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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

domenica 31 maggio 2020

Ricomincio da me.



24 MAGGIO 2020
RICOMINCIO DA QUI , RICOMINCIO DA ME 🎀🎗🦋
Esattamente un anno fa, oggi, venni dimessa dal mio primo ricovero.
Oggi riesco a dire che l’anoressia mi ha portato via tutto, tutto quello che di bello avevo, se lo é portato via .
Sono in lotta con l’anoressia ormai da troppi anni. Mi ha completamente cambiato la vita.
Non ce la faccio più a stare dietro a questa malattia perché ti leva tutto, piano piano, lentamente: dalle emozioni, dal volerti godere la vita, dalla felicità, dalla voglia di vivere, dai sorrisi e dalle risate spontanee.
Ti fa isolare, perdi te stessa, allontani chiunque ti cercherà e ti vorrà stare accanto.
Ti senti come dentro una bolla, una grande bolla che sarà difficilissimo far scoppiare perché scoppierai prima tu.
La malattia ti abbraccia piano piano, inizialmente facendoti sentire forte onnipotente, al sicuro ma poi cade in un profondo buco nero da cui sarà veramente difficile risalire .
Mi sentivo, mi sento come un piccolo riccio che con i suoi laghi allontana ciò che lo circonda e, se lo provi anche solo sfiorare, ti fa male tanto male.
Sì perché l’anoressia ti parta a far provare dolore alle persone che ti amano; vederti ridotta con un vegetale, privo di emozioni, abbandonato a te stesso, vittima di te stesso.
Per tutti questi anni mi sono privato del piacere di mangiare in compagnia anzi veramente potrei dire che mi sono totalmente privato del piacere di mangiare .
La mia mente riusciva solo a vedere il cibo come il per il mio peggior nemico , arrivando ad aver paura anche di bere un sorso d’acqua perché se no il numero sulla bilancia , il minuto dopo, sarebbe salito.
La mia testa mi ripeteva: “Martina quello non puoi permetterti di mangiarlo”, “oggi già fatto colazione, basta se non esageri”, “oggi devi fare almeno 35 km di camminata se no come fai a bruciare tutto ciò che hai mangiato?”
Camminata, addominali, corsa ogni cosa era buona per bruciare quelle poche calorie ingerite.
Sono questi pensieri perenni che riecheggiano nella mente di chi soffre di questo disturbo: anoressia nervosa.
Per tutti questi anni non solo il mio corpo è stato maltrattato ma anche la mia mente è in continua sotto pressione per via di tutti questi pensieri : elabora e rimugina fino a farmi diventare pazza.
Cibo di qua, compensa di là, cosa mangio oggi, come riduco domani, salta il pasto che è meglio.
Sto dicendo basta o almeno ci sto provando; ho chiesto aiuto anche se quell’aiuto non l’ho mai voluto accettare realmente.
Dopo quattro ricoveri adesso sono seguita da un centro DCA e grazie all’appoggio e all’aiuto degli esperti, delle mie amiche, della famiglia sto iniziando a vedere una lucina in mezzo a  quel buio tremendo. Non voglio più sprecare la mia vita così, sono arrivata a tanto così per perderla definitivamente.
Un grazie lo dico pure a me stessa per essere stata forte e coraggiosa, sto iniziando a mangiare, sto iniziando a vivere.
Sono consapevole che il percorso sarà lungo quanto difficile ma non importa perché ciò che importa è che alla fine della strada ci sia la luce: la vita.
PASSETTINO PER PASSETTINO.

Martyna Calderara

 

giovedì 28 maggio 2020

Le cose rotte.


Non ci vuole niente a classificare una malattia in base a semplici parametri matematici o medici, se non addirittura già ad una prima vista si può capire se uno è in salute o no, ma quanta fatica serve per dare alla malattia un senso nella nostra vita? Come si fa a descrivere qualcosa che non si vede, come si fa a curare una parte di te che non sai dove trovare, e ancora, come si fa a tirarla fuori? Cadi e ti rompi un braccio, metti il gesso al braccio, cadi e ti ferisci al ginocchio, disinfetti il ginocchio. Ma quando cadi e ti ferisci l'anima, cosa puoi fare per curarla, quali mezzi devi usare? Ed è inutile fare finta di nulla, perché quei pezzi che ti porti dentro andranno avanti a ferirti e finché non accetterai di essere andato in frantumi non potrai ricomporti. Ricorda che non tutto ciò che è rotto si butta, le cose rotte si possono riparare, ciò che si può salvare può essere valorizzato. E cosa significa riparare, o ri-pensare in modo funzionale per il nostro oggi? Significa trasformare il nostro danno biologico in un significato biografico, nel significato che la malattia del corpo ha nelle nostre vite. Significa dare un senso a ciò che ci ha portato a credere che la vita non ne avesse uno. Significa darci l'opportunità di riscrivere la nostra storia partendo da noi stessi e non seguono ciò che ci detta la malattia. In inglese esistono due termini per riferirsi ad una malattia, "disease" e "illness", il primo descrivendo il lato puramente fisico e visivo, il secondo evidenziando il lato emotivo ed emozionale. Ed è quest'ultimo che ci rende più deboli, più fragili, meno consapevoli, meno noi stessi, è ciò che riesce a pervadere e invadere ogni aspetto della nostra vita fino a disumanizzarla e a renderci dei passivi complici di un complotto contro noi stessi. Ma abbiamo forse qualche colpa, è stata forse una nostra scelta? No, no e no. Ripensare una malattia in termini biografici non significa farla diventare la nostra storia bensì dare ad essa un ruolo in essa, una parte, un tassello del nostro rompicapo che altrimenti rimarrebbe senza un pezzo. Perché sì, la malattia ha fatto parte del nostro passato ma non deve impedirci di scrivere il nostro futuro, e saremo in grado di farlo proprio attraverso la conquista di questa consapevolezza. Il dolore è stato, è esistito, è stato reale ed è stato nostro, ma ora siamo noi a non dover essere più di sua esclusiva proprietà. Perché noi siamo solo nostri. 

Elisa


domenica 24 maggio 2020

Abbastanza.


Io mi sento falsa. In ogni cosa che faccio.
Mi sento troppo, troppo poco, o semplicemente non mi sento.
Mi sento non meritevole di aiuto. Perché di aiuto, chi non ne ha bisogno, non ne può ricevere.
Ho sempre pensato di essermi inventata tutti i miei malesseri, che tutto il mio dolore fosse lì senza un'autentica ragione e che lo andassi a cercare perché senza, io, non ci so stare. E quando, dopo mesi, mi sono resa conto che effettivamente avrei potuto avere un disturbo alimentare, non riuscivo ad accettarlo: non ero così magra, d'altronde mangiavo un pacchetto di cracker ogni tanto, qualche volta dei dolci, a volte non mi importava niente e stavo quasi bene...
Ma la realtà non era del tutto offuscata. Sapevo e so per certo che qualcosa non andava. Eppure, l'essermi creata un altro problema così, dal nulla, senza motivo, mi faceva sentire ancora una volta una falsa e una poverina misericordiosa di attenzioni. Forse non ho ancora imparato a richiederne in maniera sana, forse davvero tutto questo dolore è collegato al mio bisogno di essere vista, chissà... so solo che col tempo tutto ciò che volevo era diventare invisibile, sempre più piccola, sempre più leggera, e lasciarmi alle spalle la pesantezza di una vita di dolore mai esattamente motivato. E questo mi faceva -e mi fa- sentire tremendamente, irrimediabilmente in colpa, perché proprio poco dopo l'esordio di tutto questo avevo trovato chi di amore sapeva darmene, eppure mi stavo ammalando di una malattia dell'amore. C'era qualcosa da sistemare, ma più cercavo di alleggerirmi, più la mia vita diventava pesante. E mentre tenevo la mano al mio ragazzo piangevo e pensavo, affamata, debole, senza forze, cos'è che mi manca e perché non posso avere una vita normale? Pensavo, ho bisogno di amore e attenzioni, forse così la cosa passerà. Eppure ricevevo amore e attenzioni, ma non riuscivo a smettere. Vomitavo, mi ripromettevo di finirla lì, alla fine mi ero fatta abbastanza male, ma no, poi salivo sulla bilancia ancora e ancora, dovevo perdere altro peso. E perché? Perché sentivo, e sento, di non poter stare meglio, di non essere arrivata al limite, di non essermi fatta abbastanza male perché, d'altronde, è una cosa che mi son fatta venire io, e quindi mi sento in dovere di viverla fino in fondo. Altrimenti mi sentirei falsa, non brava, incapace, senza controllo.
Lo so. Che forse non è così. Me lo dicono e ci penso spesso. Credevo che quando la gente mi avrebbe fatto notare di essere dimagrita, che non sembravo più io, che dovevo mangiare di più, credevo che mi sarei sentita valida. E invece tutto ciò mi dava un terribile fastidio. E la mia testa mi diceva di continuare, non so perché, non so per quanto, non so.
E poi prendere quei tre, quattro kg, per persone a cui non sapevano la situazione, bastava. Nessuno mi ha mai chiesto se qualcosa non andasse, nessuno se ne accorge, ci si accorge della perdita di peso ma non del dolore, e allora forse non ho fatto ancora abbastanza. Ecco perché ogni volta che riesco a sentirmi un po' meglio, questo pensiero mi colpisce e mi blocca, mi fa sentire una fallita, e mi spinge a continuare ancora e ancora.
Ciò che so però è che, se potessi, sceglierei di mangiare senza mai sentirmi in colpa e stare bene, sceglierei di non avere in testa tutte queste stronzate, sceglierei di essere una persona sana e non così. Forse davvero non l'ho scelto io, forse è qualcos'altro che non riesco a comprendere...
Chissà se mai troverò la pace e non ne avrò paura. 

F.


martedì 19 maggio 2020

La mia esperienza con il "digiuno intermittente"


Questo è il mio vissuto...non vorrei ferire nessuno ma io ci sono cascata...per fortuna ho delle ancore...
Premetto, non sono un'esperta in materia. Non sono in nessun tipo di social, quindi non so esattamente cosa circoli in merito. Scrivo quel che mi balena in testa rispetto ad un argomento che mi è "capitato" tra le mani, consapevole di quanto esso sfrutti lo spazio del mio disturbo alimentare che dilata immagini e pensieri. Quel che scrivo preciso essere un mio vissuto recente, forse uguale ad alcuni o molto diverso da altri. Argomento: digiuno intermittente. Ho visto diversi video su Youtube, ho cercato invano di distogliere lo sguardo ma non ce l'ho fatta, ingolosivano troppo il mio disturbo. Li ho ascoltati, guardati e ricercati ulteriormente, cercando di rimanere sul pezzo ,come dico io, come per dire a me stessa:" Ok guardalo ma poi non farti prendere troppo perché sai che poi la voce chiama!". Credo di esser rimasta sul pezzo forse 2 giorni. Poi di nuovo attiva su Youtube e riguarda, riascolta e l'idea:" Perché no? Perché non tentare? Infondo se ci sono evidenze scientifiche si può fare! nessuno può dirmi nulla! nessuno può rimproverare il mio tipo di scelta alimentare ". Nonostante il periodo che stiamo vivendo, la mia psichiatra mi segue tramite colloqui in video chiamata e tra le mille strategie studiate in questi anni, ho capito che di quel pensiero, ovvero iniziare il digiuno intermittente, dovevo parlarne. Ho capito che per me, per la mia storia, quell'idea balenata in un lampo mi era stata offerta non da Youtube ma dalla malattia, l'ennesima modalità che tentavo di usare come giustificazione per alimentare la voce e di conseguenza la restrizione....lo so lo so...ho fatto un gran caos e non so neppure se questa chiaccherata con me stessa sarà compresa da chi mi ascolta. Ma dico a chi soffre di dca che per se caso dovesse sentir parlare di questo argomento, che per alcuni è uno stile di vita valido, forse per chi si trova nella mia posizione può diventare uno stile pericoloso in quanto attiva delle modalità, rituali ed ossessioni amiche della malattia. Per i vissuti che ho scatena pensieri che lì per lì possono sembrare controllabili ma poi sfuggono e la voce torna prepotente a strappar via tutte le fatiche che mi hanno permesso di costruire un diario alimentare che, nonostante le lacrime, la paura e le fatiche iniziali, giorno dopo giorno mi sta regalando sorrisi...ecco se dovesse capitarvi come è successo a me, prima di iniziare parlatene con i vostri terapisti e pensate ai sorrisi che avete pagato con tanto sacrificio. Scusate la confusione,forse ho toccato un argomento troppo complesso, anche se ho quasi la certezza che chi sulla propria pelle sta facendo a botte col disturbo nonostante il caos mi potrà capire... buona vita.

Anonimo


venerdì 1 maggio 2020

Attraverso il sogno...






Credo che la malattia colpisca i sognatori.
Attraverso il sogno la realtà diventa più bella.
Attraverso il sogno tutto diventa più intenso e controllabile, perché acquista il valore che vogliamo dare.
La malattia si nutre dei nostri sogni, ci dice che sarà tutto possibile a un caro prezzo.
Ti mette in perenne attesa e ti addossa tutta la responsabilità della loro irrealizzazione.
Nel sogno controlli tutto e non ti permetti di stupirti, di lasciarti andare a qualcosa a te ignoto.
E quando la realtà ti stringe le viscere per la disillusione, il cibo te le riempie per consolarti, per anestetizzarti, per ridonarti un piacere che è stato infranto.
Il desiderio di vivere con l'intensità che è innata in te viene placato, calmato, trattenuto da quel cibo che ti flagella.
Non dobbiamo rinunciare ai sogni, perché proprio loro con la speranza che scaturiscono in te ti salveranno.
Ma forse non dobbiamo vivere proiettate nel sogno, dobbiamo prenderci il rischio dell'ignoto, viverci con la nostra intensità il qui e ora.
La Vita è un viaggio di cui non potremmo mai sapere la destinazione, ma in cui potremmo meravigliarci di ciò che impareremo e sentiremo.
Il controllo non ci ha comunque mai preservato.
Ascoltati, viviti senza chiederti cosa è giusto o sbagliato, senza dover definire ogni ruolo e situazione perché calzi a pennello con la parte di sogno che ti sei costruita.
La fragilità è la tua reale forza, ti permette di vedere ciò che sei, di ascoltarti e di scegliere ma soprattutto ti permette di vivere ed emozionarti.

Clara