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giovedì 10 dicembre 2020

Genitori e figli - Laboratorio 3 dicembre 2020

 

Siamo all’inizio di dicembre, un mese molto particolare per chi soffre di un disturbo alimentare
dovuto soprattutto al carico di stimolazioni che porta con se’. Aumentano i disagi, gli scontri, le
paure, il controllo. Quest’anno poi tutto è reso più difficile per la situazione della pandemia che ha
già influito pesantemente nella routine di ognuno di noi, ancora di più su una persona che soffre di
un disturbo alimentare. Dicembre porta in primo piano i legami familiari, lo stare in famiglia, il
rapportarsi con le persone a cui sentiamo di appartenere. I sentimenti e le emozioni vengono
vissuti più intensamente e diventa fondamentale poterli esprimere, riconoscerli, condividerli.
Ancora una volta, il laboratorio vuole rimarcare l’importanza del non essere soli, del non
rinchiudersi dentro se stessi poiché tutto ciò che resta dentro di se’ alla fine si ingigantisce e
diventa un peso troppo gravoso da sostenere. Stasera si è voluto riportare l’attenzione sul proprio
essere genitori. Si è così intenti ad osservare quello che i propri figli fanno e soprattutto non fanno
che non si guarda più ciò che fa parte della propria vita. Quante volte abbiamo detto: “ mia figlia/
mio figlio non sorride più, ha gli occhi tristi, non parla più con le sue amicizie”; senza pensare che
anche noi non sorridiamo più, anche noi abbiamo gli occhi tristi, anche noi non frequentiamo più i
nostri amici. Senza riflettere poi che a sua volta i figli vedranno i loro genitori rinchiusi nella loro
espressione di non vita e sofferenza. Ovviamente chi è che gode di tutta questa situazione? Il
disturbo alimentare, che con il suo potere manipolatorio ha saputo prendere a piene mani il
controllo su tutto. Anche se è difficile, occorre però incominciare a riportare l’attenzione su noi
stessi. Questo è un argomento che i genitori faticano a interiorizzare poiché risulta innaturale
dover pensare a se stessi quando i propri figli stanno male. Ma come viene spesso detto durante i
laboratori, è importante che la famiglia ritrovi un equilibrio, una stabilità che il disturbo alimentare
è andato a distruggere. Se da una parte abbiamo figli ossessionati dal cibo, dall’ altra parte
abbiamo un padre e una madre ossessionati dalla guarigione di essi. E ci si convince che non si
può essere felici, non si può essere di nuovo una famiglia finché il disturbo alimentare è presente.
Il problema è che la guarigione diventa così uno scopo ossessivo quando invece l’obiettivo
principale dovrebbe essere il recupero della relazione genitore/ figlio, di cui poi la guarigione non è
che una sua conseguenza. Spesso si dimentica che il disturbo alimentare è una malattia mentale,
e come tale è invisibile. Ciò che salta ai nostri occhi sono i sintomi che rimanda il corpo, ma
quando questi si manifestano, la mente in realtà è già stata intrappolata da tempo dalla malattia
poiché ha agito e ancora agisce invisibilmente ai nostri occhi. Ma se ci riflettiamo, anche la
guarigione compie lo stesso percorso. Ripeto. Il disturbo alimentare è un disturbo mentale e come
tale è invisibile. Così, come non l’abbiamo visto arrivare, non lo vedremo andare via. Questo per
dire che i genitori spesso vivono sentimenti di angoscia e paura poiché non riescono a vedere i
risultati di quello che è un percorso di cura. Infatti, hanno a che fare con un qualcosa di invisibile.
Ritornando a quello detto prima, se la malattia la vediamo una volta che si manifesta nel rapporto
insano col cibo ( ma in realtà era già presente nella mente da tempo) così ci sembrerà che la
guarigione ci sarà solo quando vedremo i nostri figli riavere un rapporto sano col cibo ( ma in
realtà la guarigione era già in atto da tempo). Per questo diventa fondamentale che i genitori
possano conoscere queste dinamiche, farlo da soli è impossibile. Inoltre, non possiamo
tralasciare l’importanza della terapia, sia psicologica che nutrizionale.
Il disturbo alimentare va a minare l’identità individuale. Il terapeuta va a scalfire gradualmente
quell’involucro di pietra che imprigiona la persona. Lo fa lentamente in quanto richiede tempo e
cura. Capiamo bene che tale operazione non può essere fatta da soli, non se ne ha ne’ gli
strumenti ne’ la capacità. Ma come si fa se la propria figlia o figlio non vuole intraprendere un
percorso di cura? Qui ritorniamo al discorso di prima riguardo al fissarsi sullo scopo della
guarigione dimenticando che questa in realtà è una conseguenza. Il vero obiettivo è recuperare la
relazione con i propri figli. I genitori sono una risorsa preziosa, l’esito positivo di un percorso di
cura dipende anche dal liberare le grandi risorse insite in loro. Spesso abbiamo parlato dello
sguardo ( c’è stato addirittura un laboratorio apposito “lo sguardo che cura”). Ma anche questo
sembra essere un concetto mistico, ideale, così astratto da non essere fattibile nella realtà. Si fa
fatica a comprenderlo, si fa fatica a crederci, si fa fatica a ricordarlo. Per far sì che questo
concetto incominci lentamente a riaffiorire nella pratica, una ragazza che ha vissuto il disturbo
alimentare ha riportato nuovamente la sua diretta esperienza sul ritrovato sguardo di suo padre,
avvenuto il giorno in cui lei stessa lo ha accompagnato alla fine della sua vita, avvenuta quattro
anni fa, dopo una lunga malattia respiratoria. La comunicazione verbale era impossibile a causa
della maschera d’ossigeno indossata dal padre, ma lo sguardo che si sono scambiati in quel
lungo e ultimo pomeriggio trascorso insieme è valso più di tutte le vaghe conversazioni che si
erano scambiati in tutta la loro vita. In quel momento, tutte le parti frammentate di lei è come se si
fossero ricompattate, donandole indietro una sensazione di interezza e unione. A distanza di anni,
questo sguardo torna a ripresentarsi, soprattutto nei momenti di difficoltà, riportandole
quella sensazione di totale amore che solo un genitore può provare e rappresenta la risorsa più
preziosa in ogni percorso di cura.
Un’altra ragazza ha raccontato di aver sempre sentito l’amore dei suoi genitori nei suoi confronti
dando per scontato che la amassero in quanto lei era la loro figlia. Un giorno, presentatasi a un
incontro di gruppo, è rimasta colpita dallo sguardo di quelle persone che lei stava incontrando
per la prima volta. Queste persone non la stavano guardando come una ragazza con una diagnosi
di anoressia cronica, ma la stavano guardando come una persona che stava chiedendo di
ritornare a vivere una vita vera. Questo ha fatto nascere in lei la voglia di riscoprirsi e abbandonare
per sempre l’etichetta identitaria che la malattia le aveva cucito addosso. Ora lo sguardo dei suoi
genitori le ricorda ogni volta la tanta bellezza e luce che è insita in lei, che con tanta fatica è
riuscita a far riemergere dopo anni di malattia.
Una mamma ha raccontato il difficile momento che sta attraversando. La figlia a breve terminerà il
suo percorso residenziale e farà ritorno a casa. Il periodo del dopo ricovero è sempre delicato
d’un tratto ci si trova nella realtà familiare perdendo quel senso di protezione e contenimento che
comunque si prova all’interno di una struttura. Purtroppo le è stato comunicato che la psicologa
che ha saputo creare un bellissimo rapporto con la figlia non la potrà seguire una volta conclusosi
il percorso residenziale, nemmeno privatamente come aveva richiesto la mamma. La continuità
della cura sarà quindi affidato all’ ambito territoriale, con l’inevitabile rifiuto da parte della figlia la
quale ha difficoltà ad aprirsi e affidarsi con un nuovo professionista. La preoccupazione da parte
di questa mamma è comprensibile e lecita poiché questo rifiuto di proseguire la terapia con la
stessa psicologa potrebbe avere delle conseguenze sui risultati ottenuti fino ad ora. In queste
situazioni diviene ancora più importante non rimanere soli ma uniti, far sentire la propria voce in
coro, infatti, come è stato scritto prima, i disturbi alimentari sono disturbi mentali e quindi invisibili.
Ma la persona non è quella malattia. La persona è ben visibile, come lo è l’intera famiglia. Questi
sono i momenti in cui il laboratorio diventa un luogo di scambio costruttivo in cui diventa
essenziale non focalizzarsi su ciò che viene a mancare ma, al contrario, dirigere le forze e le
azioni verso ciò che può venirsi a creare. Certo, nessuno di noi ha una bacchetta magica, ma
ognuno di noi ha un cuore...ed è inevitabile sentirsi uno parte dell’altro.


La frase della settimana: L’OBIETTIVO NON È LA GUARIGIONE.
L’OBIETTIVO È RECUPERARE LA RELAZIONE GENITORE/ FIGLIO.


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