomitare o AD OSTINARSI A NON CHIEDERE AIUTO, non lo fa perchè vuole ma perchè non ha altra scelta.
Paola Bianchini infatti scrive:" è una impotenza meno evidente di quella fisica (essere per esempio in una carrozzella) ma non per questo meno invalidante.....non solo è sbagliato ma nocivo rimproverare questi pazienti dicendo che sono loro che la cercano (la malattia). Tutto questo oltre a farli sentire impotenti, non farà che aumentare il loro senso di colpa."
Che, mi permetto di aggiungere io essendoci passata, è cosi intenso e viscerale, cosi pervasivo in qualunque pensiero/azione si provi a compiere, che non ha affatto bisogno di essere ulteriormente rinforzato dalla parola altrui. O, peggio ancora , in questo caso PREGIUDIZIO.
lunedì 18 marzo 2013
2^ giornata nazionale del fiocchetto lilla (Genova)
Ciao a tutti,
ho deciso di scrivere per raccontarvi una bellissima giornata!
Venerdì 15 Marzo infatti si è svolta, in particolare nelle città di Genova e di Milano, la 2^ giornata nazionale del fiocchetto lilla. Io personalmente mi sono occupata dell'organizzazione dell'evento a Genova...veramente un'esperienza favolosa.
Il dibattito ha trattato i DCA da diversi punti di vista; ci sono stati infatti racconti di esperienza personale come il mio e quello di Chiara (blogger di "Briciole di pane"), interventi più tecnici come quello dello psicologo Rocco Cardamone, della nutrizionista ed educatrice Angela Gruppioni, del saggista e professore Maurizio Sentieri ed infine si è data voce anche al punto di vista dei genitori grazie ad Enrica Perilio. Ogni intervento ha messo in gioco la semplice esperienza sul campo e naturalmente tutti hanno finito per convergere a conclusioni comuni. E' stato raccontato il dolore, la solitudine, la paura di non farcela da una parte ma dall'altra la speranza, la volontà di crederci e di non smettere mai di lottare.
E' stata una giornata veramente piena di soddisfazioni...dal pubblico attento ed interessato ai complimenti ricevuti per il bel lavoro che stiamo portando avanti; sono veramente orgogliosa perché tutto ciò mi permette di capire che stiamo raccogliendo qualcosa e che il nostro obiettivo è condiviso.
Anche se non ero presente mi piacerebbe spendere due parole sulla giornata di Milano...Stefano mi ha raccontato, pieno di entusiasmo, la grande riuscita. Partecipato è stato il dibattito ma soprattutto lo spettacolo "Mi nutro di arte"... più voci lo hanno definito come emozionante e vero.
Insomma direi che anche la 2^ giornata è stata un vero e proprio successo... "per ora ci accontentiamo di quella nazionale" =) speriamo in qualcosa in più (nonostante questo ci sembra già moltissimo pensando a come tutto è iniziato circa 2 anni fa) per l'anno prossimo.
Tengo a ringraziare tutti coloro che hanno partecipato, che hanno saputo ascoltare e che si sono messi in gioco; un ringraziamento speciale a Coop Liguria che si è dimostrata molto disponibile e sensibile al nostro progetto.
Vorrei concludere con l'intervento di uno spettatore "chi possiede un DCA non deve sentirsi etichettato, inferiore, un disonore per la famiglia...deve essere conscio del fatto che si può guarire e quindi deve considerare quel momento di grande sofferenza come una possibilità di crescita"!!!
Un abbraccio
Michi
ho deciso di scrivere per raccontarvi una bellissima giornata!
Venerdì 15 Marzo infatti si è svolta, in particolare nelle città di Genova e di Milano, la 2^ giornata nazionale del fiocchetto lilla. Io personalmente mi sono occupata dell'organizzazione dell'evento a Genova...veramente un'esperienza favolosa.
Il dibattito ha trattato i DCA da diversi punti di vista; ci sono stati infatti racconti di esperienza personale come il mio e quello di Chiara (blogger di "Briciole di pane"), interventi più tecnici come quello dello psicologo Rocco Cardamone, della nutrizionista ed educatrice Angela Gruppioni, del saggista e professore Maurizio Sentieri ed infine si è data voce anche al punto di vista dei genitori grazie ad Enrica Perilio. Ogni intervento ha messo in gioco la semplice esperienza sul campo e naturalmente tutti hanno finito per convergere a conclusioni comuni. E' stato raccontato il dolore, la solitudine, la paura di non farcela da una parte ma dall'altra la speranza, la volontà di crederci e di non smettere mai di lottare.
E' stata una giornata veramente piena di soddisfazioni...dal pubblico attento ed interessato ai complimenti ricevuti per il bel lavoro che stiamo portando avanti; sono veramente orgogliosa perché tutto ciò mi permette di capire che stiamo raccogliendo qualcosa e che il nostro obiettivo è condiviso.
Anche se non ero presente mi piacerebbe spendere due parole sulla giornata di Milano...Stefano mi ha raccontato, pieno di entusiasmo, la grande riuscita. Partecipato è stato il dibattito ma soprattutto lo spettacolo "Mi nutro di arte"... più voci lo hanno definito come emozionante e vero.
Insomma direi che anche la 2^ giornata è stata un vero e proprio successo... "per ora ci accontentiamo di quella nazionale" =) speriamo in qualcosa in più (nonostante questo ci sembra già moltissimo pensando a come tutto è iniziato circa 2 anni fa) per l'anno prossimo.
Tengo a ringraziare tutti coloro che hanno partecipato, che hanno saputo ascoltare e che si sono messi in gioco; un ringraziamento speciale a Coop Liguria che si è dimostrata molto disponibile e sensibile al nostro progetto.
Vorrei concludere con l'intervento di uno spettatore "chi possiede un DCA non deve sentirsi etichettato, inferiore, un disonore per la famiglia...deve essere conscio del fatto che si può guarire e quindi deve considerare quel momento di grande sofferenza come una possibilità di crescita"!!!
Un abbraccio
Michi
martedì 12 marzo 2013
A TE CHE.....
A te, che vuoi assolutamente diventare anoressica
Ecco quello che vorrei dire non semplicemente alle ragazze pro ana/pro mia, ma anche e soprattutto a tutte quelle ragazze che si sentono sull’orlo dell’abisso, e che intravedono nella restrizione alimentare una possibile soluzione ai loro problemi, o comunque un qualcosa che potrà aiutarle a stare meglio.
Se stai pensando che se inizi a restringere l’alimentazione sia comunque possibile smettere in ogni qualsiasi momento, e tornare a com’era prima che tutto ciò iniziasse, alla tua consueta (e forse un po’ anche sottovalutata) “normalità”, sappi che non è così che stanno le cose.
Se stai pensando che tu sei veramente in grado di controllare la situazione, e che perciò non succederà mai e poi mai che tu possa perdere il controllo, se stai pensando che ogni tua scelta, alimentare e non, sarà sempre e solo una tua libera scelta, se pensi che puoi smettere quando vuoi e che il tuo corpo a quel punto tornerà a mandarti normali segnali di fame/sazietà, se pensi che certe cose non possono certamente accaderti… sappi che ciò è quello che tutte abbiamo pensato, prima. Tutte. Nessuna esclusa.
Se credi che dimagrire sia l’unica cosa che possa farti sentire meglio con te stessa, sappi che non è così che stanno le cose. Sappi che non sarai mai abbastanza magra da trovare te stessa, ma solo abbastanza magra da perderti.
Se ti sembra che controllare quello che mangi ti faccia sentire in grado di controllare ogni singolo aspetto, ogni singola piega della tua vita, ci sei già dentro.
Perciò, se sei sul punto di scegliere il sintomo anoressico, pensaci bene. Perché a prescindere da ciò che ti ha guidato in questa direzione, ci sarai dentro fino al collo ancor prima che tu te ne renda conto.
Inizialmente sarà la cosa più strafiga del mondo: ti sentirai forte, soddisfatta, più sicura di te stessa, ti sembrerà di poter controllare tutto, e questo ti farà sentire una gran ganza, ti farà stare di un bene senza precedenti, e desidererai non staccarti mai da tutto questo… ma è proprio nelle prime fasi che, se ti rendi conto che queste sono tutte solo illusioni ed intervieni rapidamente per stroncarle sul nascere, avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa. Ma quando avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa, non ti renderai neanche conto di essere incappata nella malattia.
L’anoressia non è semplicemente restringere l’alimentazione e sentirsi in controllo per questo, e la bulimia non è solo mettersi un dito in gola e sospirare di sollievo per aver eliminato il contenuto di un’abbuffata.
Avere un DCA non è solo il compendio delle sensazioni positive che si provano nella “fase luna di miele”, nella fase iniziale del disturbo.
Avere un DCA significa non voler uscire più di casa perché sei così magra che la gente non la smette di guardarti lanciandoti occhiate di biasimo, pena o preoccupazione, perché pensa che sei un’idiota esibizionista o una malata terminale. Non voler più uscire di casa perché sei ossessionata all’idea che tutti possano guardarti. Non poter uscire più di casa perché non hai neanche le energie fisiche per farlo.
Avere un DCA significa uscire di casa e fare camminate chilometriche a ritmo serrato, senza neanche vedere quello che ti sta intorno perché la tua testa è fogata a pensare al fatto che questo ti aiuterà a perdere peso più rapidamente e, soprattutto, la ritualità della cosa ti trasmetterà quel controllo che tanto vuoi sentire. Uscire di casa e sentirti peggiore di ogni singola persona che incrocerai, sentirti inferiore, sentirti non abbastanza, e trovarti la sera a tagliarti perché l’anoressia prevaricherà del tutto il raziocinio.
Avere un DCA significa che non ti potrai vivere più un’Estate decente, perché girerai comunque in felpa e pantaloni lunghi per cercare di nascondere la perdita di peso e proteggerti dal freddo che sentirai anche sotto il sole a picco, e non indosserai mai più un costume da bagno, perché ti sentirai assolutamente inadatta e magari ti vergognerai pure delle cicatrici che ti sei inferta dappertutto. Quelle cicatrici che ti porterai fuori e dentro. Per sempre.
Avere un DCA significa perdere anni di scuola e/o di lavoro perché non riesci ad essere più produttiva, perché la carenza alimentare comporta una carenza nella sintesi di neurotrasmettitori che non ti renderanno in grado di concentrarti adeguatamente su quello che dovresti fare, e tutto il tempo che avresti dovuto dedicare allo studio/al lavoro, sarà riempito da ansie e paranoie. Perdere anni di scuola e/o lavoro significa precludersi tantissime possibilità per il futuro.
Avere un DCA significa non poter più fare sport perché avrai un rendimento così basso che non sarai più in grado di conseguire risultati che ti permettano di rimanere nel mondo dell’agonismo. E significa che col tempo addirittura odierai lo sport, perché lo inquadrerai solo come un dovere che è necessario espletare per raggiungere un peso inferiore quanto più rapidamente possibile, e perderai tutto il piacere degli allenamenti o del condividere quel tempo con i tuoi compagni di squadra.
Avere un DCA significa non andare più in vacanza con gli amici, non andare più a mangiare una pizza con gli amici, non avere più amici.
Avere un DCA significa perdere la salute, perché sebbene ci siano modificazioni fisiche che rientrano nella norma se riprenderai un regime alimentare adeguato al tuo fabbisogno giornaliero, ci sono alcuni danni irreversibili: osteoporosi, danni dentali, danni renali, infertilità e così via.
Avere un DCA significa estraniarsi da qualsiasi cosa e persona al mondo, perché poco a poco cominceranno ad esistere solo te stessa e i tuoi pensieri ossessivi. E i pensieri ossessivi prevarranno su tutto: lavoro, scuola, sport, hobby, amici… su tutto il tuo mondo. E allora trascorrerai giornate su giornate chiusa in casa, ad ammazzarti sulla cyclette o sul tapis-roulant se sei entrata nella spirale anoressica, oppure ad abbuffarti e vomitare se sei entrata nella spirale bulimica, e più passerà il tempo, più rompere il circolo vizioso diventerà difficile. E poiché a questo punto quello che ti sembrava di poter controllare è in realtà ciò che ti controlla spietatamente, e poiché da sola sarai incapace di toglierti da quest’impasse, ti sentirai talmente rassegnata che penserai di non meritarti neanche di ricevere aiuto.
Non riuscirai più a dormire bene, vuoi perché il sottopeso altera il regolare ritmo sonno-veglia, vuoi perché arriverai addirittura a pensare che durante le ore di sonno il metabolismo si abbassa, e questo è un rallentamento al tuo processo di dimagrimento che non puoi assolutamente permettere.
Ti specchierai e non t’identificherai neanche più in quel riflesso, perché sarai sempre più spaesata, sempre più persa dentro i meandri dell’anoressia.
Quieterai la tua perenne ansia solo carezzando le creste iliache sporgenti prima di addormentarti, ma non durerà che per pochi minuti, perché poi verrai presa dal panico per non essere ancora magra abbastanza, ovvero essenzialmente per non essere ancora in controllo abbastanza, e seppure consapevole della tua magrezza inestetica e non salutare, seppure tu stessa più o meno inconsciamente preoccupata per le tue condizioni di salute, continuerai a restringere l’alimentazione perché la sensazione di controllo che sul momento ne deriva sarà diventata la droga di cui non riuscirai a fare a meno.
Non avrai più amici, progetti, sogni, aspettative, perderai la speranza nel futuro; tutto si ridurrà a un perenne senso di vuoto e a paranoie che ossessionano la tua mente ma che non riesci ad allontanare, e alla spasmodica brama di percepire quell’illusorio controllo che è l’unica cosa che riesce a farti sentire patologicamente bene.
Tutto diventerà insopportabile, e desidererai solo quella “normalità” che all’inizio rifuggivi tanto in nome dell’illusoria e transitoria sensazione di “specialità” che pareva trasmettere l’anoressia, e desidererai non aver mai cominciato.
Ma, inizialmente, nessuna credeva di entrarci. Perché, figuriamoci, un disturbo alimentare è un qualcosa che succede agli altri. Si pensa sempre che succeda tutto agli altri.
Perciò, non è importante se inizi a restringere l’alimentazione perché hai dei problemi in famiglia, perché hai una bassa autostima, perché non vuoi più sentirti mediocre, perché senti il bisogno di avere la sensazione di controllare almeno una cosa nella tua vita, o perché hai un malessere interiore che non riesci a sfogare altrimenti.
Sappi che, mentre stai già pensando che per te è impossibile cadere nell’anoressia, che restringerai l’alimentazione solo per poco tempo, e che potrai smettere quando ti pare, ti sta già succedendo. Ti stai già dannando.
Salvati.
Sei meravigliosa.
Se stai pensando che se inizi a restringere l’alimentazione sia comunque possibile smettere in ogni qualsiasi momento, e tornare a com’era prima che tutto ciò iniziasse, alla tua consueta (e forse un po’ anche sottovalutata) “normalità”, sappi che non è così che stanno le cose.
Se stai pensando che tu sei veramente in grado di controllare la situazione, e che perciò non succederà mai e poi mai che tu possa perdere il controllo, se stai pensando che ogni tua scelta, alimentare e non, sarà sempre e solo una tua libera scelta, se pensi che puoi smettere quando vuoi e che il tuo corpo a quel punto tornerà a mandarti normali segnali di fame/sazietà, se pensi che certe cose non possono certamente accaderti… sappi che ciò è quello che tutte abbiamo pensato, prima. Tutte. Nessuna esclusa.
Se credi che dimagrire sia l’unica cosa che possa farti sentire meglio con te stessa, sappi che non è così che stanno le cose. Sappi che non sarai mai abbastanza magra da trovare te stessa, ma solo abbastanza magra da perderti.
Se ti sembra che controllare quello che mangi ti faccia sentire in grado di controllare ogni singolo aspetto, ogni singola piega della tua vita, ci sei già dentro.
Perciò, se sei sul punto di scegliere il sintomo anoressico, pensaci bene. Perché a prescindere da ciò che ti ha guidato in questa direzione, ci sarai dentro fino al collo ancor prima che tu te ne renda conto.
Inizialmente sarà la cosa più strafiga del mondo: ti sentirai forte, soddisfatta, più sicura di te stessa, ti sembrerà di poter controllare tutto, e questo ti farà sentire una gran ganza, ti farà stare di un bene senza precedenti, e desidererai non staccarti mai da tutto questo… ma è proprio nelle prime fasi che, se ti rendi conto che queste sono tutte solo illusioni ed intervieni rapidamente per stroncarle sul nascere, avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa. Ma quando avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa, non ti renderai neanche conto di essere incappata nella malattia.
L’anoressia non è semplicemente restringere l’alimentazione e sentirsi in controllo per questo, e la bulimia non è solo mettersi un dito in gola e sospirare di sollievo per aver eliminato il contenuto di un’abbuffata.
Avere un DCA non è solo il compendio delle sensazioni positive che si provano nella “fase luna di miele”, nella fase iniziale del disturbo.
Avere un DCA significa non voler uscire più di casa perché sei così magra che la gente non la smette di guardarti lanciandoti occhiate di biasimo, pena o preoccupazione, perché pensa che sei un’idiota esibizionista o una malata terminale. Non voler più uscire di casa perché sei ossessionata all’idea che tutti possano guardarti. Non poter uscire più di casa perché non hai neanche le energie fisiche per farlo.
Avere un DCA significa uscire di casa e fare camminate chilometriche a ritmo serrato, senza neanche vedere quello che ti sta intorno perché la tua testa è fogata a pensare al fatto che questo ti aiuterà a perdere peso più rapidamente e, soprattutto, la ritualità della cosa ti trasmetterà quel controllo che tanto vuoi sentire. Uscire di casa e sentirti peggiore di ogni singola persona che incrocerai, sentirti inferiore, sentirti non abbastanza, e trovarti la sera a tagliarti perché l’anoressia prevaricherà del tutto il raziocinio.
Avere un DCA significa che non ti potrai vivere più un’Estate decente, perché girerai comunque in felpa e pantaloni lunghi per cercare di nascondere la perdita di peso e proteggerti dal freddo che sentirai anche sotto il sole a picco, e non indosserai mai più un costume da bagno, perché ti sentirai assolutamente inadatta e magari ti vergognerai pure delle cicatrici che ti sei inferta dappertutto. Quelle cicatrici che ti porterai fuori e dentro. Per sempre.
Avere un DCA significa perdere anni di scuola e/o di lavoro perché non riesci ad essere più produttiva, perché la carenza alimentare comporta una carenza nella sintesi di neurotrasmettitori che non ti renderanno in grado di concentrarti adeguatamente su quello che dovresti fare, e tutto il tempo che avresti dovuto dedicare allo studio/al lavoro, sarà riempito da ansie e paranoie. Perdere anni di scuola e/o lavoro significa precludersi tantissime possibilità per il futuro.
Avere un DCA significa non poter più fare sport perché avrai un rendimento così basso che non sarai più in grado di conseguire risultati che ti permettano di rimanere nel mondo dell’agonismo. E significa che col tempo addirittura odierai lo sport, perché lo inquadrerai solo come un dovere che è necessario espletare per raggiungere un peso inferiore quanto più rapidamente possibile, e perderai tutto il piacere degli allenamenti o del condividere quel tempo con i tuoi compagni di squadra.
Avere un DCA significa non andare più in vacanza con gli amici, non andare più a mangiare una pizza con gli amici, non avere più amici.
Avere un DCA significa perdere la salute, perché sebbene ci siano modificazioni fisiche che rientrano nella norma se riprenderai un regime alimentare adeguato al tuo fabbisogno giornaliero, ci sono alcuni danni irreversibili: osteoporosi, danni dentali, danni renali, infertilità e così via.
Avere un DCA significa estraniarsi da qualsiasi cosa e persona al mondo, perché poco a poco cominceranno ad esistere solo te stessa e i tuoi pensieri ossessivi. E i pensieri ossessivi prevarranno su tutto: lavoro, scuola, sport, hobby, amici… su tutto il tuo mondo. E allora trascorrerai giornate su giornate chiusa in casa, ad ammazzarti sulla cyclette o sul tapis-roulant se sei entrata nella spirale anoressica, oppure ad abbuffarti e vomitare se sei entrata nella spirale bulimica, e più passerà il tempo, più rompere il circolo vizioso diventerà difficile. E poiché a questo punto quello che ti sembrava di poter controllare è in realtà ciò che ti controlla spietatamente, e poiché da sola sarai incapace di toglierti da quest’impasse, ti sentirai talmente rassegnata che penserai di non meritarti neanche di ricevere aiuto.
Non riuscirai più a dormire bene, vuoi perché il sottopeso altera il regolare ritmo sonno-veglia, vuoi perché arriverai addirittura a pensare che durante le ore di sonno il metabolismo si abbassa, e questo è un rallentamento al tuo processo di dimagrimento che non puoi assolutamente permettere.
Ti specchierai e non t’identificherai neanche più in quel riflesso, perché sarai sempre più spaesata, sempre più persa dentro i meandri dell’anoressia.
Quieterai la tua perenne ansia solo carezzando le creste iliache sporgenti prima di addormentarti, ma non durerà che per pochi minuti, perché poi verrai presa dal panico per non essere ancora magra abbastanza, ovvero essenzialmente per non essere ancora in controllo abbastanza, e seppure consapevole della tua magrezza inestetica e non salutare, seppure tu stessa più o meno inconsciamente preoccupata per le tue condizioni di salute, continuerai a restringere l’alimentazione perché la sensazione di controllo che sul momento ne deriva sarà diventata la droga di cui non riuscirai a fare a meno.
Non avrai più amici, progetti, sogni, aspettative, perderai la speranza nel futuro; tutto si ridurrà a un perenne senso di vuoto e a paranoie che ossessionano la tua mente ma che non riesci ad allontanare, e alla spasmodica brama di percepire quell’illusorio controllo che è l’unica cosa che riesce a farti sentire patologicamente bene.
Tutto diventerà insopportabile, e desidererai solo quella “normalità” che all’inizio rifuggivi tanto in nome dell’illusoria e transitoria sensazione di “specialità” che pareva trasmettere l’anoressia, e desidererai non aver mai cominciato.
Ma, inizialmente, nessuna credeva di entrarci. Perché, figuriamoci, un disturbo alimentare è un qualcosa che succede agli altri. Si pensa sempre che succeda tutto agli altri.
Perciò, non è importante se inizi a restringere l’alimentazione perché hai dei problemi in famiglia, perché hai una bassa autostima, perché non vuoi più sentirti mediocre, perché senti il bisogno di avere la sensazione di controllare almeno una cosa nella tua vita, o perché hai un malessere interiore che non riesci a sfogare altrimenti.
Sappi che, mentre stai già pensando che per te è impossibile cadere nell’anoressia, che restringerai l’alimentazione solo per poco tempo, e che potrai smettere quando ti pare, ti sta già succedendo. Ti stai già dannando.
Salvati.
Sei meravigliosa.