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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

mercoledì 31 luglio 2019

Per la mia vita


Dedicato a me stessa,
Perché per una volta, nella vita, ho scelto me.
”  

Una volta, in un sottile corridoio d’ospedale,
scrisse una lettera,
e la intitolò “Per l’anoressia”,
perché Lei era la sua migliore amica.

Era l’anno in cui i suoi voti erano eccellenti
e tutti la invidiavano per questo,
l’anno in cui poteva stare settimane assumendo le calorie di una mela,
e la sua forza di volontà era nota a tutti.
l’anno in cui gli allenamenti di ginnastica si intensificarono,
e lei cominciò a preferire un’ora sul tapis roulant, piuttosto che una pizza con le amiche.

Una volta, chiusa nella sua camera,
provò a scrivere una lettera e la intitolò “Inverno”,
perché quella era la stagione che stava vivendo.

Era l’anno in cui ogni briciola pesava un quintale,
ei mostri sotto il letto, ormai, erano diventati bocconi di pane.
Le sue amiche la sorpresero con due dita in gola,
e suo padre non era mai in casa, e non si parlavano.
Era l’anno in cui qualsiasi problema sembrava scomparire insieme ai chili persi,
e lei cominciò ad evitare le sue festività preferite come fossero la peste.
Era l’anno in cui teneva in mano pacchetti di cracker,
pieni di speranze di educatrici, medici e professori,
pronti per essere buttati al primo cestino.

Una volta, nello stesso letto d’ospedale,
scrisse una lettera e la intitolò “Perché?”,
perché quello era il quesito che si poneva su di lei.

Un medico le si avvicinò e le ripete che i suoi parametri vitali erano in collasso,
ma questo non le importava.

Era la volta in cui un infermiere le infilò violentemente una flebo in vena,
E lei urlò così tanto pur di non avere un liquido che la mantenesse in vita.
Era l’anno in cui le sue speranze morirono,
e lei dimenticò di contare i secondi prima di piangere.
L’anno in cui le fu imposto di smettere ginnastica ritmica
e perse un anno di scuola, perché non aveva le forze per continuare.
Era l’anno in cui fu portata in casa famiglia,
ma non le importava, perché Anoressia era più forte,
l’anno in cui tutti le chiedevano di mangiare e lei s’infuriava se glielo chiedevano.
Alle tre del mattino, si infilava nel letto,
si toccava le ossa,
e piangeva.

Ecco perché,
chiusa in un centro per disturbi alimentari,
provò a scrivere un’altra lettera
e la intitolò “Per la mia vita”.

E si sorrise, per aver trovato il coraggio di aver provato a salvarsi
E si abbracciò, così come si abbracciano le cose belle.

Chiara


lunedì 29 luglio 2019

Ora non ho più paura




Cara me,
come stai? Non fingere di stare bene se così non è, e non essere quella che non sei solamente perché gli altri vorrebbero tu fossi diversa. So che sei stanca, stanca di subire ingiustizie e cattiverie gratuite, stanca di sentirti sbagliata, di nasconderti, stanca di soffrire e di piangere per quella ferita provocata dalla violenza che insorge dall'ignoranza delle persone. Devi sapere che tu puoi combattere l'ignoranza, mostrandoti indifferente dinanzi alla convinzione, taciturna e sorridente di fronte a chi parla troppo.                                                                                      
Ma non hai la forza di sorridere perché la violenza te l'ha strappata, ti ha reso debole e inadeguata.                                                                     
La tua autostima è inevitabilmente calata, hai perso le forze e guadagnato paure ed ossessioni.                                                                             
Ti sei imposta la perfezione per non deludere le aspettative altrui ed evitare che i tuoi sbagli venissero ripetutamente messi in evidenza, ma questo eccessivo controllo ti ha indebolita ulteriormente, ti ha privato di quelle poche energie che ti erano rimaste.                                          
Non hai più visto vie d'uscita, e i tuoi occhi hanno smesso di cercare la luce, preferendo adeguarsi al buio che riempiva il vuoto intorno a te. Così un giorno qualcuno ha bussato alla tua porta: l'anoressia.                                                                                                                               
Ti ha chiesto di farla entrare, promettendo in cambio di aiutarti, e tu l'hai accolta a braccia aperte, credendo di poterti fidare di lei. All'inizio ti sentivi protetta, sicura e forte con lei al tuo fianco, ma più il tempo passava e più ti rendevi conto che niente per te era mai abbastanza: quel risultato mai abbastanza soddisfacente, quel peso mai abbastanza basso e quel corpo mai abbastanza esile per accettarti e sentirti accettata.  

Cara me, ti chiedo scusa, perché ti ho abbandonata e ho lasciato che la malattia ti portasse lontana. 
Sei rimasta sola, con lei.
Lei sempre pronta a criticarti, a ricordarti cosa non eri, cosa non andasse in te, quanto eri sbagliata e inutile.                                                  
Lei che ti ha illusa, facendoti credere di non meritare niente, di aver bisogno della malattia per essere felice e per cercare un controllo in quello che non potevi controllare.                                                                                                                                                                                        
Lei che piano piano ha emaciato il tuo corpo, ridotto i battiti del tuo cuore, accorciato il tuo respiro e annebbiato la tua mente. 
Lei che ti ha fatto conoscere la rabbia, la stanchezza, l'infelicità e la depressione.                                                                                                       
Lei che ti ha imposto di vedere il mondo in bianco e nero, ti ha presa per mano e ti ha portata via, da tutto e da tutti, mentre tu, ad ogni passo che facevi, perdevi un pezzo di te: ricordo il tuo volto, bianco e inespressivo, i tuoi capelli sottili, i tuoi occhi grigi e scavati che riflettendosi nello specchio si inumidivano, la tua voce strozzata dal pianto, quel corpo così fragile, quelle cosce smagrite che tu vedevi enormi, le tue mani che tremavano per paura che anche un solo grammo in più su quella bilancia da cucina avrebbe fatto la differenza sul tuo corpo, la tua mente sempre rivolta al conto delle calorie, il freddo che sentivi, il calore che ti mancava, le notti insonni e la luce dentro te che piano piano si affievoliva, fino quasi a
spegnersi.                                                                                                                                                                                  
Hai incontrato lo sguardo della malattia e ti sei guardata dentro attraverso i suoi occhi: nel tuo cuore viveva ancora una luce fioca, hai ritrovato la speranza, e hai capito...  
Hai capito che ogni briciola rifiutata era un minuto in meno da vivere.                                                                                                                
Ogni giorno trascorso da sola era un tuo sorriso che si perdeva.       
Ogni specchio che avresti voluto infrangere rifletteva la bugia dettata dalla visione distorta dei tuoi occhi.                                                            
Così hai mollato la mano che ti legava alla malattia e sei tornata indietro, raccogliendo passo passo i pezzi di te che avevi perso per strada.       
                                                   
Ti manca sorridere.
Ti manca sognare la notte e inseguire i tuoi sogni di giorno.
Ti mancano i giorni in cui stavi bene e ridevi senza che ci fosse un motivo.  
                                                                                                              
Ma ormai manca poco, sei quasi arrivata a casa. La salita è stata lunga e faticosa, ma durante il cammino hai ripreso in mano la tua vita e lasciato paure e fragilità, pur conservando il ricordo dei momenti in cui persone prive di buon senso hanno riso di te, e non riso con te, hanno confuso la gentilezza con la debolezza, hanno pesato le parole in modo che ti ferissero, hanno sottolineato le tue diversità, giudicandole stranezze e non unicità, di quelli in cui hanno preteso troppo da te, privandoti del diritto di sbagliare, di quelli in cui ti hanno fatto sentire inadeguata, mentre tu, così spaventata, non hai saputo difenderti, e hai convinto te stessa di essere come gli altri ti hanno ritenuta.              
Ma io lo so, che ora tu non hai più paura. Me ne rendo conto mentre ti guardo, quando cammini a testa alta rincorrendo la felicità e rivelando finalmente quella che sei e quello che veramente pensi, dal giorno in cui hai capito che puoi sentirti al sicuro sotto quella corazza che hai costruito convivendo con lei, lottando contro di lei, soffrendo per lei, l'anoressia, lei che nonostante tutto ti attende ancora sulla soglia, fuori dalla porta.                                                                                                                                                                                                               
Cara me, sappi che d'ora in poi mi prenderò cura di te e impedirò a chiunque voglia farti del male di abbattere il muro che tu hai innalzato con tanta premura per proteggerti. 
Cara me, un giorno ti renderò orgogliosa di quella che sono: io, che ora non ho più paura.             
                                                                         
Ti voglio bene,   

Diletta P.

giovedì 25 luglio 2019

Vola lontano, cara Anoressia



Cara Anoressia,
anche se di caro hai ben poco
dato che ti sei portata via
tutti i miei sorrisi e ogni mio gioco.

Un piatto di pasta non ha più lo stesso sapore
che aveva quando ero solo una bambina
ancora innocente e con alle guance lo stesso colore
con cui mi svegliavo energica ogni singola mattina.

Ti sei insinuata, pallida, tra le mie giornate
isolandomi dal resto del mondo
e adesso osservo da dietro queste grate
il tempo che scorre, profano e profondo.

Tu mi hai illusa, vigliacca
di poter diventare perfetta
costruendomi attorno una baracca
dove mi ritrovo a viver costretta.

Sei quanto di più infimo si possa pensare,
sei l'amica che nessuno vorrebbe mai avere,
sei l'impossibilità di essere amata e di amare,
sei la foglia secca che mi ha fatto cadere.

Mi sono accartocciata ascoltando le tue parole,
mi sono nascosta dietro le tue preoccupazioni,
ho consumato i miei muscoli e le mie suole
per ascoltare i tuoi ordini e le tue intimidazioni.

Mi sono ridotta pelle e ossa
per un ideale che non esiste
replicando ogni tua singola mossa
che mi ha portato ad esser così triste.

Cara Anoressia,
vattene lontano da me
perchè non ti voglio più sentire mia
mentre sorseggio un amaro caffè.

Sei nei miei sorrisi spenti
nelle canzoni, nelle urla e nei silenzi,
negli sguardi bassi e nei sentimenti,
nella debolezza sino alla perdita dei sensi.

Quando lo specchio riflette i miei lineamenti
tu sei lì dietro, pronta all'amaro giudizio
e non sei mai in vena di dolci complimenti
ricordandomi tutti i difetti e ogni piccolo vizio.

Vorrei tanto che tu diventassi una farfalla
che vola rasente all'acqua di un ruscello
così vicina da rimanere poi a galla
abbandonando così il mio corpo e il mio cervello.

E allora vola lontano,
cara Anoressia,
e lascia per sempre la mia mano
e quel senso di vuoto e malinconia.

Chiara

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In foto, opera di Beatrice Mascolo.


 


sabato 20 luglio 2019

Diventare "grande"


Ho aspettato tanto i miei 18 anni. Come ogni adolescente, anche io non vedevo l’ora di “diventare grande”. Ma, crescendo, il solo pensiero di avvicinarmi a quel numero mi toglieva il fiato lasciandomi in uno stato di totale ansia. “Quante preoccupazioni dovrò avere ?”, “voglio rimanere bambino”, “sono troppo piccolo per l’università”, pensieri che non facevano altro che rafforzare la mia anoressia.
Tuttavia, il tempo non può essere fermato, e così i giorni passarono ed arrivò il mio tanto atteso diciottesimo compleanno.
Ricordo ancora come iniziò: una crisi davanti allo specchio appena provai ad indossare un pantalone corto, per poi ripiegare sul solito jeans. Non dimenticherò mai il mio desiderio davanti alle candeline della mia torta: “desidero morire”.
Ho i brividi se solo penso che qualcuno lassù avrebbe potuto ascoltare quel desiderio folle e mettere un punto alla mia esistenza.
Quell’estate la trascorsi studiando per il test di medicina, il cui esito fu negativo. Ma per il Francesco anoressico ovviamente non doveva esistere il fallimento e, una volta aver visto il sogno di una vita frantumarsi in mille pezzi, mi lasciai andare ancor più nelle braccia di quella malattia.
Per cui, iniziai a credere che i miei 18 anni fossero solo un disastro, così come la mia vita.
Ad oggi, invece, non voglio ricordare quell’anno in tale modo, ma voglio pensare che quei 18 anni siano stati gli anni della mia rinascita.
Quando non avevo più una meta, non avevo più obiettivi per il mio futuro, in quanto continuavo a rimuginare sull’esito negativo di quel test invece di apprezzare la fortuna che avevo avuto ad entrare nella mia università, oppure quando non facevo altro che soffermarmi sul mio corpo sempre troppo grasso, o sulla ricerca di quel dannato fondo, fui ricoverato.
Da quel ricovero, i miei 18 anni cambiarono.
Il tempo trascorreva ed io rinascevo, mi aprivo nuovamente alla vita!
Ho ricostruito il mio corpo, ho ricostruito la mia anima, mi sono liberato di quella voce che assediava la mente, e mi sono liberato dell’anoressia.
Durante i miei 18 anni ho recuperato le mie passioni, ne ho scoperte altre, ed ho accettato un passo alla volta me stesso.
Come scritto righe fa, il tempo non può essere fermato, e quest’anno così pieno di avventure è giunto al termine, ed ora sono pronto a scrivere nuove pagine di un nuovo capitolo della mia vita, i miei 19 anni.
Dopo tutta la sofferenza provata in questi anni, adesso desidero solo felicità, spensieratezza, amore, positività.
Questa volta, davanti alla torta del mio compleanno, ho desiderato la vita.
Chiedete aiuto, guarire è possibile! Soprattutto, la guarigione vi farà vedere la vita sotto un nuovo punto di vista, vi farà amare ogni minuto anche della giornata più grigia, e vi porterà ad amare voi stessi, così come siete.
Non smettete mai di combattere guerrieri/e.

Francesco


lunedì 15 luglio 2019

Ti saluto Binge


Amico mio
Ti scrivo perché sento violato il nostro rapporto di amicizia.
Sono anni che penso a quando ti avrei inviato questa lettera, convincendomi finalmente che la nostra relazione debba avere una fine.
Abbiamo fatto grandi abbuffate insieme, passato momenti difficili, ma personalmente non trovo un unicità nella nostra amicizia, se non il modo subdolo con cui decidi di farmi sentire in colpa.
Non riesco a considerarmi abbastanza e quando mangio per riempire questa incertezza, il mondo intorno mi considera esagerato.
Un paradosso insomma.
Ho iniziato a chiedermi se esistano acque tanto calme e specchi tanto puliti da riuscire a riflettere la mia reale immagine, senza che tu possa manipolarmi la mente per deformarla.
Mi sento stanco, triste e l’unico consiglio che mi sai dare è di mangiare.
Lo zucchero nel mio sangue diventa benzina, una lenta agonia che si protrae nei giorni.
Perché vuoi vedermi soffrire? quando potevi semplicemente consigliarmi di darmi fuoco e in un istante avremmo raggiunto tutti i nostri obiettivi tanto desiderati, tu nel vedermi morto ed io finalmente sarei riuscito a bruciare grassi.
No non è retorica, è incomprensione.
Mi sono chiesto se il rapporto con te potesse essere qualcosa di più di una classica amicizia , quasi una relazione amorosa, ma la risposta alla domanda del mio vuoto è proprio l’Amore per me stesso.
Dimmi, come faccio a sentirmi amato ed amarti a mia volta, se proprio tu sei ciò che mi crea questo interrogativo?
Ho capito una cosa, siamo stelle che risplendono ad anni luce di distanza e vorrei evitare, stando vicini, che collassando entrambi si potesse risucchiare ciò che di buono sento in me.
Abbiamo vissuto molto tempo nella leggerezza della mancanza di una presa di responsabilità, ma sono stanco di prendere il volo, ogni volta ricadere a terra con le ali rotte e inevitabilmente dimenticarmi come ci si rialza, guardandoti raccogliere i miei pezzi ed infine avvolgerli in un velo di apatia.
Non sono consapevole di scrivere questa lettera a te come altra personalità o come un profondo dialogo interiore, ma l’unica cosa che realmente so, è di voler perdere il controllo su questo gioco durato ormai troppo al lungo.
Non serve che ti dica chi sono.
Ti Saluto Binge e che
Dio Ci Aiuti

Mattia Rivellini


martedì 9 luglio 2019

Vita contagiosa


Non tutte le malattie si trasmettono. Alcune sono solo inviate del Diavolo, si intromettono nella vita delle persone, vanno e vengono come fosse casa loro, decidono quando e se fare il bello o brutto tempo. Sono talmente subdole che, oltre ad intaccare il corpo, intaccano anche la mente. Infettano i pensieri, e sono proprio questi che poi si trasmettono creando delle vere epidemie mentali. Ogni cosa che tocchiamo, ogni persona con cui parliamo, ogni evento che viviamo, tutto è a rischio di infezione. Niente sembra più come prima, i nostri occhi vedono solo un mondo infettato e ci fanno credere che altra soluzione non c'è, se non la fuga. Solo il nostro mondo isolato ci appare intoccato e intoccabile, il quale coincide paradossalmente con il punto d'origine della malattia, un luogo libero da tutto quello che abbiamo infettato. Ma non è forse questa la condizione di quarantena? Vogliamo allontanarci per la nostra salvezza, o per salvare ciò che ancora rimane di sano? Stiamo salvando noi stessi, o ci stiamo sacrificando?
Siano vere entrambe le ipotesi o nessuna di esse, quel che è certo è che una cura è efficace solo se non la si evita. Questa cura si trova nel mondo, il mondo di cui abbiamo così tanta paura ed è una paura sia di infettarlo sia di venirne contagiati. Spoiler alert: l'unica cosa che possiamo ricevere dal mondo è la vita, e tramite la vita saremo noi stessi a contagiarlo. I ruoli si invertono, ciò che prima era vita, ora è malattia, ma ciò che è malattia può ancora ritornare vita. Il nostro errore è credere che un pensiero "malato" escluda a priori la possibilità di ottenerne uno "sano", e così ci allontaniamo sempre di più dall'unica medicina che può davvero funzionare. Ora non è questione di sano o malato, si tratta di riconoscere ciò che distingue questi due concetti, ciò che fonda i nostri pensieri e che cosa invece li infetta. Il confine tra mondo della malattia e mondo reale è di una sottigliezza tale da risultare quasi invisibile, ma una volta che gli occhi saranno privi di lacrime e rinvigoriti di coraggio, questa barriera ci sarà finalmente chiara e visibile. Qui la vita, lì la non-vita.

Elisa


lunedì 8 luglio 2019

Lettera a me stessa - Faysa



Ciao, sono io.
Non mi riconosci?
Come? Non sai più chi sei diventata?
Calmati, respira. È tutto ok.
Siamo la stessa cosa, siamo la stessa anima.
Abbracciami.
Respira.

Ti ricordi quella volta, è stata la prima, fuori dalla tua camera, in balcone. Forse era estate, o inizio autunno, e non ricordo perché, ma mi hai abbracciato così forte che non lo dimenticherò mai.
Però ne hai fatte anche di cavolate, eh.
Ma ti perdono. Ti perdono tutto il male, in amore funziona così, giusto? Ed io ti amo incondizionatamente.
Se solo potessi abbattere il muro degli anni che ci dividono, ti farei respirare l’aria che tira qui, per farti assaporare questa libertà che ora non ti è concessa.
Ma ci saranno giorni di sole, te lo giuro, e una luce accecante che fa male agli occhi e illumina ogni cosa e la rende chiarissima.
Lo so cosa stai pensando.
Io so di cosa parli.
Abbiamo lo stesso cuore.
So che ti sembra di vivere in una gabbia, una trappola asfissiante. La prigione che ti sei costruita con le tue stesse mani.
Ma adesso ascoltami, sentilo questo vuoto che ti lacera. Accoglilo, non averne paura. Abbi il coraggio di essere sbagliata, imperfetta.
La voragine interminabile che è ora la tua vita, diverrà uno spazio accogliente per raccogliere i pezzi dei tuoi anni andati in frantumi.
Ma non è colpa tua.
Ascoltami.
Io ti prometto questo: tu un giorno ti sveglierai e il macigno che ti porti dentro sarà lo stesso, ma sarai diventata più forte e in grado di sopportarne il peso.
Credimi.
Un giorno sorriderai ripensando a quando non riuscivi neppure ad alzarti dal letto perché credevi che il mondo lì fuori fosse una minaccia insopportabile. 
Amami più che puoi, ti scongiuro.
Aggrappati forte alla certezza che io sono qui, che non sono un sogno o un miraggio. Sono qui che ti parlo, e ti proteggo e ti sosterrò, per sempre.
Le mie mani sono le tue mani.
Ho lo stesso colore dei tuoi occhi sempre velati di tristezza.
Mi hai fatto del male, è vero. Mi hai punita per anni, mi hai sfregiata, maltrattata, umiliata, derisa, mi hai fatto sanguinare perché credevi che farmi provare ulteriore dolore sarebbe servito a qualcosa.
Hai ferito a morte la tua pelle perché ti illudevi di uccidere quella cosa mostruosa che colonizza corpo, mente e spirito.
Mi hai odiata da morire.
Hai dissacrato quel bene che mattoncino per mattoncino avevo costruito attorno a te, e macchiato in un secondo quella tela perfetta che con estremo sacrificio e cura avevo dipinto nel tempo.
Ma tu resti la mia casa, tu il mio sacro tempio, tu il mio porto sicuro, l’unica vera amica che possa avere.
Da sole, io e te, abbiamo trovato dimensione nel mondo. Sole, noi, in questo mondo, ci siamo plasmate a vicenda. Amore e odio.
E solo io e te sappiamo quanto grande e profonda sia la nostra ferita, che forma abbia il dolore della malattia che ci logora, quale sia il rumore assordante della sua voce, l’assurdo suono delle sue parole.
Ascoltami.
Io lo capisco che ci sono giorni in cui vorresti solo cadere in un sonno perenne, unica dimensione in cui riesci a sottrarti dal peso insostenibile di ciò che senti.
So che non riesci a tollerare l’idea asfissiante di dover trascorrere le ore in compagnia di te stessa, di quella parte di te che si odia.
Ma la combatterai, quella te, la vincerai, te lo prometto, ancora un’altra volta.
Ci sarà un giorno in cui tutto sarà colmo di un senso nuovo. Cambieremo insieme i tuoi occhi vecchi e logori da cui vedi solo in bianco e nero. Rivestiremo la tua pelle, stanca e lacera, sarà la tua nuova splendida corazza. Il male del mondo defluirà sotto i piedi, al di là di tutte le radici dell’odio, dove esiste un posto in cui non dovrai più veder scorrere la tua vita, ma la vivrai. Io ti aspetto qui. 

Faysa


venerdì 5 luglio 2019

Noi


Noi che “ dovresti parlarne” e poi pochissimi ascoltano e troppi giudicano.

Noi che “ stia girata e salga sulla bilancia”, come se tutto dipendesse solo da quel numero.

Noi che “ cerchi di specchiarsi il meno possibile anzi sarebbe bene coprire gli specchi ”, come se fosse solo questione d’ immagine.

Noi che “ dai vieni fuori con noi poi magari ci facciamo un aperitivo”, noi che fuori ci vorremmo andare ma senza aperitivo.

Noi che “ è solo un modo per attirare l’attenzione, sei una bambina fiziata” e intanto quella bambina muore ogni giorno di più.

Noi che “ le lacrime di mamma e papà” aumentano i nostri sensi di colpa.

Noi che, mamma e papà ci consolano mentre saremmo noi a voler consolare loro.

Noi che “mio figlio sta crescendo” e ho paura.

Noi che, alla mattina il Lexotan e il citalopram, alla sera le gocce di minias e le gocce di en, al pomeriggio il dibase per le ossa e l’acido folico...ma tanto sono solo capricci.

Noi che, “ attendiamo il nostro turno appese ad una lunga sofferente lista d’attesa”.

Noi che “ dai che ce la fai” e ti aggrappi a quel sorriso.

Noi che “ dottoressa sono stanca” e mi sorride.

Noi che “ dottoressa guarirò?” e mi sorride.

Noi che “ dottoressa ma con questa voce come faccio?” e mi sorride.

Noi che “ dai la vita è solo una cerca di godertela e mangia ma che te ne frega”, e tu sai che è vero ma sai anche che oggi si ma domani non lo so.

Noi che amiano la libertà ma la malattia ce l’ha fregata.

Noi che, più il tempo passa, più con amarezza, mi rendo conto che ci capiamo solo tra noi.

al mio piccolo campione, ancora e àncora.


martedì 2 luglio 2019

Il vestito dell'Anoressia


Caro amico,
ti racconto di una storia che sembra una sconfitta e invece è una vittoria.
L’ho vista, all’uscita da scuola, losguardo vuoto da adolescente fragilee le ho sussurrato: “Vieni con me”.
Le ho bisbigliato all’orecchio che era grassa, che se Pierpaolo non la amava era per quelle cicce flaccide e quelle gote troppo gonfie e rosse e faceva bene a non volerla e a preferire Eva, così snella, soda, così donna. Le ho detto che lei, a confronto, era solo una bimba fragile e che se voleva avere la meglio avrei potuto aiutarla.
In poco tempo ho succhiato fino all’ultima linfa vitale che vedevo in lei.
Le ho toccato i capelli soffici e li ho resi improvvisamente radi, le ho accarezzato i seni appena sporgenti e li ho trasformati in mandorle dure.
Alla fine, non contenta, ho scelto che la volevo tutta per me senza più dividerla con nessuno. Per questo l’ho convinta che uscire la sera non serviva, che poi magari avrebbe dovuto mangiare un panino e condividere una coca. Doveva controllarsi, invece, se credeva nel nostro progetto e che se è vero che la mente controlla il corpo, le sarebbe bastata una mela per andare avanti.
Ad ogni chilo che perdeva, ad ogni scapola più sporgente le sussurravo che ero orgogliosa, che quella era la chiave della vittoria.
E accadeva ciò che accade sempre: mentre il corpo, altrimenti rigoglioso e floreo si ritirava sempre più atrofizzandosi, io mi facevo largo, fiera, sgomitando tra uno stomaco stretto, un paio di denti corrosi e un cuore ferito.
Gliel’avevo detto, una mattina fredda di Gennaio, di passare due volte il rossetto sulle labbra viola tumefatte. Le avevo raccomandato di mettersi un altro maglione per coprire quelle ossa  esposte al gelo. Ma non mi aveva dato ascolto, forse perché qualcosa in lei stava cambiando.
Aveva capito, la sera prima, guardando su Facebook le foto di una festa a cui non era stata invitata, che la felicità è mangiare un panino con gli amici, fare shopping insieme, provarsi i vestiti dell’altro e scambiarli. E l’avevo persuasa, caro amico, che l’unico vestito che le stava bene addosso era il mio, il vestito dell’Anoressia.
Ma non ci ha creduto e ha scaraventato a terra lo specchio che si è fatto in mille pezzetti. Il giorno dopo, a scuola, si è accasciata per terra priva di sensi.
Sciocca, ho pensato, mi hai tradito pure tu.
Di lì in poi ho assistito al mio lento declino.
“Modello multidisciplinare integrato”, “gruppi familiari”, “psicoterapia individuale”: queste erano le parole che ascoltavo ogni giorno quando entravo in stanza con lei.
Per tre lunghi mesi mi ha permesso di accompagnarla e ascoltare ciò che i dottori avevano da dire. A casa, quando era sola, distruggevo a poco a poco i mattoncini costruiti in terapia.
Ma una mattina di primavera, mentre la accompagnavo tenendole stretto il polso attorno al mio, mi ha guardato negli occhi con lo sguardo di chi ancora non è avvizzito e non ha permesso che io entrassi con lei.
Se c’è una cosa, caro amico, che quel giorno ho capito è che aveva scelto di lottare e che inutile sarebbe stato serrarle le labbra se era il suo cuore ad urlare.A poco a poco l’ho vista rifiorire: la solitudine ha lasciato il posto ad un gruppo di amici fidati, il controllo ossessivo sul cibo è stato ridimensionato ma la conquista più grande di questo percorso è stata la possibilità di ricominciare.
A lei, a tutte le ragazze come lei che credono che da questo mare turbolento non si possa uscire se non sconfitti dedico questa lettera.
Le onde sono alte, spesso insormontabili, ma il segreto vero è imparare a nuotare e cavalcarle.
Tua Anoressia
--
Alessia