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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

mercoledì 22 gennaio 2020

Addio Anoressia


Cara anoressia,

ti scrivo perché ci sono alcune cose che non ti ho ancora raccontato, ma non preoccuparti: succede anche nelle più grandi amicizie che rimanga qualche segreto. Tu sei mia amica. La mia migliore amica. Lo sei stata per anni, lo sei stata da un tempo di cui non ho più memoria. Non deve essere stato molto difficile avvicinarsi a me: la ragazzina maschiaccio, piena di falsa sicurezza da svendere agli altri, tormentata, quasi senza un nome. Tu un nome me l’hai promesso. Mi hai promesso il nome più bello, mi hai fatto tante di quelle promesse che neanche le ricordo tutte. Ma la promessa più importante, anoressia? Che ne è della promessa che un giorno sarei stata tutto quel che desideravo? Tu sei una dannata bugiarda, e bugiarda lo sono diventata anch’io. Con gli altri, ma soprattutto con me stessa. Così tanti anni, così tanti avvenimenti. Tu sei stata testimone di ogni fatto, aggrappata con le unghie sulle mie spalle, tumore bastardo che si è sempre più ingigantito spezzandomi in due la schiena. In un’anima dove non esisteva alcuna regola, tu sei stata la mia legge, trascendente e onniveggente. Insieme a te sono cresciuta. Mi hai affiancato in ogni passo. Quando avevo bisogno, sapevo che voltandomi avrei goduto del tuo dolce, effimero abbraccio. Eri lì. Sempre. Eri lì quando volevo diventare qualcosa fuori dal comune. Eri lì quando ho cercato una soluzione ai miei problemi. Eri lì quando non c’era nessun altro. Eri lì quando ho macchiato la mia fedina penale. Eri lì quando le giornate passavano grevi e si gettavano a capofitto nell’oblio. Eri lì quando ho scoperto l’inebriante sapore del sangue. Eri lì quando la lametta andava più a fondo che poteva, e la carne impudicamente si apriva. Eri lì quando la siringa scoprì la vena. Eri lì quando tagli, lividi, buchi e bruciature erano tutto ciò di cui avevo il controllo. Eri lì accanto ad ogni arrabbiatura, ad ogni cazzata, ad ogni pulsione suicida. Eri lì quando sono andata in overdose e mi hanno ripresa. Eri lì quando sono entrata in comunità, e quando sono scappata. Eri lì quando sono stata ricoverata in clinica per ragazze con DCA. Eri lì quando ho continuato a fare stronzate. Eri lì quando mi sono presa quello che volevo, senza ottenere quello che desideravo. Eri lì: in ogni tentativo di autodistruzione. Tu sei stata con me anche quando ho cominciato a provare a rialzarmi, ma non mi hai aiutato. È stato solo il degenero. Hai sempre e solo cercato di avere la meglio su di me. Ma ora non è più così, anoressia. Ora ho deciso di cominciare a lottare sul serio, anche se mi fa male. Ora non ho più bisogno di te. Non voglio più avere bisogno di te. Io non ti voglio più, anoressia. Ti amo e ti odio e vorrei che mi restassi vicino per sempre, ma non posso farlo perché porterai sempre e solo dannatissime illusioni. Tu hai riempito di piaghe la mia vita. Tu me l’hai rovinata. Non sono abbastanza i motivi per farti andare via?  E allora perché sto già scappando, mentre non riesco a stringere più a fondo? Cara anoressia, tu mi hai messo nei guai fino al collo, ti sei presa tutto, non mi hai restituito niente. Ti ho creduto, mi sono illusa, mi sono dannata. Ma oggi so chi sei veramente. Sei il gioco che non vinco mai. Sei il vuoto sotto i miei passi, la trappola dei miei giorni. Sei il mio più grande errore. Un errore che ripeterei. Nei meandri della mia anima provo quasi dolore di fronte a quest’abbandono, ma è ora che ognuna vada per la propria strada. Di sicuro, nella mia mente, saremo amiche per sempre. Ma, nella mia vita, ora ti dico: ADDIO ANORESSIA.

Tua (spero non più)
Jonny 


lunedì 13 gennaio 2020

Inside to Outside (and Reverse)


Novella, la mia psicologa, mi dice sempre di scrivere quando mi rendo conto che, nel mio cammino, sto imboccando Via della Ricaduta, che è sempre una strada in discesa. Scrivere una lettera a me stessa per ricordarmi, nel momento in cui sto per mollare, per quali ragioni ho tenuto duro così a lungo, e scrivere una lettera all’anoressia per ricordarle, nel momento in cui sto per cedere, per quali ragioni occorre ancora una volta esautorarla del suo potere.
Perciò, eccomi qua.

Prendo la mia penna nera, e mi metto a scrivere l’ennesima lettera all’anoressia, per inchiodarla ancora una volta nero su bianco, affinché non possa più scappare, perché la vedo.


From outside in, 8 Gennaio 2019

Anoressia, VAFFANCULO.
Mi fermo con la penna a mezz’aria, ed aspetto. C’è poca poesia, poco francesismo, lo so. Ma mi sembra del tutto adeguato. Nel corso degli anni, ne ho scritte così tante di lettere all’anoressia. Troppe. Ergo, questo è tutto quello che ho da dirle. Nient’altro. Perciò, oggi voglio provare ad effettuare un cambio di prospettiva.


From inside out, 8 Gennaio 2019

Cara Veggie,
sono l’Anoressia.
Come stai?, eh, come va? Che fai di bello in questi giorni? Com’è il tempo lì nell’entroterra aretino? Fa sempre così freddo? È nevicato?
Okay, stavo scherzando.
Io non parlo. Tu non puoi vedermi. Non ho alcun pensiero autonomo, ma comincio a crescere poco a poco dentro la tua mente e poi invado il tuo corpo. E devasto tutto. È un po’ come nella sala d’attesa di quel Pronto
Soccorso in cui lavori: chi è dentro muore, e chi è fuori muore dentro. È così: più io cresco dentro di te, più tu muori, dentro e fuori. Si potrebbe dire che sono una sorta di migliore amica assai esigente, ma non sono la tua migliore amica. In effetti, non m’importa niente di te, di chi tu possa essere. Io non aspetto altro che le condizioni adeguate per nascere e proliferare, e questo perché magari sei una di quelle che vuole avere il controllo sistematico su tutto, oppure hai bisogno di qualcosa che ti faccia sentire forte e soddisfatta, o magari sei una a cui piace l’idea di potersi sentire onnipotente. Di questo ho bisogno: di una mente fertile e di un corpo da plasmare. Tu per me sei come una piastrina di Petri: grazie per l’ecosistema favorevole, mia cara.
Con affetto, l’Anoressia.


Cosa posso risponderle, io?
Posso rispondere con il silenzio di un sorriso.
Anoressia, io sono un’atleta. Pratico karate da quando ero un’adolescente. Ho affrontato molte gare, ed alcune le ho vinte, ed altre le ho perse: questo mi ha permesso di capire che l’importante non è quel che accade sul tatami di gara, ma quante volte ci capiti, quante volte hai il coraggio di esporti ad un incontro con un’avversaria e di tornarci, a prescindere dal risultato. Quando combatto contro un’avversaria come te, Anoressia, sono consapevole che la ricaduta è perennemente dietro l’angolo, ma posso sempre scegliere se combattere o arrendermi. Siamo sinceri: vorrei poter aver evitato di fomentare le mie manie di controllo su ogni aspetto della mia vita, alimentazione inclusa? Sì. Vorrei poter fare tabula rasa di certi pensieri dalla mia mente? Sì, certo. Ma non è così che funziona. Però mi rifiuto di cedere. Non dico che sia facile, ma posso ancora scegliere. E io scelgo di combattere. E, mentre lo faccio, scelgo di sorridere. Questa è la mia vittoria.

Veggie


domenica 12 gennaio 2020

Lo zaino degli accordi



Della sera in cui ho deciso di spezzettare il cuore in canzoni, ricordi tutto. Non è così?
Dell'ordigno che impazziva contro il petto. E delle tue bugie, agili a portarmi via dal terrore.
Una lacrima sulla gamba destra.
Due, sui pantaloni di tuta grigi, quelli caldi che mettevo dopo il nuoto, quando rientravo a casa e sentivo solo freddo – nelle ossa e tutt'intorno – anche se avevo ormai smesso di chiedermi il perché.
Poi la terza, la quarta. Un alone che si allargava, mentre spingevo più forte, aumentavo la potenza, gli occhi fissi sul display con i numeri che acceleravano il passo e cercavano di arrivare al traguardo prima di me.
Pedalavo, e piangevo. Resistevo, pedalavo e piangevo. Mancava poco.
Cercavi di convincermi che dovevo lottare, ed era così che facevo. Solo dopo altri sessanta minuti, ero scesa dalla cyclette e mi ero trascinata verso il divano. Potevo fare di meglio, ma tutto sommato mi eri sembrata soddisfatta.
Massaggiavo la macchia che si stava espandendo lungo tutta la coscia. Mascherarla, farla sparire: l'unico desiderio.
Com'era possibile essere arrivata fin lì, aver portato a termine la  missione anche quel giorno, e non sentire più niente?
Di ciò che è venuto dopo, ricordo i singhiozzi e il viso schiacciato contro i cuscini.
Poi una chitarra che arriva, ed una cyclette che se ne va.
Una promessa.
Sono trascorsi anni, è vero, eppure non ho mai imparato quel giro d'accordi.
Il cassetto è sempre chiuso. Nella cartella nera con il bordo rosso, il bottone è ancora difettoso.
Ho provato un paio di volte ad infilare la mano dal lato semiaperto, a scavare tra i rivoli di parole e i calcoli matematici delle ricette scritte a matita. L'ho sempre ritratta in tempo.
Ci sono cose che ho imparato a non fare.
Non ci crederai, ma sai che c'è? Non è più così importante.

Marta


sabato 11 gennaio 2020

L'amico Binge


Ho sempre saputo che c’era qualcosa che non andava, ma non pensavo fosse così grave. Un giorno però ho sentito parlare di DCA, abbuffate, senso di colpa, BED… Mi sentivo persa, trascinata nel buio più profondo di un pozzo senza fine, dove non c’erano pareti a cui aggrapparsi. Nessuno, mai, era riuscito a descrivermi così bene, come una definizione di un manuale psichiatrico. E’ iniziata così la mia storia con il binge eating disorder. Non mi sono mai chiesta: “Perché è successo a me?”, ho cercato di accettarlo, di conviverci per sbarazzarmene. Mi sono resa conto che erano 12 anni che inconsapevolmente mi abbuffavo di nascosto e poi mi sentivo in colpa, che facevo diete che non servivano a niente, che mangiavo per “tenere buone” emozioni che non sapevo gestire. 12 anni beh sono tanti… ma ho deciso che lui non avrebbe vinto. Gli ho dato un nome, “l’amico binge”, perché in fondo ci convivevo da tanto tempo e per poterlo eliminare era meglio farmelo amico. Ho iniziato un percorso che mi ha dato gli strumenti per risalire il pozzo. Ho lottato contro abbuffate, check del corpo, evitamenti, dieta ferrea, condizionamenti ricaduti sulla mia vita sociale. E’ passato un anno dalla scoperta, un anno pieno di sofferenze, di sconfitte e di vittorie, un anno colmo di dolore e gioia. Gioia…si, perché questo percorso mi ha donato tanto. Oggi sono una ragazza nuova, so che posso farcela anche da sola. La mia terapeuta mi dice sempre “sei riuscita ad ottenere dei risultati pazzeschi in un anno di lavoro, contro 12 di problema” ed è vero e per questo posso ringraziare solo me stessa perché mi sono voluta bene. Il buio è meno fitto, scorgo una bella luce che filtra dentro al pozzo, so per certo che riuscirò ad uscire per potermi godere la splendida giornata di sole che merito, perché questa è la mia vita e non c’è cosa più bella.

Alessia


domenica 5 gennaio 2020

La malattia ti cambia la vita


Può sembrare semplice raccontare la propria storia, più complicato iniziare; le prime parole sono sempre le più difficili da scrivere. Infatti, ho perso il conto di quante volte ho cancellato e riscritto tutto questo. 

Questa è la storia di una ragazza viva per miracolo. Si, banale come storia. Forse meglio dire che questa è la storia di una ragazza che ha ripreso in mano la sua vita, che si porta nel cuore il segno di una malattia che le ha cambiato la vita. Questa è la storia di una ragazza che ce l’ha fatta. Questa è la mia storia.

Non so esattamente quando è cominciato  ne tanto meno come, i ricordi sono offuscati e talvolta arrivano dei frammenti. Sentivo in quel periodo che mi mancavano certezze, e questa mancanza ha portato a sentirmi una persona insoddisfatta della mia vita e a riempirmi di pensieri negativi. Sentivo un vuoto dentro che mi logorava e non riuscivo ad esternare. Ho iniziato a chiudermi in me stessa e cercavo di isolarmi perchè restare da sola mi faceva sentire a mio agio e non potevo nascondere il mio malessere, ma soprattutto non dovevo fingere un sorriso. Mi fissavo sulla mia immagine corporea e odiavo tutto di me, mi vedevo brutta, cosi ho iniziato ad essere più legata al cibo, come se il cibo fosse diventato in quel momento l’unica cosa capace di farmi stare bene, era un qualcosa che solo io potevo controllare. E ho iniziato a mangiare sempre meno, fino a diventare una briciola.

Mi sentivo leggera, vuota e percepivo nello sguardo dei miei genitori la paura, il terrore, e il senso di impotenza che non gli faceva dormire la notte. E questo mi faceva stare ancora più male perchè io in quel momento mi rendevo conto di quanto soffrivano nel vedermi, ma non ero capace a reagire o parlare. E ho sofferto con loro in silenzio perche non avevo più la certezza che il giorno seguente sarei stata ancora in vita.

In quel momento scrivevo, scrivevo per mettere nero su bianco ciò che non potevo urlare al mondo perche nessuno sarebbe mai riuscito a capirmi, nessuno poteva capirmi.

Ho vissuto questi anni senza più ricordare cosa volesse dire provare delle emozioni, senza più ricordare la forma di un sorriso, il suono di una risata o il calore di un abbraccio . Ho distrutto il mio corpo, odiato, massacrato. Ho passato mesi infiniti rinchiusa in pensieri che riguardavano soltanto cibo e calorie. Il resto non contava.

Come sono rinata? Achille. Achille è il mio nipotino, nel periodo più buio in cui stavo in piedi per miracolo lui era in pancia di mia cognata e vederlo crescere mi ha fatto aprire gli occhi. "Mamma, se muoio non vedrò nascere Achille” dicevo sempre a mia mamma. Achille è stato il mio primo pensiero che mi ha dato la forza di lottare, di cercare il coraggio in mezzo alla paura, alle lacrime, di alzarmi.

Mi sono accorta quanto sia vitale questa malattia, si provano tante emozioni, ma tante emozioni si perdono, come l’amore, ma soprattutto la spensieratezza di una ragazza di 20 anni.

Io sono guarita, ma non dimentico quegli anni. Li porto sempre dentro di me, è un’esperienza che non auguro a nessuno e che farà sempre parte della mia vita, e che dovrò imparare a conviverci ogni giorno, perché per me ogni giorno sarà una lotta. Conservo tutto questo con cura e ne faccio tesoro. L’anoressia è la mia cicatrice sul cuore, a volte brucia, ma so che non può riaprirsi.

Chiara

 

sabato 4 gennaio 2020

Oggi scelgo me



Cara Bestia,
è proprio vero che tante volte non sai nulla di te stessa fino a che non ti trovi a doverti realmente salvare. Quattro anni fa non sapevo nemmeno cosa significasse la sofferenza fisica, la voglia di urlare talmente stavo male, quando il desiderio di morire era più forte rispetto a quello di lottare. Mi trovavo spesso sola a fissare il vuoto in cerca di risposte, anche se l’unica vera domanda che mi ponevo era: “perché proprio a me?”
Oggi, dopo quattro anni, qualche risposta sono riuscita a darmela. Ma ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a sopportare certe sofferenze, certe vere e proprio violenze sul mio corpo, dal correre più di due ore al giorno senza aver ingerito nulla, i bagni gelati per attivare ancor di più il metabolismo, le notti sveglia a pensare a come non mangiare il giorno dopo pur di sentirmi completamente svuotata. È stata una vera e propria lotta contro la mia persona. Sono diventata ciò che odiavo, una ragazza depressa, senza obiettivi, non sorridevo più. Che fine aveva fatto la Nicole solare, quella ragazza che veniva notata solo e unicamente per il suo sorriso, il suo umorismo e quell’ironia folle e spensierata?
Ho ucciso la mia infanzia, entrando in un mondo che nessuno dovrebbe mai conoscere.
È strano a dirsi, ma tutto questo non lo augurerei mai a nessuno, nemmeno alla persona più cattiva al mondo, ma a me stessa si. Si, proprio così, ho saputo cogliere i lati positivi di questa esperienza, ho avuto la forza di creare una nuova me, pur sapendo che rimarrà sempre un enorme cicatrice, sempre pronta a riaprirsi ma consapevole di ciò che è capace di fare. Bisogna essere in grado di accettare tutto ciò che arriva perché sono arrivata alla conclusione che se Dio o chiunque altro abbia deciso per me, mi ha fatto vivere tutto questo è perché era ed è consapevole che sarei riuscita a superarlo, pur facendomi davvero tanto male. So di non essere perfetta e so anche che non lo sarò mai. Ma è proprio qui che la gente sbaglia, non si diventa Anoressiche perché si vuole ambire ad una taglia 38 e la mitica formula 90 60 90. 
A me personalmente non è mai interessato entrare nella taglia più piccola di un pantalone perché pur arrivata a comprare una taglia da bambina, mi sentivo ugualmente grassa, piena e pesante di un qualcosa che non riuscivo più a sopportare. Non mi sentirò mai una ragazza stupida per ciò che ho fatto, semplicemente ho cercato la strada che mi sembrava più semplice per colmare un mio problema, per cercare la felicità davvero impossibile da ottenere.
Avrei infinità di cose ancora da scrivere, ma oggi scelgo me, scelgo di mollare un discorso a metà, scelgo di buttarmi sul divano e non pensare più a nulla, scelgo di non dover obbedire alla mia mente malata e continuare a scrivere fino a piangere. Scelgo me cara bestia, ma soprattutto scelgo di non uccidere la Vita. 

Nicole

 

giovedì 2 gennaio 2020

Lettera al mio Disturbo Alimentare



Cara anoressia,
tu mi hai aiutata a non crollare, mi facevi del male ma eri la mia stampella. Mi servivi per urlare l'indescrivibile dolore che provavo da sempre e che i miei genitori non avevano mai tempo di ascoltare. Dovevo essere una bambina perfetta,dovevo esserci sempre ma mai troppo,una spugna che non doveva gocciolare mai. Tu mi aiutavi a punirmi, tutto era colpa mia, perché non ero mai abbastanza,perche ero cattiva se non anticipavo i desideri degli altri e non li assecondavo,se piangevo perché rovinavo tutto. I miei genitori erano sempre via. Quante case ho conosciuto, su quanti letti estranei ho dormito. Non appartenevo a niente, ero ospite dappertutto. Finché tu cara anoressia mi hai portata in una clinica e lì per la prima volta qualcuno mi ascoltava,finalmente appartenevo a qualcosa. Per questo non riesco ad odiarti, perché è grazie a te se qualcuno in quegli anni si è accorto di me. Cosi piano piano ho cominciato a lasciarti andare,volevo fidarmi di nuovo del mondo.
Ma a casa invece tutto era peggio di prima,non avevo nessun appiglio,tu non c'eri più,affondavo sempre più. Mio padre si appoggiava a me,mi schiacciava. Mia madre mi insulta e mi lasciava sola. E io non trovavo equilibrio,mi appoggiavo dappertutto sapendo benissimo di essere usata ma quell'antica fame d'amore continuava a devastarmi. E tu non c'eri. Così ho conosciuto camici bianchi che non hanno capito niente, che hanno finito di distruggermi, per togliermi quello che mi restava della mia autostima e della mia dignità. E i miei genitori, come sempre, a distanza stavano a guardare...
E finalmente ho incontrato mio marito che come i più bei principi azzurri mi ha salvata dai miei mostri, dall'indifferenza dei miei genitori, dalla voragine che mi porto dentro da sempre. Ogni tanto tornavi a bussare ma ti mandavo via.
Lottavo per riuscire ad accettarmi e capirmi.
E poi ho messo al mondo le mie due bambine!
Il mio cuore è scoppiato di un amore che non credevo possibile. Provo per loro quell'amore che ti fa dire "Prima loro poi tutto il resto”. Non permetterò mai che provino cosa significhi sentire il dolore immenso di quel vuoto dentro l'anima, di quella solitudine. Metto tutta me stessa per cercare di farle sentire sempre amate e importanti. Sono terrorizzata che loro possano soffrire a causa mia,i sensi di colpa mi devastano. Come sempre sono convinta che devo modificare me stessa altrimenti chi ho attorno soffre per come sono. Perché sono sbagliata, mai abbastanza. Se sono perfetta non rovino niente, perché nessuno soffre. Così mi sono dimenticata di nuovo di me stessa. E' come se non avessi diritto anche io ad un posto nel mondo.
E poi normali momenti di incomprensione tra me e mio marito mi fanno sentire tremendamente fragile.
E ancora i miei genitori che non si sono mai messi in discussione e dopo anni continuano a volermi impeccabile, comprensiva. Altrimenti chiudono i rubinetti dell'affetto e dell'interesse facendomi uscire dalla loro vita.
E allora ecco che tu hai bussato di nuovo e io stavolta ti ho aperto... E sei ancora qui.
Mi dico che dovrei invitarti ad uscire ma per ora va bene così.
Almeno con te mi sento vuota, impeccabile.

C.