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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

mercoledì 15 luglio 2015

Ti infliggi depressione e piangi la felicità



Ho resettato la mia vita intera e poi ho ricominciato, non da zero ma quasi. Non da zero, ma la gente che mi vedeva per strada non mi riconosceva, quindi a quello zero c’ero vicina. Mi sono accorta solo molto tempo dopo dello sforzo disumano che avevo dovuto fare per cambiare rotta a una vita che, dopo anni di retta via, aveva preso una brutta curva.
Per convincere me stessa che quello che era successo in realtà non aveva cambiato niente... Ho cambiato tutto!
E non me ne capacito ancora se penso alla mostruosità che sono riuscita a covarmi dentro.
Ma nonostante tutto continua a piacermi la consapevolezza di portarlo sempre con me quel mostro. Perché, alla fine, non l'ho mica distrutto. L'ho abbracciato.
Mi ha promesso che rimarrà con me. E io, che è vero, lo so.
Ed è proprio questo che in altri momenti frega, che mi frega.
Ogni quotidiano giorno in cui riesco fortunatamente ad aprire ancora, di nuovo, gli occhi, davanti a me ci sono ancora certi pensieri.
Insomma, diciamocela tutta, la Bestia non muore mica! Quando va bene matura, si calma, viene placata, ma rimane lì. E rimane lì anche quando diciamo fieramente “Sì. Io sono guarita”. In fondo si sa che pizzica quella parola “guarita”.
Io non voglio portare negatività con le mie parole, perché io stessa mi riempio di parole positive ogni giorno per sopravvivere. Ma io stessa porto anche dentro di me la consapevolezza che sapere che quella Bestia non è mai morta, non è mai guarita, suscita uno strano senso di piacere.
Un ambiguo senso di piacere.
Ambiguo, sì, è la parola chiave.
Pensi una cosa e, contemporaneamente, il suo esatto opposto.
Ti guardi e ti odi e vuoi cambiare. Ma allo stesso tempo non lo fai e rimani ferma lì, dove non ti piace stare.
Rifletti e contratti con te stessa il prezzo di qualcosa che per gli altri è naturalmente intrinseco nell'istinto di sopravvivenza, esattamente quello che hai cancellato e distrutto in te.
Escogiti vie e soluzioni eroiche per salvarti da sola, ma non ce la farai.
Lo sai.
Non ce la farai.
Di nuovo non vedi soluzione se non chiudendo gli occhi e sognando quella pace che trovi immensa solo dentro di te.
Quella pace che ti sorge sui polpastrelli gelidi quando li fai scivolare sulle ossa acute e dure.
Poi, passando il tempo, i mesi, gli anni, quel sogno diventa malinconico, inevitabilmente, evolvendosi in ricordo di quell'equilibrio insano in cui ti eri disposta. Diventa nostalgico quando ti ritrovi in un’altra fase, che sapevi sarebbe arrivata ma non volevi ammetterlo. Quando hai lasciato vincere la parte sana di te stessa. Si perché è così che si pensa! Lascio un po’ libera lei. Poi torna la Bestia. Poi torna la te sana. E poi la Bestia di nuovo e quando torna la Bestia e trova un corpo cambiato, quando trova un corpo sano ti fa subito voler tornare alla fase precedente. E tu le credi! Perché è troppo ammaliante. Perché è troppo potente. E tu ci credi perché non hai ancora capito che devi andare avanti. O forse lo hai capito giusto un po’, giusto quel poco che ti fa pensare che  andando avanti potrai fare ciò che vuoi.
Potrai giocare di nuovo quanto vuoi.
Arrivi anche a pensare che forse va bene così, perché non potevi più farlo prima, non potevi più lasciar giocare la Bestia a suo piacimento con il tuo corpo: tutti si preoccupavano troppo per te.
Adesso invece puoi. Nessuno sarà preoccupato perché tutti “ti vedono bene”.
E quanto frizza quel “ti vedo bene”?
Quanti pensieri ti fa esplodere in testa?
Ma perché ancora la pensi così?
Perché non riesci ad associare quell'andare avanti all'accettare un corpo sano ma, piuttosto, pensi che si possa andare avanti semplicemente tornando indietro?
Forse perché non sei guarita?
Ma quando guarirai?
E ti piacerà dire “sono guarita”?
A me non è piaciuto.
Ma ho vinto lo stesso. Questo amo dire: “Ho vinto”.
Mi piace dirlo perché contro la Bestia ho combattuto. L’ho odiata e, intanto, odiavo me stessa ma la facevo giocare come voleva.
Provavo piacere a farla giocare. Era come se la bambina che è in me desse il permesso all'adulta di far ciò che voleva, di imporre tutte le regole che voleva. E che soddisfazione imporre quelle regole. Sempre di più, sempre più stringenti, sempre più gravi.
E che dolore quando una di quelle regole veniva minimamente dirottata!
La bambina doveva scontare pene tremende. E godeva, sì, godeva nel punirsi e ripromettersi che quella regola sarebbe stata rispettata mille volte più fortemente.
Ambiguità è la parola chiave. Ti infili sempre di più nel labirinto e brami, poi, di più l’uscita.
Ti compiaci nel vederti scomparire e, poi, rimpiangi la tranquillità.
Ti infliggi depressione e piangi la felicità.
Anoressia. Prova a dirlo.
Senti che tintinnio fa tra i denti?
Senti che lettere dure e risuonanti?
E poi c’è quella “o” in mezzo che imbottisce tutta la parola, la estende e ne crea un’eco, la allunga e la fa sembrare elegante.
E’ ammaliante, seducente, intoccabile, indicibile, crea imbarazzo, impotenza, punti di forza, soddisfazione, gratitudine. Ragazzi non è uno scherzo, è questo che frega:
è la forza che ti fa riscoprire in te stessa l’anoressia!
Ma poi Bestia. Perché Bestia? Se diventa bacchetta magica, se diventa fatina?
Bestia perché ti uccide se può. In modo losco e disonesto.
Ti uccide in ogni caso.
Quando ti punisce. Quando si congratula. Quando strilla disperata perché si sente trascurata. Quando ti mangia la carne e ti cambia l’anima. Quando ti sale agli occhi e lentamente toglie loro il respiro.
Ma si può guarire da ciò che ti crea dentro così tante emozioni?
Ma davvero si vuole uccidere quella che riconosciamo come unica salvatrice?
No. Non si vuole. Non si vuole quando si è raggomitolati nelle sue mani né quando la parte sana è più vigile. Non si vuole cancellare comunque sia.
Ed in ogni momento di scompenso, di tristezza, di paura, io cerco quelle ossa.
Io interpello la Bestia, ancora.
Ma se non è da guarire, non c’è via d’uscita?
Si che c’è.
C’è la vittoria.
C’è la conquista di una convivenza pacifica. C’è l’acquisizione di sicurezze nuove. C’è il provare di nuovo sensazioni calde. C’è il non pensare che lasciando un po’ libera la bambina non ci siano più freni e sia tutto allo sbaraglio. C’è una forza di volontà e di vita che va oltre a tutto quanto.
Va oltre agli sguardi bastardi della gente, alla paura di mostrare al mondo cosa vuol dire essere sana e felice e non magra, compiacente e plasmabile.
Va oltre al pensare di cancellare ogni regola se non c’è più la Bestia. Va oltre allo stare bene nello stare male. Va oltre.
E allora vinci, dico, non guarisci.
Dico che puoi vedere sguardi increduli e allucinati anche sfoggiando i tuoi begli occhi sereni e in pace. Lanciando uno sguardo sai quanti animi muovi?
Seduci tu il mondo da ragazza, donna che sei. E’ ciò che sai fare meglio! Non lasciarti sedurre dal gelo. Dall'opportunità di ibernare un presente che diventerà presto anacronistico e scomodo.
Accetta di convivere con la Bestia che è in te e fa in modo che lei accetti te.
Ricordale ogni giorno che la lascerai vivere, che le vuoi bene e che deve volertene anche lei, non può più divorarti. Basta.
Lascia stare i manichini spigolosi ed evita di importi di esibire la tua magrezza come trofeo.
Non è un trofeo è un dolore che cresce e crescerà.
E non credere che non si noti, usa quanto trucco vuoi, mascherati quanto vuoi, che sei triste si vedrà.
Sentiti fiera della donna che puoi o potrai essere e del tuo percorso.
Fa della tua vincita il vero trofeo e dillo, gridalo, che tutte le te che ti porti dentro stanno finalmente bene insieme!
Che i tuoi giorni non sono più calcoli, che il piatto pieno ti crea sconforto ma non importa svuotarlo tutto!
Dillo a te stessa davanti ad uno specchio che sei bella se sei in pace!
Perché non è pace finché la tua serenità dipende altamente da quante ossa riesci a contare o da quante calorie riesci a togliere. Non è tregua finché ti addormenti pensando al cibo e ti risvegli pensandoci sempre, e più te lo neghi più ci pensi.
Non aver paura di provare a ripristinare una te autentica.
Fai tesoro di ciò che ti eri imposta.
Non dovrai mica cancellare una parte di te! Nessuno te lo chiede. Nessuno ti chiede di essere ciò che non vuoi o che non ti soddisfa. Nessuno ti ha detto che dovrai essere inutile, una qualunque, una che passa inosservata, una che non ha valore.
Non lo sarai mai!
Devi solo trovare il modo di farlo venir fuori in modo diverso quel valore tuonante che ti senti dentro.
Smettila di pensare che chi volevi punire, perché ti ha fatto male, facendolo sentire impotente poi l’avrà vinta.
Perché puoi ferirlo anche in altri modi!
Non sono una fan del perdono e della compassione verso chi fa male, quindi non pensare che senza quel tuo disagio non metteresti più in difficoltà chi vuoi, se era questo uno dei tuoi intenti, perché hai milioni di risorse dentro di te. Puoi vederle se solo le cerchi un po’.
Scrivigli, rispondigli, urlagli.
Puoi sempre usare le parole.
Se combinate in modo giusto, le parole, sanno infilzare più di quelle ossa appuntite.
Vedi uno sguardo che non ti piace da parte di qualcuno, senti parole che non ti sono gradite nei tuoi confronti? Magari proprio riferite al tuo essere sana? Sorridi allora! Sorridi in faccia agli infami. Togli quei limiti che ti sei data nei tuoi e negli altrui confronti, sfondali, distruggili!
Rispondi o semplicemente pensa dentro di te “Sto lavorando per volermi bene. Nessuno sa, là fuori, cosa ho passato e cosa sto passando per imparare a volermi di nuovo bene. Nessuno ha voce in capitolo se non io. E io sto imparando a volermi bene. Non c’è altro che importa.”
Allora, sì, un giorno farai il tuo ingresso nella vita stupendo tutti, di nuovo. E non ci sarà persona che non rimarrà sbalordita dal fatto di non essersi resa conto di cosa stavi facendo.
Sarà una soddisfazione. Credimi. Quella soddisfazione che hai già provato vedendo gli occhi di chi ti ha mandato il messaggio: “Ma come fa ad essere così magra?”, “Non è più lei” o magari anche “Vorrei essere come lei”, la ritroverai portando, a testa alta, stampata sul tuo viso la strada che hai fatto e continui a fare. La forza che hai di mantenere il tuo equilibrio.
Non è da tutti, credimi, questo ti renderà speciale più di quello che già sei.
Questo sarà il trionfo che lascerà tutti a bocca aperta.
Sarà la certezza che farà brillare i tuoi occhi come non era mai successo.

Celeste Belcari


mercoledì 1 luglio 2015

Tutto sommato sono contenta di me



Tutto sommato sono contenta di me, di accettarmi per quella che sono, sia con pregi e difetti e di non voler essere la fotocopia di nessuno al di fuori di me. Ho imparato ad agire con coraggio senza più preoccuparmi di compiacere agli altri, anche nelle situazioni meno favorevoli e con esiti poco vantaggiosi. Morale: dovendo comunque scegliere tra perdere gli altri o me stessa, preferisco perdere gli altri per non rinunciare alla mia dignità. Non amo le lagne, né chi si lamenta... sono convinta che chi si lamenta per ogni cosa metta in atto presunzione... si lagna chi vorrebbe modificare il presente senza prendersi alcuna responsabilità e aspetta che gli altri si occupino di lui. Credo che aiutare un lamentoso non sia affatto un atto di generosità, al contrario sia un inganno. Così facendo impedirà al lamentoso di crescere e credere nelle proprie capacità. L'arma vincente per superare gran parte delle difficoltà è agire per affermare se stessi ed essere se stessi. Non è vincente chi si sottrae ad ogni ostacolo per viltà o per avere l'amore altrui. Vincente è chi usa le proprie risorse per farsi valere, chi difende i propri spazi e diritti, chi esprime i propri desideri e raggiunge gli obbiettivi prefissati senza mettere i piedi in testa a nessuno. Non amo chi fa vittimismo, chi manipola, chi si racconta balle, chi tenta di appiccicarsi come una sanguisuga rendendo schiava la libertà e i limiti della disponibilità altrui... questo non è rispetto, è egoismo. So che è un modo sbagliato per chiedere affetto e protezione, ma non capiscono chi vive adeguandosi ai dettami altrui compiacendo gli altri per paura o per opportunismo, lamentandosi incessantemente e restando nella passiva attesa che qualcosa accadrà, verrà assorbito in una spirale di sfiducia e paura di ogni cosa? Tendere una mano, essere attenti e disponibili alle necessità altrui è positivo ma sempre, però, partendo da una posizione di autonomia per non correre il rischio di negare se stessi e fare dell'interlocutore una sorta di ricattatore. Tutti i miei ricoveri, connessi a problemi col cibo, sono avvenuti negli Stati Uniti d'America, ho avuto dei vantaggi, perché quando pazienti come me avevano tentato invano di appiccicarmisi addosso prosciugando le mie già poche energie i vantaggi che ho avuto per liberarmi delle loro catene erano stati quello di dire “sono italiana e non comprendo l'inglese”. Mary, mia madre, era americana e quando le avevo raccontato l'accaduto aveva sorriso: l'inglese lo sapevo correttamente parlare e scrivere. Ciao mamy sarai sempre la stella più luminosa. Il destino ce lo creiamo noi, sapevo che avrei raggiunto le mie mete, che avrei parlato altre lingue e non immaginavo che ad oggi avrei parlato correttamente 7 lingue... ma a che mi servono se sono da mesi inchiodata a questo letto? Un'amica non ancora incontrata, mi ha detto che la mia dignità la difenderò lottando in questo letto. Io posso solo ringraziarla e dirle che, comunque vada, è stata una presenza costante e preziosa per me, la sua positività è indispensabile come l'aria che respiro.


Anonimo

lunedì 15 giugno 2015

Un grazie all'amore



Caro Amore,
a te che inizi con la prima lettera dell’alfabeto,
a te che sei il motivo dell’esistenza di ciascuno di noi…
a te, che sei al centro della vita di tutti i giorni ed, al tuo significato a volte banalizzato
io devo un grazie!
Sì, un grazie perché poco più di quattro anni fa mi hai salvato la vita!
La mia intenzione è quella di rivolgermi a te come se mi rivolgessi ad un’entità concreta, conosciuta… ad un amico. Già, perché solo un amico può aiutarti a vincere un mostro chiamato anoressia.
Ed è per questo che dopo i meritati ringraziamenti, vorrei raccontare a tutti quanti come mi hai salvata.
Ero una ragazzina di 17 anni, uno scricciolo inerme davanti ad una battaglia così dura ma, nei miei occhi, era possibile intravedere l’unico sogno, l’unica speranza… dimostrare, nonostante tutta la sofferenza, la mia grande capacità di amare!
Le giornate sembravano non passare mai, i pasti erano infiniti e, già nel primo pomeriggio, percepivo una stanchezza tale da sperare di riuscire ad arrivare alla sera il più in fretta possibile. Non erano giorni, erano punizioni… non era una vita degna di un adolescente… non era la mia vita! Niente più hobby e passioni, niente più desideri di diventare un medico ed una brava ballerina… niente! Tutto era stato accantonato, reso impossibile dalla mia condizione e dalle mie convinzioni; solo il sogno di conoscere te ogni tanto mi dava quella speranza e quella forza per andare avanti.
Non ricordo precisamente il giorno, ma so che da un certo momento in poi ho capito che tu saresti stato la mia unica occasione… ho capito che avrei potuto combattere in tuo nome.
Ebbene sì, ho iniziato la mia lotta in nome di un grande amore, ovvero quello provato per i miei due meravigliosi genitori, e in nome di un forte desiderio: poter vivere un giorno un amore così travolgente come quello che ancora dopo anni di matrimonio li lega. Non so nemmeno il perché ho iniziato a credere di potercela fare, di poter risalire quel baratro… forse tu mi hai dato una forza, una chance, mi hai permesso di credere nelle poche energie che avevo.
Mi sono aggrappata a te e al sentimento che hai creato per legarmi stretta stretta alla mia famiglia… tu, insieme ai miei genitori mi avevate donato la vita regalandomi quella felicità che ciascuna persona merita ma che pochi riescono a raggiungere. Non potevo rovinare tutto, non potevo far svanire quel legame con la mia famiglia e non potevo nemmeno rinunciare a quel sogno! Meritavo il tuo aiuto per trovare la metà perfetta, quella metà che immaginavo fin da quando ero bambina… sapevo che anche io un giorno avrei potuto formare quella mela perfettamente combaciante che, la mia mamma e il mio papà, continuavano a nutrire giorno dopo giorno.
Non è stato facile… ogni gradino che risalivo rappresentava tanta fatica, tanta sofferenza, ma anche la consapevolezza di lottare per qualcosa più forte della malattia. Cominciavo a rendermi conto del fatto che ora, e solamente ora, mi stavo avvicinando alla mia perfezione, ben diversa da quella che l’anoressia mi spingeva a raggiungere e che pensavo di possedere ogni giorno. Avevo lottato per la mia vita, per la mia famiglia e per la nostra storia… sinceramente questo mi faceva sentire perfetta a modo mio.
Il trascorrere del tempo ha portato quella ragazzina a crescere, a divenire consapevole ed orgogliosa del suo passato… aveva combattuto e aveva vinto! Aveva vinto il premio migliore… la felicità delle persone a lei care.
Amore tu però non hai mai dimenticato il sogno di quello scricciolo di trovare la metà della sua mela… hai, infatti, permesso che costruissi il mio AMORE facendomi incontrare quella persona speciale che avevo sempre sognato e disegnato nella mia mente!
E’ per tutto questo che ti ringrazio e che dedico a te la mia felicità… quando infatti guardo me, la mia famiglia e la mia speciale metà insieme ogni battaglia persa di quella guerra svanisce e penso: “Ho lottato e vinto… ho meritato questa vittoria e vista la ricompensa… ne è valsa la pena!!!”


Michela Olivieri 

mercoledì 3 giugno 2015

Uscire dal coma,pagine del mio diario 20XX



12 aprile
Mia figlia in rianimazione.
15 aprile
Apre gli occhi e mi riconosce, ma quando una dottoressa le chiede «dove sei?», lei risponde «all’asilo!». Pesa 27 chili, è alimentata artificialmente, monitorata con mille aggeggi, non ricorda niente. Io e mio marito Umberto ci alterniamo giorno e notte, non la molliamo mai.
19 aprile
«Ciao nonna Ada!»
Avevo chiesto a mia mamma di venire a vederla visto che l’ha nominata. Le ha fatto un gran sorriso e riconosciuta subito. Ha mangiato. Verso sera sono venuti Sara con Ale, Eve e Mauro, Roberta. Ha chiamato col diminutivo “Sarotti” la Sara, riconosciuto Eve, non gli altri. Stava a guardarli finché scherzavano tra loro con un sorriso grande e gli occhi brillanti, senza parlare.
20 aprile
Ha poca voce, ma è un po’ più lucida, anche se debolissima... Fiorellini profumati sul comodino, le ho portato i primi mughetti e un narciso tardivo, Chopin nel lettore CD, cannette, sondino, ospedale… Tutto mescolato e non sono infelice. Sono normale?
Ho passato e passo momenti di ansia da crampi al cuore, come stamattina presto appena sveglia, crampi alle gambe e al cuore. Altri momenti di disperazione, e telefono, e cerco finché non mi accorgo che mi sto dibattendo, e rischio di affogare sul serio e devo controllarmi, fidarmi anche un po’ del mio istinto, convincermi che sto facendo non solo del mio meglio, ma forse tutto il possibile.
21 aprile
«Ho fame. Ho fame!»
Così stamattina  si è svegliata, sfinita... Nella tragedia, ha dimenticato anche di essere anoressica. Non avevo niente da darle da mangiare ed il bar apriva alle 8. Ha pianto, ho tirato avanti con qualche caramella e poi è arrivato il papà, con uno yogurt da casa.
Quando si agita, si emoziona, farfuglia, almeno spero sia solo questo, così si è aggiunto questo problema, oltre alla fame, ad innervosirla.
Hanno deciso di sospendere l’alimentazione via sondino per lasciarla mangiare come vuole, ma senza affaticare il cuore e rischiare...  «Vorrei tentare di finire per ricominciare…» dice lei,  «Cioè?» cerco di farmi spiegare. «Anche adesso, finire per ricominciareee!!!»
Chissà che pensieri le passano per la testa. Ansia, a cosa si riferisce? Ho cercato di spiegarle che le sono come saltati i tappi, le valvole, di sicuro qualcosa è ripartito. Ha ribadito «Vorrei finire, concludere. Dobbiamo pensare alla colazione.»
Penso si riferisca al tempo, al semplice cominciare e finire della giornata, ho tentato di spiegarle che essendo sempre a letto e quasi sempre con la stessa luce non vede il passare delle ore: «Ora è sera, hai appena mangiato, tra un po’ sarà buio, si dormirà e domani ci sarà la colazione.»
22 aprile - 10 di sera
Ho appena preso uno spavento. Alice non mi rispondeva, sono accorse un’infermiera e una dottoressa e mi hanno spedita fuori. Ha riaperto gli occhi e dopo ha anche risposto. La situazione è critica.
Oggi mi ha farfugliato «Quando posso venire a casa?»
«Certo appena ti riprendi, e ti tolgono qualche tubetto. Cos'hai di bello da fare a casa?»
«Tutto!»
«Dimmi una cosa almeno!»
«Andare a cercare le galline!»
Ho cercato di suggerirle: «e magari a prendere un po’ di sole in giardino, scommetto che ti è venuta persino voglia di tagliare l’erba…»
Mi ha risposto a cenni, ma per l’erba il no era sicuro.
23 aprile
Alice ha nominato per la prima volta la ginnastica. Non capisco perché l’ha associata al coma.
«Ti ricordi quando sono stata in coma?»; io le rispondo di sì, glielo avevo appena detto, del resto. Lei di tutta risposta: «Ma no, prima, quando facevo ginnastica!!!»
24 aprile
Notte da spavento per Umberto, che non mi ha svegliata, ma chiamata prestissimo perché Alice mi aveva cercata tanto. «Chiama la mamma perché tra 10 minuti muoio!», diceva.
Appena arrivata l’ho rassicurata… E lei «Sto morendo, ma forse ci vorranno più giornate.»
I medici mi dicono che è grave, ma non così grave… Che la crisi che ha avuto era quasi psicologica (rigida e affaticata nel respirare), quasi il respiro lo trattenesse lei. Continua a farfugliare.
25 aprile - notte decente, dalle 4 alle 6 ha dormito
Nel pomeriggio mi ha parlato di boschi con alberi e pini, le ho ricordato quelli di Buse, e poi di un giardino di giacinti e mughetti. Le ho raccontato com'è ora il nostro, e di come Ettore e Penelope i nostri gatti, rincorrono le galline e si è messa proprio a ridere. Dopo la cena si è lamentata del menù della giornata, così le ho promesso che appena sarebbe stata bene l'avrei portata da “Cencio”, dove fanno il budino di tarassaco. Lei  «Appena sto bene voglio la pizza!»
Il discorso è poi passato ai cavalli e al fatto che appena potrà lei farà “tutto”.
Verso sera, forse per troppa stanchezza, insisteva perché le aprissi la porta già aperta, e farfugliava di un altro piano, agitandosi perché io non capivo.
Ha chiesto la TV! Al telefono ha salutato con un bel ciao Luisa che mi aveva chiamato per sentire la situazione, facendola felice.
27 aprile
Ieri… Ha riso ad una battuta della reclam di un film “Come siamo piccoli di fronte a tutto questo!”, fa un ragazzotto sotto il cielo stellato, e la ragazzina “parla per te!”
Mi sono sentita subito gonfiare di pianto, ma quasi liberatorio. L’ironia. Ha riso ad una battuta ironica. C’è, mi dico, sta tornando! Ma è fiacca, il polso 126.
L’ho portata fuori con la sedia a rotelle. Abbiamo incrociato una mamma col bimbo in passeggino, lei ha fatto ciao con la mano come fosse anche lei piccola così.
5 maggio
Ora è presente, affamata anche di attenzione. Sono giorni pieni, con lei che parla e mangia in continuazione. Per distrarla camminiamo, con lei in carrozzina, in lungo e largo per l’ospedale.  Non so dove trovo la calma e la pazienza, anche perché ha scatti d’ira e d’insofferenza. Torno a casa ed ho attacchi d’ansia e agitazione. Appena torno da lei funziono.
Ieri ho pure trasgredito: sono uscita dall’ospedale per visitare il Parco Treves, lì vicino…
17 luglio
Bella serata, seduti fuori del caffè Pedrocchi di Padova. Ruggero Robin suonava jazz con la sua band così Anna ci ha radunate. Ho bevuto un margarita pensando all'aria di Cuba.
Mi hanno subito chiesto della mia nuova “biondezza”, e le amiche mi dicono che i bianchi si notano troppo, infatti l’idea è di non nasconderli più. Mi sto abituando, anzi mi fa sentire quasi a mio agio, mi sembra quasi un vezzo lasciar trapelare i bianchi tra le meches un po’ più scure. Mi viene quasi da dire: «perché nasconderli, me li sono guadagnati!»
Luglio
Scambi di pensieri via SMS. Alice ancora ricoverata.
Io ad Alice:
-E’ la vita che
entra ed esce
da noi
girovagando
curiosa
Le piace
sorprenderci
con anonime gioie
che forse dal dolore
non distingue…
Vuole la porta aperta e
abbandono.-
Alice a me:
-Esser(ci)
Col silenzio
urlo nell'aria
di vento che-
oro non è l’andare
ma- almeno fermi
riuscir(ci) a stare…-
Io in risposta:
-Niente da fare
col verbo fermare
Equilibrio andante
mosso, allegro con brio
grave, pesante
Ma andare
Nel tondo del mondo
Nell'incommensurabile
Nel nostro profondo
A volte inerzia
Esser-ci
come cosa
dal mondo in viaggio
dimenticata
apparentemente
Qualche girotondo
e al “tutti giù per terra”
a “cascare” pronti
Alla resa
di parole carichi e
niente guerra!
E ancora andiamo, lente ma andiamo-

Marina Grigolon

sabato 16 maggio 2015

VITA

Un minuto, un lunghissimo minuto è appena trascorso; eravamo noi due: io e la pagina bianca di fronte a me. Io: anoressica, bulimica, venti anni, Sara. Lei: intatta, candida di una purezza vuota, ma pronta ad ascoltare qualsiasi cosa io abbia da dire. Eppure di fronte a tanta libertà, di fronte a tanta intimità, io mi sento costretta, soffocata, oppressa da una pressione che mi toglie il respiro, che mi lacera il cuore, che confonde i pensieri, cambiandone la forma, le proporzioni, i toni, i colori, la veridicità, che priva le emozioni della loro autenticità, che mi mostra una realtà in cui regnano soltanto corruzione, devastazione, violenza, ipocrisia, in cui le relazioni umane collocano le loro fondamenta in un terreno sabbioso di superficialità e opportunismo per, poi, elevarsi nei piani più alti, fino alla falsità, alla mancanza di rispetto, alla perdita della dignità. E come si può anche solo voler vivere con una visione così straniante della vita, come si può stare nel mondo ed affrontarlo se lo si disprezza, se lo si teme, se se ne diffida? Non si può, non è possibile. Qual è il compromesso? L'isolamento: vedere ogni giorno solo e soltanto il proprio riflesso; e con riflesso non mi riferisco solo al riflesso allo specchio bensì, soprattutto, alla proiezione di sé, dei propri pensieri e dei propri stati d'animo sugli altri, così che perfino quel poco che ci restava, che ci apparteneva, che ci distingueva si disperda e si espanda sull'ambiente che ci circonda. L'isolamento porta a non sapere più quale sia la linea di confine che ci separa dal mondo circostante ma che, ancor più, ci definisce, ci dà una forma, ci dà un'identità, ci dà uno strumento non soltanto forte e robusto per muoverci e combattere ma anche plastico, flessibile per cambiare ed evolverci. L'isolamento porta alla perdita della consapevolezza del proprio corpo ma, soprattutto, di noi stessi: si arriva al punto in cui sembra che, di noi, soltanto il riflesso sia reale, percepibile attraverso i sensi e attraverso la nostra proiezione su chi vive con noi o su chi ci sta più vicino. E tale riflesso è tanto reale, quanto odioso e intollerabile. Vorremmo distruggerlo. L'istinto di sopravvivenza ed il principio di autoconservazione non valgono più: il nostro disprezzo è rivolto verso ciò che vediamo negli altri di noi, nasce dal contrasto tra ciò che gli altri vedono in noi e il vuoto e l'inesistenza che abbiamo come idea di noi stessi. In una realtà distorta in cui il mondo che ci circonda e il nostro corpo, il nostro io non sono più distinguibili, ciò che sentiamo un po' più personale, proprio, ossia i pensieri, le emozioni, le idee, le opinioni, non deve essere espresso. Dove finisce tutto ciò? Resta tutto inedito, segreto, ignoto, ma il peso è enorme. Le alternative sono due: illudersi di avere forza e controllo, imporsi sul cibo e credere di poter sostenere il carico di “non-espresso”, di “non-esternato” che grava dentro di noi; oppure percepire con angoscia lo squilibrio tra pieno e vuoto, tra la pesantezza di vivere e la propria inesistenza nel mondo, tra i compiti/doveri da svolgere, gli impegni, le scadenze da rispettare, le promesse da mantenere e l'ozioso non-vivere dell'isolamento, tra la fatica e la frenesia del vivere ed il lento cullarsi nel lasciarsi andare alla morte. Ciò porta a colmarsi di frustrazioni per non essere in grado di: tenere la strada, mantenersi in equilibrio stabile, affrontare il mondo che ci circonda con sicurezza, camminare tutti d'un pezzo.
Perché continuare ancora a fingere di essere qualcuno? Perché aspettare ancora? Quando arriverà la fine?
Non è tutto perduto, possiamo esistere ancora, possiamo vivere nuove situazioni, nuove relazioni, nuove emozioni, sebbene possano rivelarsi sia positive sia negative: e la cosa più bella sarà sentire e percepire queste nuove occasioni come nostre. Lo so, ne sono certa, e non perché ho già superato il disturbo o non ne presento più i sintomi, ma perché ho imparato a riconoscermi delle conquiste, a gioire dei miei - e ribadisco i “miei” - passi avanti e delle mie conquiste giornaliere, a percepire e a distinguere con comprensione e compassione le difficoltà che incontro, a perdonare i miei errori e le mie ricadute. Alcuni dei passi più difficili da compiere sono riacquistare consapevolezza di sé, comprendere di stare male davvero, riconoscere di avere bisogno di aiuto, chiedere soccorso. Chiedere aiuto: per me si tratta di uno degli ostacoli più imponenti ed impegnativi da superare. Chiedere aiuto presuppone, oltre alla scelta del destinatario della richiesta, che deve necessariamente godere della nostra più cieca fiducia, la preventiva percezione della possibilità di un pericolo e, soprattutto, l'umile presa di coscienza di non essere in grado di superarlo senza un sostegno esterno. È, però, importante, precisare che ciò non sottintende che il percorso che porta a superare momentaneamente un ostacolo sia facilitato o non sia compiuto da noi stessi solo perché abbiamo avuto necessità di un ausilio: esso richiede molta fatica e molta forza di volontà; il destinatario della richiesta di assistenza ci fornirà il necessario bagaglio di strumenti per affrontare uno stato d'animo e/o una difficile circostanza, ma saremo noi, in quanto persone esistenti, a farne uso in modo costruttivo. Potremmo fallire, ma fare un passo indietro non equivale a cominciare dal principio il cammino: la volta successiva utilizzeremo una precauzione in più.
Concludo con una piccola considerazione: scrivendo queste poche righe mi chiedevo a chi mi rivolgessi e chi fosse il mio reale destinatario. Mi ha sfiorato l'idea di un giudizio, con più forza mi ha stuzzicato la rabbia di non essere in grado di esprimere ciò che vorrei e di non trovare mai le parole giuste. Ma poi mi sono detta: io esisto, io penso, io scrivo, io condivido delle parole, io trovo la forza di non nascondermi e di portare la mia piccola testimonianza di fronte a tante persone che compiono la stessa scelta, pronte ad aiutare ed essere aiutate, a dare conforto ed essere confortate, a raccontare ed ascoltare. Cosa c'è di più bello di tante persone che scrivono ciò che sentono dentro? Ancora più bello è pensare che ognuno sa che le sue parole non sono altro che una minuta parte di qualcosa di molto più grande, che, però non potrebbe esistere facendone a meno, perché mancherebbe di una sfaccettatura, di un punto di vista: questo concorso letterario evoca in me l'immagine di una pagina di vocabolario aperta alla voce “vita”, in cui ogni testo, e quindi ogni partecipante, ha contribuito in modo assolutamente equivalente alla stesura del significato.


Sara Delli