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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

giovedì 19 ottobre 2017

Che senso ha?


Che senso ha? 
Che senso ha uccidersi lentamente perché nel tuo mondo super controllato le emozioni ti distruggono e devi farle tacere! 

Che senso ha? 
Viversi immaginando di essere sempre una persona diversa da ciò che sei! (Quando sarò...) 

Che senso ha? 
Vivere a mille certi ruoli e dimenticarsi di se stesse appena il mondo lì fuori si silenzia. 

Che senso ha? 
Vivere sempre in tensione, aver paura di sbagliare e quando succede, tutto ciò che di buono hai fatto crolla, come se un sassolino fosse capace di far crollare un castello. 

Che senso ha? 
Smettere di sognare, di esserci per vestire sempre della stessa "divisa". 

Che senso ha? 
Vivere sentendosi morte dentro. 

Non ha senso, non ha nemmeno senso sentirsi migliori di altri perché il dolore ti ha reso una bella persona se continui a farti del male! 
La malattia è una bolla, non è una prigione! È un gran sistema sofisticato di pensieri bugiardi, di emozioni nascoste e non vissute e superate, di mille te che non sei tu! 

Fermati, guardati allo specchio e chieditelo: "Che senso ha?" quando la vita ti chiede solo di esserci e di riuscire a dare e darti qualcosa di te, di nuovo ogni giorno! 

Che senso ha? 

Dedicata a me, alla mia storia a tutte le belle persone che soffrono.
Clara

venerdì 13 ottobre 2017

IO-VOGLIO-VIVERE



È la prima volta che scrivo della mia storia, se non in siti pro Ana all'inizio del mio disturbo. Stavolta voglio scrivere di cose che riguardano la vita, anziché la morte.
Sono 3 anni che ci sono dentro fino al collo, ma sono circa 6 anni che sono ossessionata da cibo/peso/forme corporee. Ho iniziato appunto aggregandomi a siti pro Ana, per poi finire nel primo dei centri che mi hanno seguita. Mi sono fatta aiutare subito, al primo calo ponderale di peso, ma non è bastato. Sono stata ricoverata 6 mesi in questo centro dove non ero collaborativa, per cui mi hanno mandato un mese in ospedale.
Da lì sono passata in un altro centro, dove sono rimasta per un anno. Dopodiché sono tornata a casa, "pronta" ad affrontare la vita. Illusione. Sono riuscita un mese ad essere libera, poi ci sono ricaduta in pieno. Le ossessioni crescevano e il peso scendeva. Di nuovo.
Sono tornata a chiedere aiuto al primo centro, che mi ha sostenuta finché ha potuto. Ritenendosi NON in grado di aiutarmi, mi hanno inviata in un ennesimo centro dove sono rimasta 3 mesi. In poche parole, sono 3 anni che non vivo a casa mia. Adesso sono tornata, da una settimana, è molto poco per poter dire di star bene. Mi peso ogni mattina e seguo la dieta datami dalle dietiste del centro senza sgarrare di una virgola. Anzi, a volte mi capita di togliere qualche grammo. Ma per il momento, sono così felice di essere finalmente a casa con la mia famiglia che mi spaventa più il PERDERE peso che prenderlo. Le ossessioni sono ancora un tormento, ho il senso di fame e sazietà completamente sballato e per questo ho paura di perdere il controllo. Sogno abbuffate (che non ho mai fatto, per ora), e sono terrorizzata dalla mia fame.
Ma ho anche fame di vita, di amore, di parole. E voglio dare speranza, a chi ancora non ne ha.
Nel mio ultimo ricovero ho capito una grande cosa, il cibo è nostro amico. È la nostra medicina. Attraverso questo ritroveremo la voglia di vivere, di amare, di parlare. Io ho personalmente appurato che da quando mangio in modo regolare (seppur molto doloroso), ho riappreso le bellezze degli attimi. Come una cena in compagnia, raccontarsi a fine giornata le cose positive successe, mangiare un gelato con gli amici... ripeto, il cibo è vita! È la connessione con il mondo. Tolto quello, tagliamo i ponti con la socializzazione. Riappropriarsi del cibo è contatto con il mondo. Riappropriarsi del nostro pensiero, senza che il mostro ci assalga, è libertà. Ancora a volte mi soffermo a pensare che 3 anni sono pochi, che ancora la malattia deve fare il suo decorso... ma poi penso a cosa mi sono persa e a cosa mi perderò se continuo ad andargli dietro come un cagnolino.
Prima pensavo di non esserne capace, adesso so che IO POSSO SCEGLIERE. E scelgo la vita, l'amore, le parole non dette per 3 agonizzanti anni. Voglio provare le emozioni che mi sono state sottratte. IO-VOGLIO-VIVERE!

Margherita

giovedì 12 ottobre 2017

Quel riflesso...


Parlando di disordini alimentari, è facile pensare a parole come "anoressia", "bulimia" per descrivere chi ne soffre, parole che generalmente sono il sunto di quanto in realtà il disagio nasconde.
Partendo dal fatto che chi soffre di eating disorders non necessariamente appartiene ad una di queste categorie, e che nemmeno è facile definirle tali, bisogna precisare qualcosa: il disordine alimentare non si sviluppa, come la varicella, con indubbi segni di riconoscimento. Tanto meno esiste una e una sola cura. E quindi, quando nell'immaginario generale si dipinge nella mente la raffigurazione dell'anoressica, si è soliti pensare ad una scheletrica creatura che rifiuta il cibo con fermezza e che ha come intento e scopo quello di assomigliare a una modella o di essere esteriormente bellissima.
Sbagliato.

Immaginate di svegliarvi, e sentirvi pesanti. Non potete muovere un piede, poi l'altro, e le gambe. Vi trascinate lentamente fino allo specchio, domandandovi cosa succede.
Arrivate lì, fate uno sforzo e immaginatevi di veder riflesso un estraneo.
Chi diamine è quello? Che ne ha fatto del mio riflesso?
Ma il tempo scorre veloce e non importa se questo cambiamento vi penalizza, dovete correre, immergervi nella vita e continuare come se niente fosse.
Continuate a immaginare, pensate di arrivare a lavoro, a lezione, esauste e sconsolate, credendo di trovare un riscontro del vostro triste cambiamento nell'opinione altrui. E così non è. Ognuno, impegnato alla sua postazione, non nota che improvvisamente voi non siete più voi. Eppure è così evidente, insomma, non passate più dalle porte e gli estranei vi fissano allarmati. Godzilla! Ma nessuno vi vede e lì, invisibili, continuate mollemente a vivere.
I giorni passano, questa misteriosa metamorfosi non tende a regredire. Anzi! Ogni giorno il vostro aspetto cambia radicalmente, fate un baffo a Kafka, voi sì che siete regine della trasformazione notturna! Questi cambiamenti diventano ogni giorno più limitanti, debilitanti, ma quale medico curerebbe una malattia che non vede? Mondo di ciechi, son tutti impazziti?
E così, lentamente, un giorno per volta, smettete di parlarne. Il riflesso e voi, questo dubbio, questa condanna. Odio che sempre più visceralmente covate verso uno specchio che vi ha derubate della vostra identità.
Che fare? E adesso pensate questo: Mi odio. Voglio morire.
Se oggi mangio anche solo altre 100 calorie domani ingrasserò.
Ho vomitato un caffè.
Questi 39 chili sono odiosamente troppi.
Peso 100 kg e ogni giorno mangio 300 kcal. Il caffè è rigorosamente senza zucchero.
Peso 35 kg e oggi ho ingerito 5000 kcal.
Oggi lo specchio mi ha mostrato un edema, non posso indossare più nulla.
La mia vita è finita, preso quel chilo, non posso più sostenere l'esame. Non posso baciare il mio ragazzo, non posso uscire.
Mi odio.
Perché mi sono svegliata stamane e non riesco a digiunare?
Provate ad evitare tutti gli specchi.
E le bilance.
E i fast food.
E i supermercati.
E il frigo.
E il cibo.
Provate a sentire l'adrenalina del digiuno assoluto e a sopravvivere al vuoto dello stomaco e non riuscire più nemmeno a muovere un passo dopo aver mangiato anche del cibo crudo, pur di ingoiare qualcosa.
Ogni giorno.
E ancora, e ancora, e ancora.
E perché?
Le modelle sono indubbiamente bellissime, ma non è la copertina di Cosmopolitan il vostro obbiettivo.
Ma quel riflesso, quel numero che quantifica la precisione dell'immagine che vi qualifica come persone degne o persone indegne. Nessuna morale, solo numeri.
E cercare, ogni singolo giorno, di arrivare allo zero.
Non importa se utopico, non importa se impossibile, non importa niente tranne quel riflesso che improvvisamente non vi appartiene più. Derubati della vostra identità come lo fu Mattia Pascal. E non potete mica fuggire al casinò, eh no! Dovete convivere ogni giorno con quell'incubo quale il non essere padroni della propria vita.
Incatenati a vincoli, regole, paure, paranoie, dismorfofobia.
Ecco, questi sono i disordini alimentari, non certo il voler somigliare a Kate Moss.
E non ditemi che è colpa dei media. Quando un abuso, una violenza, un trauma, un susseguirsi di infinita tortura personale ha segnato una persona, non c'è media che possa avere più valore di questo.
Non pecchiamo di superficialità, non adesso che siamo dotati di strumenti di informazione abbastanza facili da utilizzare.
E ricordiamoci anche che il disturbo alimentare è il SINTOMO, non il problema e basta.


Ilenia Romano


martedì 10 ottobre 2017

La mia ancora di salvezza


Il disturbo alimentare è come un demone che divora il tuo corpo, giorno dopo giorno, fino a spegnerti, riducendoti ad uno scheletro.
Identificarlo non è facile, soprattutto all'inizio, ma i comportamenti sono evidenti: rifiuto del cibo che poi diventa un'ossessione, mania del controllo, confronto con lo specchio e la bilancia, ricerca assoluta della perfezione...
Il disturbo alimentare per me, che l'ho provato sulla mia pelle, rappresenta il senso di vuoto, un vuoto incolmabile, un senso di dolore profondo. Molto spesso le persone giudicano e pensano che la persona che soffre non voglia mangiare per un semplice capriccio, senza soffermarsi a pensare che magari dietro ad rapido dimagrimento si può nascondere una sofferenza.
Chiedere aiuto per chi soffre di un disturbo alimentare non è per niente semplice, è un po' come sentirsi falliti. Nel mio caso, erano i miei genitori che mi spingevano a chiedere aiuto, erano terrorizzati, ma io ovviamente mi rifiutavo. Anzi, diventavo nervosa e aggressiva alla frase "ti devi fare aiutare".
Poi un giorno, quando ero al controllo dalla nutrizionista, che mi pesò, ero arrivata ad un peso molto rischioso ed in quel momento capii di quanto grave fosse la situazione. Solo a quel punto ho alzato le mani e ho chiesto aiuto. È stata lei, la mia nutrizionista che mi ha indirizzato ad andare da uno specialista, mi fissò lei la visita dallo psichiatra e devo dire che è stata la mia salvezza.
La mia famiglia non mi ha mai abbandonata, nonostante le notti in bianco che gli facevo passare dalla paura. I miei genitori hanno sempre creduto in me, mi hanno sempre preso per mano e accompagnato in questo mio duro percorso affinché io cercassi di evitare il ricovero (per grazia di Dio l'ho evitato). Per molti mesi li ho visti piangere, ho visto scritto nei loro occhi il senso di impotenza, e ho sofferto con loro perché io non avevo la certezza che il giorno dopo sarei stata ancora in vita.
Chi soffre di questo disturbo spesso si sente anche solo, e io mi sentivo sola sempre, a parte i miei genitori, non avevo nessuno, nemmeno amici. E penso non ci sia cosa più brutta, più triste, più dolorosa, più drammatica che sentirsi soli anche accanto a chi ci ama. Loro sono stati per me la mia ancora, infatti oggi ho un'ancora tatuata: è la mia ancora di salvezza.
Ho seguito per mesi un percorso di psicoterapia, faticoso. Non è per niente facile. È stressante. Visite su visite. Nessuno mi ha aiutato. Senza ombra di dubbio i farmaci hanno contribuito, ma ne sono uscita da sola con le mie forze e se ripenso a quello che ho fatto mi scendono le lacrime perché non è da tutti uscirne senza ricovero. Devo ancora sistemare delle cose per dire di aver vinto definitivamente, ma sono sulla buona strada.
Non uscivo mai di casa, la mia vita sociale so limitava ad un semplice "ciao" e quelle rare volte che uscivo, indossavo felponi per nascondere la mia magrezza o, peggio ancora, le ossa sporgenti. Stavo male e non sapevo come esternare il mio dolore perché nessuno mi poteva comprendere. Mi ricordo che scrivevo su un quaderno, scrivere era l'unico modo che mi aiutava a liberarmi, ma è una cosa che non farò mai leggere a nessuno.
Penso sia importante condividere la propria esperienza perché in primis è giusto che le persone che ti conosco sappiano quello che hai passato e come l'hai superato, e poi perché magari la tua esperienza potrà essere utile a tantissime altre ragazze. Una parola in più per una persona che soffre è importante.
Prima di iniziare a fare una dieta "fai dai te" pensateci due volte, perché perdere il controllo è un attimo. Non chiudetevi in voi stessi e non lasciatevi morire, l'anoressia è una brutta bestia. Ricordatevi che un corpo scheletrico non sarà mai felice, perché la vera felicità non si misura con le bilance o indossando una taglia 38, la felicità si misura con i sorrisi delle persone che avete intorno.

Chiara Pellicci

Il bruco con le ali


Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla”.

Sei un’anima in un corpo, non soltanto un corpo. Amalo, curalo, vestilo bene, nutrilo. Ricordati una cosa: il tuo corpo è la casa della tua anima, merita e necessita cure ed amore. Non hai paura di scoprire nuove cose, di provare, di accrescere le tue conoscenze, hai paura però dei segni sul tuo corpo, del mezzo chilo in più, di quella ruga vicino agli occhi, di quel brufolo sul mento pronto a far capolino. Il brufolo passa e i segni che ci sono rappresentano la tua storia. Abbine cura e non spaventarti di essi, nessuno li noterà se tu sarai la prima a fregartene, e se li noterà, non per forza li guarderà con occhi di critica come pensi.

Non smettere mai di credere in te stessa, mai. Solo tu hai la facoltà e la capacità di amarti e di bastarti; ma, allo stesso modo, solo tu sei in grado di annientarti e di sminuirti fino a farti sentire una nullità. Sei umano, l’imperfezione è il tuo pane quotidiano. Oltre ad essa ricorda che esiste anche il miglioramento, l’accettazione e la soddisfazione. Migliorarsi ogni giorno, accettare anche i propri limiti e le proprie pecche, cercando di renderle più sottili e di reinventarle e sii soddisfatto di dove sei ora. Certo, la strada è ancora lunga, molte volte ti senti inutile o ti pare di non aver concluso nulla nella tua vita. Non è così. Saresti falso ad affermare una cosa del genere. Il fatto che tu non abbia ancora trovato la tua strada, non implica che tu non abbia fatto o che tu non stia facendo nulla. Pensa che poco più di un anno fa avresti gestito il tutto semplicemente non gestendo nulla e abbracciando una tazza del bagno per eliminare quello che avevi ingurgitato per zittire i tuoi problemi. La strada giusta non l’hai ancora trovata, ma, come si suol dire, “tutte le strade portano a Roma”. Magari non ci arrivi in cinque ore, ma in dodici, ma ci arrivi. La bellezza che troverai sarà la stessa. Ci saranno anche delle strade senza uscita lungo il tuo percorso, delle vie interrotte, delle deviazioni, dei cantieri che lo rallenteranno. Farai delle soste lungo il tragitto perché sarai stanco e, alle volte, ti chiederai perché hai deciso di metterti in viaggio. Quando sarai arrivato a destinazione tutto sarà chiaro. L’arrivo sarà sempre seguito da un nuovo percorso e poi da un altro ancora. Riuscire a trovare un senso a quello che si fa, renderà la tua crescita ricca di senso e peserà molto meno nei momenti bui e difficoltosi.

Giada Rochetto