domenica 29 dicembre 2019

Ritorno da me



Falsa compagna dei miei anni in fiore,
mi scegliesti quale vittima indifesa della tua indescrivibile crudeltà, e con inenarrabile irruenza e senza alcun permesso, piombasti nella mia vita, cosi rapidamente che neppure me ne resi conto.
Abitavi la mia mente, provocandomi sensazioni angoscianti e un gran tormento.
Gioia e spensieratezza erano scappate via, percepivo soltanto un gran vuoto.

C'eri solo tu, avevi soppresso la mia voglia di vivere. Chi ero ormai? Un corpo quasi invisibile, dallo sguardo spento e smarrito, ridotta a briciole. Mi sussurravi: “Assaporerai le fiamme. Ti farò scottare poco alla volta, brucerai e io riderò del tuo corpo martoriato, riderò delle tue lacrime, riderò delle grida di disperazione, della tua sofferenza e continuerò a ridere e sghignazzare gustandomi le tue ferite sanguinanti". Oh dannata malattia, quante volte ho combattuto invano contro i tuoi assurdi propositi;
quante volte ho lasciato che mi calpestassi. Gli anni passavano, scanditi nel triste silenzio di lacrime amare che mi rigavano il viso scarno ed infossato.

Quanta sofferenza! Non volevo più sguazzare in quel pozzo putrido e maligno.

Era vita quella, con un sondino ficcato nel naso, senza quasi più capelli, con i denti consumati? Mi stavi portando via tutto ma quel poco di vita che mi rimaneva mi tratteneva ancora. Il mio respiro era debole ma soffiava ancora nel vento. Era vivo. Ero viva. Avrei potuto rialzarmi. Ho lottato contro di te, gettando antidoto contro il tuo veleno.

Sebbene i tuoi segni siano ormai scolpiti su di me, ora sono io a stringere il timone della mia vita. Ti ringrazio mia cara vecchia amica, perché il dolore che mi hai inflitto è servito a nutrire la mia forza.
Dunque a malincuore ti annuncio, che adesso, nel mio essere, non c'è più posto per due.

F.


sabato 21 dicembre 2019

Lettera al Paese delle Meraviglie


Cara Anoressia,
Forse rimarrai sorpresa dal mio tono tutt’altro che perentorio e adirato, dato che sai dell’enorme inganno in cui mi hai tratto e della profusione di lacrime che mi hai fatto versare. Ma l’autocontrollo è un’abilità che mi hai insegnato tu, ricordi?
Ho una certa difficoltà a esprimermi con te, poiché fin dall’inizio abbiamo coltivato il nostro rapporto clandestinamente, come pirati legati da un’alleanza per organizzare un ammutinamento contro il capitano. Sussurri, sorrisi falsi, cenni d’intesa dietro lo scaffale di un supermercato. E forse non ti ho mai parlato direttamente perché non ero consapevole della tua presenza nella mia vita, all’inizio.
Il nostro, in realtà, era un mondo a parte. Un mondo dove le inibizioni e i castighi erano all’ordine del giorno, dominato dalla potenza quasi sacra delle tabelle nutrizionali. Un mondo in cui tu avevi creato la terra dove camminare, e io con le mie lacrime avevo formato gli oceani dove avevi intenzione di affogarmi.
A prima vista quel pianeta mi era parso un luogo perfetto, sede di sicurezza, ordine, controllo. Tutto ciò di cui io avevo bisogno. Ma l’euforia del momento mi aveva distratto dal fatto che il pianeta che avrei dovuto raggiungere fosse molto più piccolo della Terra. Talmente piccolo che per accedervi avrei dovuto rimpicciolirmi come Alice quando bevve la pozione che le avrebbe permesso di attraversare la porticina dalla quale era sparito il Bianconiglio.
«Bevimi», dicevi, «Sarai perfetta, vedrai, e finalmente una volta per tutte non sarai ignorata, perché la gente guarderà le tue cosce che non si sfioreranno, le clavicole sporgenti sotto la canottiera e le vertebre che riaffioreranno alla pelle come germogli in primavera. Sarai la migliore, perché sarai forte, fiera e tenace come un leone. Non mi deludere.»
Alla fine del leone avevo solamente la peluria in cui il mio corpo era avvolto, eppure suonava tutto così auspicabile nella mia testa.
Tuttavia, quelle parole non durarono più di quattro mesi. La vera Beatrice non voleva che il suo destino fosse quello di annullarsi in una gabbia conta calorie, anche se quelle sbarre la separavano dalla fatica, dalle responsabilità, dalla sua identità che ormai credeva di aver perso sotto le macerie del disastro. Anche se essere intrappolata in un corpo da bambina la illudeva di poter rimanere tale.
Sei stata il silenzio alle domande della gente che mi chiedeva come mai non mangiassi, il silenzio che mi imponevo di rispettare nel momento in cui tentavo di redimere la mia anima dal crimine di essermi nutrita; il rimprovero più devastante che abbia mai ricevuto, un dito davanti alla bocca per ignorare i miei bisogni primari e distruggere la mia persona come fosse stata un castello di carte in cui Tu eri la Regina di Cuori che mi perseguitava.
Nonostante ciò, ti devo ringraziare, perché se con la nascita una persona parte alla scoperta della vita, con la rinascita si apprende la bellezza in essa racchiusa. Dopotutto le storie degne di essere raccontate necessitano di un’antagonista, altrimenti esse nemmeno esisterebbero, e mentre nelle fiabe la matrigna cattiva è vista esclusivamente con risoluta ostilità, nella vita reale anche le disgrazie peggiori possono lasciarci qualcosa di positivo. Le cicatrici non sono solo simboli di guarigione, ma anche promemoria a tempo indeterminato del nostro coraggio, e ti sarò eternamente grata per esserlo: ora sei solo uno dei tanti libri di fiabe che conserverò negli scaffali del mio passato. Adesso è giunto il momento di scrivere il presente sognando il futuro che desidero vivere oltre la pura e semplice sopravvivenza.
Con affetto,
Beatrice

lunedì 9 dicembre 2019

Sto imparando da mio figlio



Provo a scrivere quello che da tempo vorrei dire alla madri che soffrono di dca. Sono molto titubante nel farlo, perché le parole hanno la capacità di essere carezze e schiaffi allo stesso tempo, che temo di non riuscire nel mio intento. Vorrei lasciare un messaggio delicato ma deciso.
Per tanto tempo mi sono appoggiata sulle spalle di mio figlio per poter trovare un appiglio. È stata una necessità, io ero troppo debole,e quando si è deboli occorre una motivazione davvero valida per poter sopravvivere. Dovevo dare uno scopo alla mia lotta, ma ogni volta che, davanti "all'elenco gerarchico del devo farcela perché..." mettevo lui, la vittoria durava attimi poi la voce tornava maledettamente più forte. Da un po' ho cancellato l'elenco. È stata una presa di posizione difficile, discussa, dolorosa ma guidata.
Ho deciso di provare a vincere per me stessa. Che razza di egoista, ancora mi rimbalza addosso l'eco di certi pensieri. Ma il tempo, ogni giorno di più, mi sta insegnando quanto fosse vile e avaro continuare a fare il contrario. 
Tutte queste parole confuse per dire alle madri che si può imparare a guardarsi nello stesso modo in cui ci vedono i nostri figli, che con la capacità che solo i bambini hanno, ci insegnano che guardare e riuscire a vedere non sono la stessa cosa.

Una carezza a tutte le madri,
da una madre, che sta imparando dal proprio figlio.

Anonimo

domenica 1 dicembre 2019

Combattuta tra due versioni di me

Cara cosa,
non sono mai riuscita a chiamarti con il tuo vero nome perché non mi sono mai sentita abbastanza malata: è proprio questa sensazione di "non essere abbastanza" che mi ha portato a conoscerti e farti entrare nella mia vita.
E' tanto tempo che non ci sentiamo, anche se ogni tanto sento che bussi alla mia porta: ormai ho imparato a riconoscerti e per te non c'è più spazio. Come ho fatto a farmi condizionare per così tanto tempo?
Con te al mio fianco mi sentivo forte, invincibile e tutto sembrava estremamente normale. Avevo preso casa in quelle quattro mura che mi ero costruita da sola e ti avevo portato con me per sentirmi compresa; esistevano solo le regole che mi ero imposta con talmente tanta arroganza da rendemi schiava di te e dei miei stessi pensieri. Eri la più grande sostenitrice della mia personale distruzione.  Dimagrire sembrava essere l'unica soluzione per smettere di sentirmi  un peso inutile e irrisorio nella vita degli altri; così ti ho chiuso dentro di me e ho buttato la chiave nel mare dei pensieri che mi affogavano l'anima.
Mi fidavo di te e di tutti i tuoi consigli, anche se ho sempre mostrato una certa diffidenza.
Mi guardavo allo specchio e mi chiedevo fino a che  punto avrei potuto spingermi; mi domandavo fino a che punto avresti continuato a sostenermi. Non ti sembrava di esagerare un pò?
Ti sei rivelata  un mostro che impersonificava tutte le mie paure, i  ricordi e le esperienze del passato. Guardare le mie ossa era motivo di soddisfazione, così come  salire sulla bilancia e notare la perdita di peso settimana dopo settimana. I  numeri, nonostante abbia sempre odiato la matematica, erano determinanti per la mia felicità. Appuntavo tutte le tappe che raggiungevamo insieme: più il peso calava, più mi sentivo realizzata.  Riuscisti a prendere il soprawento anche sulla mia più grande passione. La pista di pattinaggio non era più un luogo dove esprimere me stessa attraverso leggiadri movimenti sulle note della mia musica preferita, ma un posto dove bruciare calorie (come le strade, i corridoi, le scale e il resto del mondo).
Mi sentivo scissa a metà, in bilico sopra all'oblio, combattuta tra due versioni di me: una che mi implorava di reagire e recuperare la chiave per farti uscire;  l'altra che invece era completamente assuefatta da te.
Ero certa che dovevi andartene. Ho cercato per anni di recuperare quella maledetta chiave, ma ogni volta che ci riuscivo eri sempre pronta a strapparmela di  mano. Poi ho capito che "volere è potere": mi sono resa conto che solo io mi stavo impedendo di vivere,  perché non lo volevo dawero. Non volevo lasciare quei quaranta chili e non volevo tornare ad essere normopeso, perché la nostra "zona comfort" si trovava ad una soglia più bassa, che però era sbagliata. Pensavo di star bene in mezzo ai miei problemi, avevo imparato a conviverci: in realtà ero infelice ma con te mi sentivo a mio agio. D'altronde, l'unica COSA che pensavo di meritare eri proprio tu.
Non mi ricordo come fosse il mondo prima di te, ma da quando ci siamo salutate ne ho scoperto uno tutto nuovo che mi rende davvero felice. Al dì là di quel muro ci sono tantissimi colori e tante sfumature con cui dipingere le mie giornate: il mondo non è grigio come me lo facevi vedere te.
Non smetteranno di esserci i  momenti negativi, ma volevo ringraziarti perché adesso so come  reagire.
So anche che tenterai di trascinarmi di nuovo in  basso, ma dopo aver strisciato insieme a te per molto tempo ho capito che l'importante è trovare sempre la voglia di andare avanti, amandomi.
Non permetterò che la tua voce torni ad urlare.



Noemi

martedì 19 novembre 2019

Da un numERO a un noME



Cara Ilaria,
Oggi è proprio una bella giornata! Così come lo era ieri e lo sarà anche domani.
Sto facendo un po’ di ordine nella memoria e sono uscite fuori da un cassetto queste parole:

“La sofferenza tocca delle corde, le corde più sensibili:
quelle dell’anima.
Quelle corde possono creare dolci melodie.
Alza il volume della tua musica interiore
così potrai accogliere l’amore.”

Questa poesia risale a un po’ di tempo fa, non troppo, ma neanche troppo poco. La scrivesti quando nella tua quotidianità esistevano soltanto cibo, calorie, peso, circonferenze corporee, BMI e corsa. Altro? No, solo cibo, calorie, peso, circonferenze corporee, BMI e corsa.
Tutta la tua vita gravitava intorno a dei numeri: i numeri dei chili sulla bilancia, i numeri delle calorie giornaliere da ingerire ei numeri dei minuti da correre per smaltire quello che avevi mangiato.
Oggi la mia vita gravita intorno a dei numeri: i numeri degli orari dei pullman da prendere per andare all’università, i numeri di telefono degli amici da chiamare per uscire il sabato sera e i numeri dei metri da poter scendere per fare un’immersione subacquea.
Solo oggi, che sia una giornata uggiosa o splendente, posso dire che quella che cercavi dietro a un numero è Ilaria: da un numERO a un noME. Da un solo morso proibito di una mela agli infiniti morsi dati alla sorte che voleva metterti al tappeto.
Ilaria che ama la vita, che ha combattuto e ha vinto.
Oggi non sei più quel numERO.

Alla prossima bella giornata,
a domani.
Ilaria



venerdì 15 novembre 2019

I gusti della vita


Cosa fai se da un momento all'altro la vita non ha più nessun sapore? 
Forse, quando non hai appetito, una piccola parte di te non prova fame nemmeno per la vita. 
Forse, quando i sapori non hanno più gusto, stai provando anche un po' di disgusto per te stesso.
Tramite il gusto, proviamo ad ottenere il piacere che ci sembra di aver perso in altri aspetti della vita, e perdere il gusto per la vita porta a non voler più provare nessun tipo di gusto, compreso quello per se stessi.
Ma com'è normale per ogni essere umano, a volte si ha fame e altre no, a volte si è tremendamente affamati e altre si fa fatica persino ad inghiottire. E quando inghiotti troppe parole non detto, troppe emozioni non provate, è lì che ogni altro aspetto della vita diventa troppo da mandare giù. Ti riempi di vuoti che non permettono agli elementi pieni di fare parte di te, sei vuota e piena allo stesso tempo, sei sazia ed affamata, presente e assente. Ti privi della vita fino al punto di reclamarla a gran voce, uno voce che viene dallo stomaco e dal cuore, e poi non ne faresti più a meno, pensi "com'è bello nutrirsi quando si ha fame", ma arriva il momento in cui ti fermi e pensi "Tutta questa vita è davvero così buona? Piuttosto, io ho ancora fame?
Queste sensazioni vanno e vengono, non si possono sfuggire perché la vita è sia gusto sia disgusto, tutto sta a non generalizzarla e a ricordarsi che meraviglioso gusto può avere. Perché se è vero che il disgusto allontana dalla vita e inevitabilmente da te stesso, è anche vero che è la vita stessa a dare quel sapore vero e autentico che solo essendo te stesso puoi provare. Non si è in vita per essere sempre affamati o per essere sempre sazi, si è in vita per provare a piccoli morsi più gusti possibili, per passare da un gusto ad un altro senza mancanze o eccessi, senza chiedersi se si ha fame o meno ma assaporando ogni singolo momento di vita che arriva.

Elisa

 

domenica 10 novembre 2019

Il mio corpo urla, ma non lo sento.


Caro papà,
stamattina, serafico e leggero, hai ribadito che avresti continuato a rimpinzare la dispensa di biscotti e nutella, che chi non ne ha voglia è libero di non mangiarne e che tu non sei come mamma che crede alle mie stupidaggini.
Non ho potuto urlarti contro, le mie energie le ho spese tutte per salvarmi, per risalire dal baratro in cui la vita mi ha buttato. Non ho potuto urlarti contro, il fiato mi serve perché ancora scalo arrampicandomi ad una parete che un giorno mi è amica e l’altro è così friabile che mi ritrovo giù senza il tempo di accorgermene.
Che brava che sono diventata! Ho imparato a indossare uno scafandro da palombaro per proteggermi da persone, parole, occhi, e stupidaggini. Non le mie, ma le tue.
Ho imparato a lasciare andare; quanto è difficile per chi come me non lascia nulla, e tutto gli sembra sempre poco quando c’è da riempire e affogare il vuoto.
C’è una cosa, però, che credo non lascerò andare mai, papà, ed è il momento preciso in cui non mi è rimasto più nulla. Ed è a questo prezioso momento che mi aggrappo forte tutte le volte che mi sento come mi hai fatta sentire tu questa mattina.

Mi manca l’aria, ho un macigno tra l’esofago e la bocca dello stomaco, respiro velocemente. Sono piena, piena di tutto, tutto quello che va molto oltre il consentito ingerire; eppure non mi sento (piena). Lo sono, ma non lo sento. Il mio corpo parla, urla, ma io non sento, non lo sento.
Sono una musicista e sento tanta musica, sono empatica e sento tanto l’altro, ma sono malata di Binge e non sento più nulla di me e del corpo che mi contiene.
È il 3 dicembre. Sola, nella stazione di Roma Termini, con la bocca secca, la testa vuota e la pancia piena di dolore, nel pieno di un’abbuffata senza precedenti,le mie mani tremano; ho caldo, davanti a me, idealmente, la lista di tutte le cose che devo mangiare prima che venga domani (tanto ormai…), eccitata e disattenta a tutto ciò che c’è intorno, penso che ho toccato il fondo. In una città che non è la mia, dopo aver fatto una cosa bella, mi domando come sia stato possibile arrivare a tanto.
Cinque minuti prima, nell’intento compulsivo di comprare delle patatine, di cui proprio non avevo voglia, mi ero messa in fila per la cassa, facendo per indietreggiare di pochi centimetri (non ricordo perché) ero inciampata in un trolley che una signora aveva stupidamente lasciato dietro di me. Inutili le sue scuse, mi ero scagliata con violenza inveendo contro di lei “È un’idiota! Ma come le salta in mente?!”. Per poi riporre le patatine sullo scaffale scappando via come una ladra.
L’ho sempre detto: io sono dentro e fuori di me allo stesso tempo, se perdo il controllo e faccio cose impulsive c’è una parte di me lucida.
Immobile, silente, ma lucida.
E in quel momento quella fuori di me sapeva bene che ad urlare erano la rabbia e il disgusto verso me stessa e la mia voglia inarrestabile di mangiare senza nemmeno sentire che stavo iniziando a sentirmi male.
Tra la gente ignara, le luci tristi, l’odore nauseabondo dei freni tirati, le gambe bollenti, pruriginose, dilatate nei leggins, la consapevolezza di avere aggiunto un altro ricordo grigio alla mia storia, ho solo voglia di urlare, di essere salvata.
Non ho voglia di mangiare, ma ne ho bisogno.
In una vita senza disturbo dovrebbe essere il contrario.

Ecco papà, se solo riuscissi a sentire per un attimo le orribili sensazioni di quel momento,non avresti bisogno di rimpinzare la dispensa di dolci per togliermi l’amaro di bocca… né dalla vita.

A. L. P. 


sabato 2 novembre 2019

Ti chiedo scusa, Mamma.


Cara mamma,
te lo voglio raccontare, quindi ora spegni tutto e prova ad ascoltare; ho davvero bisogno di raccontarti quello che mi sta accadendo, ho bisogno di raccontarti quello che sta prendendo tutto il mio tempo, ho bisogno di raccontarti quello che mi ha rapito, ho bisogno di raccontarti del mio “disturbo del comportamento alimentare” o almeno così lo chiamano gli altri, “disturbo” o “malattia”, ma io sto bene mamma, io sto bene, me lo ripeto ogni giorno dentro la testa, io non ho nessun problema, disturbo o malattia che sia. Questo lo penso finché la razionalità non si fa un po' spazio dentro la testa, e così ho bisogno di dirtelo, così ho bisogno di raccontartelo:
Il disturbo alimentare è una catena che lega l'anima e costringe il corpo. 
Il disturbo alimentare è la ricerca esasperata di una perfezione.
Il disturbo alimentare è continuare a guardare se stessi con la dolorosa consapevolezza di farlo con occhi non più liberi.
Il disturbo alimentare è fame che ammutoliamo.
Il disturbo alimentare sono le dita ficcate in gola per vomitare. 
Il disturbo alimentare è la faccia immersa nel gabinetto.
Il disturbo alimentare è un grido, muto.
Il disturbo alimentare è non essere più donna.
Il disturbo alimentare è una famiglia disperata, e sola.
Il disturbo alimentare non è vivere, è combattere per morire.
Il disturbo alimentare è mostrare attraverso esso le ferite dell'anima e cercare di spiegare quelle del corpo.
“Disturbo alimentare” non significa solo anoressia o bulimia, non consiste solo nell'abusare o bandire il cibo: esso è sofferenza, autolesionismo, autodistruzione. Esso ti porta ad essere rigida nel giudizio, soprattutto se indirizzato verso te stessa. perdi le emozioni, la tua autostima si raggela, ogni parola dolce, ogni attenzione ti scivola addosso, la dai per scontata, perché nella tua testa c'è solo un pensiero: il peso e le circonferenze del tuo corpo e lo spazio tra le cosce e il viso più scolpito. Un pensiero che ti divora dentro, prende tutto lo spazio che può come l'aria, e come vento spazza via tutto...lasciando solo un incolmabile vuoto.
Il disturbo alimentare è guardarsi allo specchio e odiare ogni parte di noi stessi.
Il disturbo alimentare è la continua voglia di avere il continuo controllo su tutto e sentirsi sconfitti e persi quando questo non succede.
Il disturbo alimentare ti porta ad allontanare tutti.
Io ti chiedo scusa mamma, ti chiedo scusa, so che tu non hai mai voluto tutto questo, so che tu te ne fai una colpa. So che stai cercando le duemila motivazioni che mi hanno portata qui, ma ora basta, mamma, basta; io voglio solo la tua felicità, voglio rivedere il tuo sorriso.
Scusa davvero, e ti chiedo scusa anche da parte sua.

C.


lunedì 28 ottobre 2019

La strada della vita



Cara amica mia,
ne è passato di tempo trascorso insieme, vero? Non lo avrei mai detto che un giorno saresti entrata a far parte della mia vita, sembravi così lontana e distante dal mio mondo, eppure ti sei infilata tra i miei pensieri, hai condizionato le mie azioni, sei arrivata e hai cambiato tutto.
All’esordio reputavo folli tutti coloro che pensavano io avessi un problema. Io stavo bene e non sarei mai arrivata ad ammalarmi. Quando vedevo foto di quei corpicini sofferenti che circolano sul web o che mostrano in tv, mi dicevo che io non sarei mai giunta fin lì e ciò mi faceva provare anche rabbia; anche io volevo essere in quel modo e non sapevo cosa fare per essere come loro. Quanto sei diabolica, vedi? Volevo solo rimettermi in forma ripetevo e da li è cominciato il mio incubo. Non mi bastava più essere solo in forma: perso un chilo, ancora uno in meno, e un altro, e un altro ancora. La situazione mi è sfuggita di mano e nonostante tutto, quello specchio non ha mai riflesso l’immagine che volevo, non andava mai bene e non ero mai abbastanza.
Mi hai fatto sentire forte, onnipotente, sentivo che con te sarei potuta diventare come  ho sempre sognato di essere. Mi hai fatto sentire al sicuro, in te mi sono rifugiata nei momenti di sconforto, sentivo di poter finalmente controllare tutto come non sono riuscita mai a fare ed ogni briciola e boccone in meno era un vittoria, solo così potevo dimostrare a me stessa quanto ero forte e le cose sarebbero finalmente cambiate. Ogni giorno qualcosa in meno: meno cibo, meno sorrisi, meno parole, basta abbracci, carezze. Il mio mondo perdeva colore e io stavo perdendo me stessa. Sei stata brava a mascherare tutto così bene, a presentarmi il tuo mondo come “il mondo perfetto”, e io ti ho lasciato carta bianca per giocare la tua partita, una partita che adesso io non voglio più giocare. Ho vissuto prigioniera nella mia gabbia d’oro per troppo tempo, nutrendomi di illusioni che ho sempre percepito come realtà. Mi hai preso per mano e pian piano mi hai accompagnato e trascinato sempre più giù. Mi avevi promesso e fatto credere di poter diventare leggera come una farfalla, perfetta, libera, ma io la libertà non so cos’è e non le do il tuo stesso significato. Ho cercato un appiglio in te, una coperta per ripararmi dal freddo,un luogo di pace,ma ho trovato solo tanto dolore. Attraverso te volevo gridare al mondo tutta la mia sofferenza, ci siamo alleate perché volevo scomparire, mettere fine a tutto, andare via, lontano, dove nessuno potesse vedermi. Tu hai accolto le mie richieste, il tuo intento era proprio quello di distruggere la mia vita per sempre e farmi cullare dalle tue braccia. Mi sono lasciata persuadere completamente dall’apparente e fallace forza che mi hai dato, ma con il tempo mi hai solo tolto e non mi hai dato nulla. Mi hai tolto tutto ciò che ho sempre costruito, hai stracciato i miei sogni, soprattutto uno in particolare e questo non potrò mai perdonartelo. Hai distrutto il cuore della mia famiglia, di tutte le persone vicine a me che giorno per giorno mi pregavano con le lacrime agli occhi di vedere la realtà e ciò che stava accadendo. Non sono mai riuscita a zittirti e ad affidarmi a chi voleva aiutarmi, sono scappata più volte perché era più semplice rifugiarmi in te, ormai sapevo come fare. Sei stata molto brava a mostrarmi tutto come finalmente da sempre volevo; in te ho trovato la migliore amica che non ho mai avuto. Non mi sento solamente di attaccarti e gettarti delle accuse addosso perché riconosco quanto in certi momenti in te ho trovato tranquillità, riparo, protezione. Con te è uscita fuori la parte di me che ho sempre voluto reprimere e nascondere, sono riuscita finalmente a gettare fuori tutto il veleno dentro di me, a dire finalmente: "Ho bisogno di aiuto".
Adesso, se mi guardo intorno, tu sei ancora qui, sempre sulla mia spalla a ricordarmi che ci sei, ad urlarmi contro che ti sto abbandonando piano piano e che non è ancora l’ora giusta per andare. Mi indichi la tua strada da percorrere e me la mostri scorrevole, senza buche ne fossi, così che io possa sceglierla. Ma no cara, non più, mi dispiace. Arrivata a questo punto del mio percorso, preferisco la strada della vita, tortuosa, in salita e piena di ostacoli. Anche se ti sento presente ed a volte continui ad essere dominatrice, io ho raggiunto la mia consapevolezza finalmente ed ho aperto gli occhi. Per 5 anni mi sono fidata, mi hai fatto vivere momenti terribili che non posso dimenticare, mi hai fatto sentire come nelle sabbie mobili, più volevo far passi verso la libertà, più tu mi tiravi giù. Ma ho imparato tanto durante questo percorso e sono cambiata e tu lo sai bene quanto il cambiamento mi incuta terrore e mi destabilizzi, ma non posso restare tutta la vita legata a calcoli, numeri e sensi di colpa. Ho rinunciato a tutto per te, ma non ho mai fatto nulla di concreto per me stessa. E adesso urla pure, continua ancora la tua partita se ti va, ripetimi che è tutto sbagliato, che solo insieme a te si vive nella perfezione. Io ti lascio fare, ma non riuscirai più a vincere su di me. Resterai sola in un angolino dentro di me. Non ho più tempo per te, devo ricostruire ed aggiustare tutto quello lasciato in sospeso e tutto ciò che hai distrutto, e ci hai messo molto impegno nel farlo ti faccio i miei complimenti. Adesso però è arrivato il mio momento, la mia sfida, la mia partita in cui tu non sei invitata. Ti allontano, non ti condanno, ma ti ringrazio anche perché grazie a te sono questa, una persona nuova. Sto combattendo la mia battaglia come una vera guerriera con il suo esercito fedele che non mi ha mai abbandonato, mi ha sostenuto e spronato e mi ha dato le armi per iniziare a lottare. Non posso considerarlo un vero e proprio addio questo, ancora ho molta strada da fare per staccarmi da te, ma voglio mettere delle distanze tra noi, perché se prima pensavo fossi l’unico appiglio, adesso so che sei stata proprio tu a gettarmi in mare lasciandomi in balia delle onde ed io ti ho lasciato fare.
Per troppo tempo mi sono fatta prendere in giro,ho gironzolato intorno alle mie paure senza mai affrontarle, le ho solo coltivate costruendo un muro che adesso è difficile da demolire.
So che un giorno arriverò ad amarmi e apprezzarmi .Farò pace con me stessa e con il mio corpo a cui ho fatto molto male .Voglio vivere di sorrisi, di piccole cose, di abbracci e di baci, di piccoli gesti spontanei. Voglio ballare, libera da ogni paura, voglio avere un lavoro, studiare, sentirmi importante. Voglio stringere il mio ragazzo come non ho fatto per troppo tempo, sentirlo vicino e costruire mattoncino per mattoncino la mia vita con lui. Voglio spazzare via il dolore e la preoccupazione dagli occhi e dal cuore dei miei genitori,cancellare le lacrime e ridargli la serenità. Voglio accarezzare il viso di mia madre, stringere la mano di mio padre. Voglio essere la sorella che non sono riuscita ad essere, sostenerla, accompagnarla in ogni sua avventura, essere presente per lei, la mia ancora, la mia forza e ripagarla per ogni suo gesto d’amore. Voglio godermi la mia cagnolina, la mia famiglia, stringere e dire più spesso ai miei nonni un ti voglio bene e rifugiarmi nelle loro braccia come da bambina. Voglio tornare a sognare, a sperare, ad avere fiducia, a credere in me stessa, voglio darmi una possibilità perché io non sono l’ANORESSIA. Adesso riesco a vedere uno spiraglio, una piccola luce calda che illumina la mia vita. Sto raggiungendo piccoli traguardi e piccole vittorie; è così dura ma alla fine potrò dire di avercela fatta nonostante tutto. Ho scavato dentro di me e mi sono domandata se veramente questa era la vita che volevo. Ho trovato le mie risposte. Ho trovato la forza che non sapevo di avere o che probabilmente non mi sono mai riconosciuta. So che posso farcela e so di non essere sola nella mia lotta per la vita. Sono stanca di sopravvivere. A guardarmi le spalle ed al mio fianco ho una schiera di angeli, persone speciali e professionisti a cui devo tanto, che si prendono cura di me, della mia salute e lottano con me affinchè questo gioco di cattivo gusto finisca e diventi solo un ricordo lontano. Ho trovato nuove amiche che vivono quello che vivo io e ci supportiamo a vicenda per uscirne fuori tutti insieme come vincitrici. Tutto quello che ho passato mi ha fatto capire cosa sono le cose importanti per me e soprattutto le persone che meritano il mio affetto e il mio riconoscimento, tutto il resto non merita il mio rispetto e lo voglio fuori dalla mia vita per sempre.
Senza di te non so come sarà la mia vita,forse mi sentirò sola,persa,senza riferimenti,ma voglio correre questo rischio. La vita va oltre la paura e io voglio viverla, voglio anche sbagliare, amare, urlare, fare tutto ciò che desidera il mio cuore e tu non mi bloccherai mai più!
La tua, ancora per poco, 

Maria Grazia.

 

domenica 27 ottobre 2019

...tu chiamala Anoressia!


Viviamo in un mondo dove tutto scorre veloce. Non si ha il tempo per fermarsi, per osservare, per ascoltare. Il ticchettio del tempo ci rende frivoli, incapaci di analizzare, ma nello stesso tempo pronti ad etichettare con frasi a caso “Non mangia più” - “Vuole attirare attenzione” - “Guardala è anoressica”.
Tante volte ho sentito chiamarmi così, quasi da indurmi a pensare che fosse il mio nuovo nome. Un nome che girava intorno alla morsa del cibo; intorno quella voglia di svuotare, cancellare ogni traccia di dolore, di eliminare te stessa da una realtà che faceva male.
Man mano il rifiuto del cibo, le privazioni imposte, l’odio per quei fianchi troppo larghi genera una bolla dove tu sei dentro, che si alimenta ogni giorno di imperativi, di obiettivi, di colpe ma soprattutto di numeri, di bilance e di centimetri. Numeri compresi tra 28 e 28,5 kg; un’infinità millesimale di numeri che per un’anoressica sono l’unico modo per soddisfare quel piacere irrefrenabile di autodistruzione.
Non vi è un istante preciso e puntuale in cui un essere umano cade nella trappola “dell’altra te stessa”, quell’alterego che vedi ogni mattina riflesso nello specchio e che odi. Non vi è un momento in cui quella macchina di distruzione inizia il suo percorso in quel corpo fragile e sensibile. È difficile capire il messaggio di quello scheletro ambulante sia da parte della famiglia, degli amici sia da parte della medicina moderna spesso non adeguatamente preparata. E così ci sei solo tu, stanca, a non essere più capace di tenere tutto sotto controllo come se qualcosa ti stesse sfuggendo dalle mani. Le mie gambe non mi permettevano più di avere lo stesso passo austero di una volta. L’anoressia non riusciva più a comunicare con il mio corpo che non reagiva più, aveva sopportato troppo e troppo velocemente la caduta verso il baratro. Non poteva o non voleva sostenere ancora le angherie di quel disturbo che lui stesso non aveva cercato. Le giornate diventano lunghe, sono ormai una larva che deambula con un pigiama per le stanze di casa cercando di capire cosa fare, come cercare di dare un taglio netto alla vita, di dare un fine a quell’agonia. Le voci si amplificano nella tua testa, l’odio per te stessa e per l’incapacità di gestire il tuo mondo si espandono come a macchia d’olio. Si diventa inermi ad un certo punto, non si ha neanche più la voglia di distruggersi e così si aspetta il momento in cui quel nero che vedi dentro ti avvolga.
Io ad oggi non so dirvi il perché sia ancora qui. So solo che c’è stato un dottore, una di quelle persone che hanno fatto del loro lavoro una missione, che ha saputo leggere il mio dolore, le mie paure. È riuscito a interpretare la metamorfosi di quel corpo andando oltre il rifiuto del cibo. Così gli incontri si intensificarono, i nostri primordiali silenzi si trasformarono in lunghe chiacchierate. Quei colloqui non avevano una cadenza fissa e costante proprio perché la mia rinascita non doveva dipendere da qualcuno. Dovevo contare solo su me stessa. Dovevo Farcela per Me Stessa.
A chi mi chiede oggi “Come sei riuscita a guarire?”, io non so rispondere, e mentirei nel raccontare la formula magica della guarigione. Dall’anoressia credo non si guarisca definitivamente, certo si riprendono kg e riemerge la parte vitale di te stessa. Ma l’Anoressia no.. non va via, resta lì, rilegata nell’angolo più recondito di te stessa.. ed è per questo che non mi piace parlare di guarigione, ma di consapevolezza nel gestire Lei e le sue provocazioni. E quindi nonostante i bei sorrisi di oggi, continui a lottare...sì, lottare!

A.R.

 

venerdì 11 ottobre 2019

Una lezione di vita. [Lettera all'Anoressia]


Cara anoressia,

sono così tante le cose che vorrei dirti. Forse pensi di sapere già tutto di me, tu che mi hai colta nelle mie profonde fragilità, svuotandomi. La verità è che tu, della vera me non sai un bel niente. Tu della vera me te ne sei sempre fregata. Ti sei insinuata silenziosamente nelle mie giornate, nei miei pensieri e nel mio cuore; sfruttando le mie debolezze hai conquistato la fiducia che non avevo nemmeno in me stessa. Mi hai illusa di potermi rendere migliore, di potermi rendere LA migliore e con questa convinzione hai fatto di me la tua marionetta. Mi hai promesso che sarei stata finalmente felice e che con il tuo aiuto tutto sarebbe andato bene. Ti sei approfittata di me, ed io ci sono cascata. Mi sono sbarazzata della mia vecchia vita per costruirne insieme a te una nuova, inconsapevole che saresti stata tu l’unica in grado di controllare le mie scelte e i miei comportamenti. Inconsapevole che non te ne saresti mai più andata.

Amavo ridere. Amavo ridere con i miei amici, amavo ridere con il mio fratellino e persino da sola, davanti allo specchio. Amavo ridere e basta. Chiunque mi avrebbe  descritto  come una ragazza solare  e piena di vita, ma soprattutto felice. E forse è proprio questo che ti ha permesso di prenderti gioco di me. Il fatto che in realtà io, felice, non lo fossi per niente. Ma poi sei arrivata tu, e come la migliore amica che potessi desiderare mi hai sussurrato all’orecchio che non ero più sola. Che non dovevo più farmi carico di tutto quanto. Che potevo smettere di fare fatica. Ed io, che mi sentivo così sbagliata, così vulnerabile e così imperfetta, mi sono lasciata cadere tra le tue braccia, ringraziandoti. Ho visto in te un’ancora di salvezza, l’unica via d’uscita e persino un’amica. Mi sono sentita protetta.

Eppure è bastato così poco perché quel senso di inadeguatezza e imperfezione si trasformasse in una vera e propria ossessione. “Non è abbastanza, Anna. Non SEI abbastanza.” Questo mi dicevi e di questo io mi sono convinta.

E’ cominciata così la nostra storia, la mia tortura. Un’adolescenza passata tra le mura di casa tormentata dai pensieri, dai numeri, dagli schemi, dalle paure. Dal terrore di fare qualcosa per cui tu non eri d’accordo, qualcosa per cui tu me

l’avresti fatta pagare in quelle esasperanti crisi, divorata dai sensi di colpa e dalle ossessioni. L’unica cosa che mi restava eri tu, la mia identità ormai, il mio volto davanti a tutti, o forse la mia maschera. La mia amica - nemica. E nonostante io riconosca tutto ciò, tutto il male che mi hai fatto, non riesco ancora a lasciarti andare. Perché il tuo abbraccio a volte è così confortevole da non farmi nemmeno sentire che in realtà mi stai soffocando. E perché, senza di te, chi sono?

Ma in tutto questo, cara anoressia, io voglio anche ringraziarti. Sì, hai letto bene, ringraziarti.
Perché  un  giorno,  quando  sarò  GUARITA,  questo  non  sarà  solo  un  brutto ricordo. Sarà una lezione di vita. Sarà la mia forza. Quello che ho imparato su me stessa, sugli altri e sul mondo, sarà con me per sempre. Quindi ti ringrazio, per avermi fatta crescere, maturare e per avermi insegnato a non dare nulla per scontato. Per avermi insegnato a vivere ogni attimo come fosse l’unico a nostra disposizione. Per avermi insegnato a non fermarmi mai alle apparenze. Perché, come pronuncia una famosa citazione: “Ciò che non ti uccide, ti fortifica.”

Mi mando un abbraccio anoressia. Mi mando un abbraccio vero. Uno caldo, morbido e affettuoso. Perché decido di volermi bene, oggi più che mai.

Anna


venerdì 27 settembre 2019

Vestir-si


Un vestito può fare la differenza. Un vestito può significare molto di più che un semplice indumento per coprirsi o apparire. Chi ha sofferto o soffre di un disturbo alimentare non ha un bel rapporto con l'abbigliamento. Pantaloni sempre più larghi, maglioni sempre più enormi, taglie che sembra facciano il conto alla rovescia. Sono tessuti che ti inglobano, ti inghiottono, annullano la tua forma. I vestiti danno anche un'identità, un riconoscimento, dunque vedendosi sformati non ci si può sentire definiti, realizzati. Mi piace indossare il body a danza perché così mi sento più ballerina, mi sento più sicura di esserlo. Ma quando stavo male nessun vestito riusciva a farmi sentire me stessa, semplicemente perché i vestiti dei quali avevo bisogno non erano materiali. Per guarire, occorre vestirsi di sicurezza, di coraggio, di amor proprio, di consapevolezza, bisogna entrare nei panni di se stessi, e sono solo quelli i vestiti che donano più di tutti. Anche se si indossa lo stesso vestito di anni fa, non significa che si stia vestendo la stessa persona di anni fa. Anche se dei pantaloni che un tempo ci stavano larghi ora stringono un po', non vuol dire che prima fossimo noi stessi ed ora non più, anzi, è proprio il contrario, è solo quando riusciamo a percepire la nostra presenza che possiamo distinguerci dal vestito stesso. Se un capo ha delle mancanze, fa sentire un vuoto anche a chi lo indossa. Io, mi sentivo addosso un abisso che creava dentro me una voragine profonda, e un giorno allo specchio mi sono detta che quei vestiti non potevano rappresentarmi, non volevo essere uno spazio da riempire ma una presenza da vedere. Riempire dei vestiti è solo una conseguenza derivante dal riempire la propria anima, come vestire se stessi è la premessa per non dover più sentire quel vuoto, e se ci ricordiamo questo sfileremo a testa alta per il resto della vita consapevoli che qualsiasi cosa indosseremo non andrà a coprire chi siamo realmente.

Elisa


martedì 17 settembre 2019

Dall'Anoressia al Binge...alla Vita!



Fin da piccola, ho sempre avuto timore dei miei genitori.
Non hanno mai accettato il fatto che io fossi diversa da come loro avrebbero voluto.
A un certo punto, allora ,pensai che l'unico modo per ricevere un po' più di affetto fosse quello di reprimere la mia personalità, chinandomi il più delle volte al loro volere.

All'età di 7 anni, mi autoimposi persino di non piangere la morte improvvisa e precoce del mio caro zio, che per me era come un fratello, in modo tale che i miei genitori pensassero che fossi una bambina forte e da allora cominciai a chiudermi sempre più in me stessa.

Con il passare del tempo, iniziai poi ad accorgermi che c'era qualcosa in me che non andava , che mi faceva sentire sempre fuori posto e diversa dagli altri. Solo a 20 anni, ho scoperto che si tratta di un malfunzionamento del sistema nervoso involontario, a cui c'è una cura parziale, che consiste in un intervento,che spero un giorno di poter fare.

All'età di 11 anni mi fu diagnosticata una scoliosi idiopatica, che a tutt'oggi mi accompagna.
Da quel momento cominciai a desiderare a tutti i costi un corpo perfetto, iniziando cosí a perdere peso, considerato il fatto che sin da piccola mi era sempre stato detto di avere troppa "ciccia". 
Entrai così inconsciamente nel tunnel dell'anoressia nervosa, che mi ha accompagnato per circa 6 anni.
In realtà, però, quella fu solo la goccia che fece traboccare il vaso perché quell'ossessiva ricerca della magrezza era un modo per "evadere" da un ambiente familiare che diventava sempre più opprimente e da una realtà sociale in cui mi sentivo costantemente a disagio.
In quegli anni iniziai anche a soffrire di disturbi gastrointestinali, che contribuirono ad alimentare sempre più il mio odio verso il cibo.

All'età di 17 anni, schiacciata dal peso dei numerosi problemi che invalidavano la mia vita quotidiana e mi impedivano di guardare al futuro, e frustrata per il fatto di sentirmi così sbagliata e di non essere compresa da nessun membro della mia famiglia, che sembrava fingere di non vedere i segnali che ogni tanto lanciavo, scambiandoli per semplici capricci, iniziai pian piano ad ammalarmi di Binge Eating.

Quel grido di aiuto lanciato dal mio corpo, forse per acquisire visibilità, si trasformò nel peggiore dei mostri contro cui abbia mai combattuto, in grado di divorare la mia anima giorno dopo giorno, abbuffata dopo abbuffata , e di portare il mio corpo in un stato di totale malessere... un mostro che non solo mi ha fatto del male, ma che ha permesso che anche gli altri ,durante quel periodo, me ne facessero...

Ogni giorno, guardandomi allo specchio, provavo disprezzo per la persona che ero diventata e sempre più pensieri suicidi continuavano a farsi largo nella mia testa ,ma non riuscivo a fare nulla per cambiare la mia condizione, perché quel mostro aveva preso il sopravvento su di me.

Dopo quasi 3 anni, che per me sono stati un un autentico inferno, finalmente per me è arrivata la luce. 
La mia ultima abbuffata del 1 Giugno 2018 mi distrusse a tal punto da farmi capire che, per essere ascoltata, non dovevo farmi del male, ma dovevo urlare più forte che potevo.Il 2 Giugno 2018 iniziai il mio percorso per uscire dalla spirale del DCA contando, con coraggio, esclusivamente sulle mie forze.

Durante questo cammino, non ancora del tutto terminato,fatto di introspezione e ricerca di me stessa, molti sono stati gli alti e bassi e altrettanti gli ostacoli da superare ma, nonostante tutto, ho sempre cercato di tenere bene a mente il mio obiettivo, dandomi forza anche quando sembrava stesse per crollare tutto.

Ho avuto bisogno di molta stabilità e affetto, che in particolare la mia mamma non mi ha fatto mancare, perché alla fine, nonostante le nostre numerose incomprensioni, è riuscita a cogliere i segnali che ho lanciato.

Nella mia lotta contro i disturbi alimentari, ho imparato che in alcune circostanze le parole non dette sono in grado di ucciderci, poiché esse non svaniscono, ma scavano lentamente dentro di noi senza che neanche riusciamo ad accorgercene.
Ho imparato a non dar credito a ciò che dice la gente, perché quello che conta davvero è l'opinione che ognuno di noi ha di sé stesso, e che nessuno ha il diritto di decidere della nostra vita, perché siamo noi a scegliere la nostra strada e solo il tempo potrà dirci se le decisioni prese siano state giuste o sbagliate.
Infine, ho imparato a mostrarmi per quella che sono, a volermi bene, a sentirmi finalmente "abbastanza", senza paragonarmi agli altri e a non arrendermi davanti alle avversità, ma a combattere con le unghie e con i denti, anche quando siamo noi stessi ad essere il nostro peggior nemico.

Il mio cammino verso la vita prevede ancora molte tappe, ma l'aver trovato la strada giusta per superare i disturbi alimentari ha riacceso in me la speranza, mi ha ridonato la libertà e mi ha fatto capire che mai nulla è perduto!

Lexy

 

lunedì 2 settembre 2019

Ricordi di cadute e ossa



Che dire BuliMia cara,
Mia strada tortuosa, dissestata, buche nascoste dove inciampare e sassi dove sbucciarsi le ginocchia. Cicatrici da indossare in un corpo sempre troppo grande per me. E ancora una volta mi ritrovo in pedi, tumefatta, arrabbiata; molto, molto arrabbiata. E non passa giorno che io non ti pensi, mentre mi asciugo la faccia allo specchio al mattino, dentro i miei passi, attenta a non inciampare ancora.
E ora come allora scriverti fa così tanto male, fa male al cuore, alla testa, allo stomaco, brucia in gola come il reflusso. In 18 anni non mi hai mai lasciata sola, nemica fedele.
Me li ricordo gli psicofarmaci, e tu? Andavamo al liceo. Me lo ricordo il mio sorriso stampato e la rabbia dentro, dietro. Che cos’hai da sorridere? Qui non c’è niente da ridere. Qui c’è da piangere, da urlare, da disperarsi. Qui c’è da soffrire e tu ridi. E io rido.
Mi ero convinta di averti superata, di aver dimenticato tutti questi ricordi e il dolore che si portano dentro. Sbagliavo. Impolverati, ammucchiati comeossa in una fossa, sono gli scheletri nel mio armadio. E li riconosco tutti, uno per uno e li ricompongo come un grande puzzle.
Me lo ricordo il ricovero a Pavia, dicembre 2007. Un mese in clinica, specialisti di ogni genere a rovesciarmi come un calzino, a insegnarmi come avrei dovuto vivere, mangiare, muovermi, senza poter uscire, lontano da casa, sola. Ricordo che fuori era freddo e spesso c’era la nebbia, ricordo che il giorno di Natale vennero a trovarmi mamma e papà e potemmo fare finta di essere al ristorante, ricordo lo sforzo per sembrare felici.
Questo femore va con questo bacino, in fondo a questo rachide... e pian piano uno scheletro prende forma.
Ricordo il palloncino intragastrico, il B.I.B. Rovereto 2010, le complicanze dell’intervento, e il virus intestinale.  Persi quasi 10 chili in quei 10 giorni, poi non ne persi quasi più. E tu lo sai il perché Mia cara, vero? La mia abilità nell’eludere il sistema di sorveglianza di quel corpo estraneo, poche quantità, frequenti, semiliquide.
Ricordo il senso di colpa quando la Dietista del centro per i disturbi del comportamento alimentare di Ravenna mi dimise, dopo il fallimento del B.I.B, avevo 26 anni. Ricordo quando mi disse “Abbiamo provato tutto il possibile, sei diventata grande, non possiamo più fare niente per te.” Di quella frase ricordo il tono, e non mi ferì la dimissione, il senso di abbandono, no. Mi ferì la sua tristezza, credo che quel medico, ma prima di tutto quella donna che mi aveva vista fallire per nove anni, credo che lei stesse in qualche modo soffrendo con me.
E poi qualcosa è cambiato. Nel momento in cui mi sono sentita sola con te, allora ho cominciato a guardare la strada. Ho camminato un passo alla volta, pian piano ho alzato la testa e iniziato a conoscermi, riconoscermi, scoprirmi e ricostruirmi. Quello che ora so per certo Mia cara, è che io esisto e resisto. Nel mio cammino ho avuto la costanza di non mollare mai la psicoterapia, maniglione di sicurezza. Dovevo vedere il tuo viso e non solo quel ghigno incappucciato che per anni mi ha spaventata. Dovevo guardarti negli occhi per riconoscervi i miei.
E ora che ho disegnato una mappa, che riconosco i sassi, le buche, ora che non sono più quella che ero e che non puoi più farmi così tanto male, resta. Resta perché quelle ossa ammucchiate sono scheletri interi e sotto la luce degli occhi aperti non fanno più tanta paura. Resta per ricordarmi quei giorni, non come una tortura ma come una vittoria. Resta perché io ho intenzione di restare a ridere, ma a ridere davvero.

F. C.


lunedì 26 agosto 2019

Padrone della mia vita



Affronta coraggiosamente la vita e non permettere alle difficoltà di turbare il tuo fondo di serenità, vivi oggi non vivere nel passato e non farti paralizzare dalla paura del futuro.
Sii orgoglioso di esistere, non avere mai paura di vivere, non esiste un momento giusto per vivere, è sempre il momento giusto, il passato non deve mai essere messo davanti ma di fianco a noi, davanti ci paralizzarebbe, di fianco può esserci d'aiuto per non commettere lo stesso errore due volte.
Fa che il tuo sorriso voli più alto delle sofferenze, solo così imparerai.
Nell'infinità della vita che vivo, tutto è perfetto integro e completo, scelgo ora con calma e obiettività di individuare i miei vecchi schemi e sono disposto a cambiare, sono aperto a ricevere un insegnamento, sono in grado di imparare, sono disposto a cambiare. Scelgo di divertirmi con questo esperimento e di reagire con stupore e meraviglia nello scoprire qualche altro ostacolo da superare, osservo i miei cambiamenti, attimo dopo attimo i pensieri non hanno più forza su di me, sono io padrone della mia vita, scelgo di essere libero nel mio mondo tutto va per il meglio.

Anonimo


venerdì 23 agosto 2019

Guariremo.



Cara Me,
Quando ti guardi nello specchio del bagno, appannato dal vapore della doccia che ha coperto fino a qualche istanti primi i vagiti del tuo dolore, non guardi veramente chi sei. Prova a capirlo. Il viso paonazzo, triste e arrabbiato, gli occhi gonfi e lucidi che sembrano disprezzarti stanno gridando, urlano e strepitano per svegliarti dall’incubo in cui vivi.
In quello specchio non sei tu perché se provassi a guardarti con altri occhi vedresti il tuo valore, il tuo bisogno d’amore, la forza che hai fisicamente a rialzarti volta dopo volta, quando il tuo cuore esausto sembra solo volersi fermare da quella corsa che impazza nel petto ma non lo fa. Continua a battere, forte perché tu forse non lo sai ma vuoi vivere e quella che hai è fame di vita, di gioia, d’affetto.
Tremante lasci il bagno con quel senso di vergogna e fallimento che sembra insinuarsi in ogni fibra della tua pelle fino a raggiungere la profondità delle tue viscere ad annichilirti l’anima. Vorresti sparire, strappare via quella sensazione che ti violenta ogni volta che cadi. La solitudine che porti nel profondo è un vuoto che si espande giorno dopo giorno, ogni volta che non chiedi aiuto, ogni volta che pensi di non meritarlo, il vuoto si fa spazio dentro di te e logora il tuo essere.
Posso vedere la tua sofferenza, posso viverla e soffrire perchè sono passati tanti anni da quando sei scivolata dentro questo vortice di demoni che ti ha segnata in modo indelebile.
Sul tuo corpo le storie del dolore, inciso nella carne in tutti i momenti in cui sentivi di non farcela più.
Nella tua gola ferita le fitte ogni volta che qualcosa scende giù a dissetarti. Fitte dolenti a ricordarti cosa hai fatto e inevitabilmente senti di essere una fallita, incapace di abbandonare la gabbia che la malattia ha costruito attorno a te.
Vorresti gridarlo al mondo il tuo dolore ma non lo sai fare e ti senti morire sempre più ogni volta che trattieni le tue emozioni e invece di urlare le trangugi fino a vomitarle fuori, arrabbiata.
Ti guardo e nemmeno te ne accorgi.
Sei bella, forte, sei degna ma non lo sai. Meriti tutto il bello che la vita ha da offrirti e il dolore che hai provato fino ad ora ti insegnerà che quello che di oscuro la vita ti riserverà ancora sarai in grado di superarlo.
Guardati, ti prego. Ma abbandona gli occhi della malattia per un solo istante e guardati per chi sei davvero.
Tremi impaurita e nonostante questo sei qui, adesso.
Non sperare che chi hai accanto ti comprenda se tu per prima non sai farlo.
Lasciati aiutare da chi può farlo e amati, solo così potrai scoprire l’amore che gli altri hanno da offrirti.
Nessuno ti conosce meglio di me. Vivo ogni giorno la tua agonia e i tuoi sorrisi, quelli veri che compaiono sul tuo viso candido quando ti emozioni.
Emozioni. Quante ne senti? Infinite, sei così sensibile che ti lasci sconvolgere da ciò che senti. Impetuosa la tua anima, liberala da questa gabbia angusta perché lo merita.
Nulla cambierà il passato ed è giusto che sia così. Sei la donna di oggi per quello che hai vissuto ieri e sarai la donna di domani per quello che vivrai oggi.
Ascoltami.
Iniziare non è facile lo so e la strada appare tanto difficile che la gabbia spaventa meno però, alla fine del percorso, la tua libertà e non c’è motivo più grande per lottare e conquistarla.

Il domani inizia oggi e per noi voglio il meglio. Guariremo. 

V.




giovedì 22 agosto 2019

A ogni fiocchetto...



Non li sopporto.
Non sopporto chi ti guarda e si volta.
Non sopporto chi ti guarda e si volta poi ti riguarda e si rivolta ancora.
Non sopporto chi ti guarda e si volta poi ti riguarda e si rivolta ancora ed inizia a giudicare, sottovoce, per non farsi sentire perchè è maleducazione.
Non sopporto chi ti guarda e si volta poi ti riguarda e si rivolta ed inizia a giudicare sottovoce, non conoscendo la tua storia.

Non mi sopporto mentre non li sopporto.
Non mi sopporto mentre non li sopporto perchè forse dovrei iniziare a fare come loro, non ci sono mai riuscita. 
Non mi sopporto mentre rileggo ciò che ho appena scritto perchè fare come loro vorrebbe dire essere come loro, ed essere come loro significa essere giudicanti ed indifferenti e come diceva qualcuno parecchio tempo fa "odio gli indifferenti" perchè:

"L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è VITA."

A chi lotta ogni giorno.
A chi lotta con noi ogni giorno.
Ad ogni fiocchetto lilla qui con noi o sopra di noi.
A ogni fiocchetto... di qualsiasi colore.
Ad un piccolo fiocchetto blu.
A mio padre ed al suo rispettoso silenzio.


lunedì 19 agosto 2019

Per non farsi trasparente


Cara Viviana,

ti parlo immaginandoti per com’eri in passato, ti vedo come ombra incrostata addosso nello specchio; ho smesso di sforzarmi a raschiarti via, perché sei un’altra parte di me, sei il volto di una gemella siamese attaccata alla mia guancia. Quando ti scorgo, non so bene cosa farmene del tuo viso emaciato, dei tuoi occhi spenti, delle occhiaie scavate da mesi di lacrime che non avrebbero cambiato niente; so che mi ero promessa di essere il meno tragica e stucchevole possibile, ma obiettivamente non riesco a vedere nient’altro che zigomi spigolosi e luce spenta, in quel volto fantasmatico che ogni tanto riappare. Questo per dire che non so parlare di quello che è successo –meglio, non so parlare di te- se non sputando fuori tutto il dramma che abbiamo vissuto: che fatica fonderci in questa prima persona plurale, riconoscere che ero te, che il mio volto di ora si caletta sul tuo, che parla al passato ma non per questo è meno presente, o può scomparire di colpo dalla superficie dello specchio che me lo disegna davanti allo sguardo.
Se parlo di questo devo far gridare tutte le scorie che ancora mi abitano, le unghie che come artigli mi sono conficcata in cosce esili (ma mai troppo), le fitte di fame nello stomaco che non si facevano mai farfalle; devo riscoprire il mio corpo e far parlare lui, le sue fibre muscolari stanche, il logorio con cui l’ho martirizzato, e niente di tutto questo riesce a slegarsi dal sentimento del “dramma”. Non riesco a pensare in altro modo a quello che la malattia ha rappresentato, come fosse stata una sorta di cruciale spartiacque: tu sei una persona, poi ti si inocula questo mostro dentro la testa che ti fa piangere di rabbia e frustrazione di fronte ad una cotoletta troppo unta, e prima che tu possa arginarne le ripercussioni sei già un’altra persona incapace di ritrovare l’identità di chi eri prima. Il cambiamento ha stravolto tutto e quasi non rimangono tasselli da raccogliere; fra le macerie di chi eri, ciò che rimane è tutt’al più un riflesso evanescente, il rimasuglio di un ricordo.
Anche oggi che mi specchio sono stanca, ma i miei occhi non si sono più spenti nel buio opaco in cui l’anoressia ti aveva inghiottito. Vedere questa parola fatale ufficialmente scritta sulle diagnosi dall’esattezza impietosa dei medici era una fitta lancinante, ogni volta; adesso impilare le lettere in fila fa lo stesso effetto che dovevano vivere quei professionisti ad attenersi alla precisione del proprio lessico tecnico. È una malattia, è clinicamente appurato; ti è appartenuta, anche questo è consolidato e ne hai assunto coscienza. Ti ha violentato, fatto sciupare amicizie, ti ha reso responsabile della sofferenza indicibile di genitori stanchi: tutto questo i referti medici non l’hanno raccontato.
Vorrei raccontarlo io, prima o poi, se trovo le parole, se torno ad ascoltare il mio corpo per farlo parlare del dolore che gli ho fatto covare.
Il fatto che quel volto sfumi, Vivià, non significa più che desideri accanitamente di sparire o di farti trasparente: semplicemente, tu non sei più quell’espressione abulica, di chi ha perso la magia. E io ti scrivo perché ho smesso di odiarti, perché rappresenti il cambiamento che nego: va bene nominare la malattia, imparare a chiamarla per nome, accettarla nella propria vita come ferita sanguinante di una pelle stracciata. E va bene anche riconoscere in quel volto chi si è stati, per poi spostare lo sguardo sulla faccia di oggi e scoprire che la polpa carnosa delle guance è l’immagine più bella che trovo per esprimere la mia massiccia, ingombrante presenza nel mondo.

Viviana


venerdì 9 agosto 2019

La svolta


Cara Laila,

ti scrivo perché ho ormai preso una decisione e non voglio rimandare. Sì, perché nella vita occorre decidere, con coraggio, forza, determinazione, lasciandosi dietro le convinzioni di chi sempre ci giudicherà; per svoltare bisogna decidere e basta.
Sono sempre stata spensierata, ridente e solare, soprattutto convinta che la mia esistenza, sarebbe trascorsa senza preoccupazioni, in fondo mi avevano sempre detto, fin da piccola, che essere buoni e benevoli, mi avrebbe ripagata con tanta felicità e sole cose buone. Purtroppo ho imparato a mie spese che non è così, non sappiamo cosa in realtà la vita ha in serbo per noi.
Ti ricordi, era il giorno del mio compleanno, 18 anni festeggiati insieme a te e Luca, sempre insieme noi tre… tu poi te ne sei andata prima, con una scusa qualunque ci hai lasciati soli. Sapevi che tuo fratello aveva un debole per me e che io gli volevo altrettanto bene.
Tutto regolare, e i successivi due anni sono stati meravigliosi fino a quell’incidente. Non ho avuto nemmeno il tempo di salutarlo. Mi ha preso per mano e mi ha detto di stare tranquilla, mentre io semicosciente sentivo solo il  rumore del frullino dei vigili del fuoco, che tagliava le lamiere dell’auto per tirarci fuori. Quando mi sono svegliata il mondo si era capovolto, Luca non c’era più ed io sarei stata destinata a sopravvivergli, sentendomi sola e colpevole.
Avrei voluto esserci io al suo posto, lo sai, te l’ho detto mille volte.
Ho iniziato a pensare che tutta quell’angoscia che avevo nel cuore, potesse essere repressa e soffocata, cercando di focalizzarmi su qualcosa che mi facesse stare meglio e l’unica risposta è stata il cibo.
Tonnellate di cibo hanno transitato il mio esofago con scriteriata velocità, facendo appena in tempo ad arrivare allo stomaco, per poi essere rigettate dentro uno squallido water, tutto sempre rigorosamente in silenzio, per non farmi sentire, ma soprattutto per non voler ammettere a me stessa che c’era qualcosa che non andava.
Ho pensato che questa pratica fosse liberatoria e terapeutica, ma in realtà è solo servita a farmi cadere in un groviglio di ingranaggi, che mi stavano per stritolare facendomi deperire, nel corpo, nella mente e soprattutto nell’anima. Guardandomi allo specchio oggi, posso vedere solo un essere smorto ed avvizzito.
Nonostante tutto, solo ora capisco che mi sei stata sempre vicina, che hai messo da parte il tuo dolore, per cercare di soccorrermi nel mio. Io sono stata solo un’egoista e forse un po’ cinica, pensando di essere la sola a provare dolore e sconforto; è evidente che non era così.
Tre giorni fa mi hai strattonata con forza urlandomi contro non so cosa, mentre ti ascoltavo non ti sentivo, ma ti vedevo; ho scorto uno scintillio nei tuoi occhi che i miei non hanno più; so che era amore, vero, puro ed incondizionato. Ho visto le lacrime solcarti le guance e disperate cercare di rimanerti aggrappate al viso, per poi frangersi a terra. Ho capito che quella che pensavo fosse rabbia, era solo paura di perdere anche me.
Cara Laila, il tuo sprone mi ha risvegliata; il cibo non può essere una soluzione ad un problema così grande, devo affrontarmi ed affrontare un percorso che non sarà né breve né semplice, ma ti giuro che tornerò presto, con lo stesso amore per la vita che ho visto nei tuoi occhi.

Tua Lu


P.s.: Non so se avrò il coraggio di darti questa lettera, ma credimi, non sono mai stata lucida come ora. Sono sicura che mi perdonerai per tutto il male che facendomi ho fatto, e spero soprattutto che tuo fratello mi stia guardando ancora dal cielo, con gli stessi occhi dell’ultimo nostro incontro.

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Immagine: Illustrazione di Knysh Ksenya



 

martedì 6 agosto 2019

Tra linee e forme


Ogni tentativo di definire e raccontare cosa è stata per me l'anoressia e il binge diventa sempre più difficile.
Mi sembra che le parole siano inadatte, espressione limitata di una dimensione che cambia forma colore con il tempo che scorre.
Perfezione, bambina, ascolto, terrore, paura, determinazione, forza, abbandono, timore, obbligo, negazione, negazione, controllo, autocontrollo, imposizione, ordine, pulito, sporco, finzione, presunzione, assoluto, dolore che pulsa...vita e morte.

Avevo così tanta rabbia dentro e un dolore sconosciuto mi faceva raggomitolare sul letto, mi sarei voluta strappare quel nucleo di dolore dalla profonda e sconosciuta  me, eppure comprenderlo e raccontarlo, separarmene, poi riconoscerlo e riassorbirlo è stato necessario. Quando provavo rabbia tremavo e mangiare diventava impossibile. Per il resto ho lottato e annientato una fame indicibile, una fame naturale, ma diventata incredibile.
Abbracciare uno schema fu come fare un passo ed entrare in una casa che cadeva a pezzi, in bilico continuo ogni gesto mi costava enorme fatica: non respirare per venti secondi, aspetta c'è la pasticceria trattieni il fiato, un boccone, una flessione, guarda una linea di mattonelle cammina in linea retta senza uscire dai bordi, metti la sciarpa senza far uscire l'etichetta, ripiega l'asciugamano in senso orario.
Ogni giorno sentivo una paura grigia, anzi la pensavo, perché tutto era testa, emozioni soffocate, vivevo in apnea.
Quando dopo quattro anni è arrivato qualcosa di diverso, l'ho accolto come potevo, con foga e disperazione. Un momento, un tentativo e la vita mi ha richiamata con forza e violenza, perché quando te ne dimentichi, lei non molla, come probabilmente la parte resiliente e vitale di noi non molla mai.
Ovviamente in questo percorso la mia famiglia c'era, io mi sono ammalata ma il dolore seppur diverso era condiviso. Dopo corse senza forze, 4 mandarini in inverno, un 3 sulla bilancia...sono esplosa. Non riuscivo a fermarmi, mani sporche nella bocca, ancora e ancora. Veloce silenziosa, vorace senza controllo e resistenza contro chiunque: non mi bloccare, non mi guardare, non mi ignorare, non ti arrabbiare...non ti vergognare di me!!
Dopo giorni e mesi di perdita, silenzio, e dolore, tanto tantissimo, perché al silenzio dell'anoressia si era sostituito un rumore incomprensibile, non capivo più nulla pensavo di impazzire...ho chiesto aiuto.
Sono passati quattro anni da allora.
Sono su un treno mentre scrivo, c'è il sole e fa decisamente caldo.
Avevo una paura enorme della vita e di morire paradossalmente, e ce l'ho ancora e mi guardo intorno e vedo che è di tutti, e mentre prima c'era una barriera ulteriore da dover affrontare tanto spessa da avermi convinto che oltre quello la vita fosse poca cosa, oggi la barriera è talvolta un vetro sottile, o una pellicola sospesa nella mia vita.
Vedo la guarigione fra virgolette come un percorso di vita, con i fantasmi propri di ogni percorso, presenti assenti, lontani, vicini. A volte ho paura di dimenticare, a volta mi aggrappo a ciò che sono stata, a volte mi fermo e riconosco i miei limiti a volte non vedo e basta.
Ogni giorno cambio visione, idea, paura e convinzione.
Respira! ...respiro, non c'è nessuna linea retta sulla quale camminare.

Alessandra G.