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domenica 25 giugno 2017

Food Photography: una forchetta per sensibilizzare sui D.C.A.

La forchetta avvolta negli spaghetti, e travolta, come in mezzo al mare in tempesta, perché in fondo è così che la persona si sente quando si è preda della malattia, si sente soffocata, sommersa, stravolta e soccombe.


S: Lo strumento della fotografia per veicolare un messaggio. Come lo usi tu? Com’è nata l’idea del progetto 'Odi et amo'?


T: "La mia fotografia ha come soggetto principale il cibo, a volte rappresentato per quello che è, molte altre volte l'alimento diventa un mezzo per veicolare un messaggio. Sulla base di questa mia personale interpretazione, ho pensato che potesse essere interessante affrontare un tema estremamente attuale, come quello dei disturbi alimentari."


S: Come mai hai scelto di rappresentare solo elementi e non figure umane?


T: "Il rapporto conflittuale col cibo e i disturbi alimentari sono stati abbondantemente trattati in ambito fotografico ma siamo abituati ad immagini forti, di persone che combattono la loro battaglia con questi problemi. Io ho preferito allontanarmi da questo genere di scatti, non amo sfruttare l'immagine di un corpo malato per sensibilizzare chi guarda, soprattutto nell'ambito di un argomento così delicato in cui spesso all'origine c'è una mancata accettazione del proprio aspetto. Quindi ho preferito che fosse il cibo a dar voce al mio progetto, immagini forse un po' meno immediate di quelle di solito usate, ma che spero stimolino comunque la riflessione."


S: "C’è un criterio specifico con cui hai selezionato i cibi e gli elementi fotografati? La forchetta è un elemento protagonista che ricorre costantemente nei tuoi scatti, che significato ha per te?"


T: "Quando è nato il progetto, l'ho ideato seguendo le "regole" dei portfoli fotografici in cui, oltre a sviluppare un tema, si deve avere un filo conduttore che colleghi un'immagine all'altra, uniformando per esempio anche il punto di ripresa, il background in tutte le foto. Quindi c'è un soggetto, la forchetta, che sostituisce qualunque elemento umano (ma che poi è il tramite per arrivare al cibo, quindi mi sembrava il soggetto migliore) e che di volta in volta si trova legato, incatenato, attratto ma frenato, travolto, in balia delle emozioni e quindi impossibilitato a raggiungere il cibo, oppure libero ma ostacolato da altri elementi che alla fine non le permettono comunque di raggiungere l'oggetto del "desiderio", il cibo. Come in tutti i racconti, il progetto ha un inizio ed una fine, nel mezzo si sviluppa. Perciò la prima immagine introduce il resto con un cervello legato, perché la malattia parte da lì, da paure generate dalla propria mente, la razionalità che soccombe. E termina con un cuore racchiuso perché il desiderio di affrancarsi c'è, ma è sempre soffocato da un circolo vizioso difficile da spezzare da soli."


S: Mente e cuore, i due soggetti che incorniciano il tuo progetto, aprendolo e chiudendolo. Che cosa rappresentano per te? Se messi in relazione con il disturbo alimentare, che riflessioni ti suscitano?

T: "Il racconto ha un inizio ed una fine, ma in realtà questo progetto secondo me non ha un termine, o meglio, lo vedo più come una rappresentazione circolare, nel senso che mente e cuore sono gli estremi della sequenza ma potrebbero tranquillamente scambiarsi di posto perché sono l'origine e la fine del problema, razionalità e desiderio, ma sono elementi limitati, uno legato all'altro, impacchettato, e nessuno dei due riesce ad affrancarsi."
 
 
Attrazione  e resistenza


S: La calamita che attrae la forchetta credo esemplifichi in maniera molto chiara l'opposizione tra attrazione e desiderio di cibo (quindi di amore, di tutto ciò che è mancanza) e forza della malattia che ti trattiene, ti spinge in direzione opposta; proprio quel 'tiro alla fune' a cui si accennava nell'introduzione al tuo progetto. Com'è nata l'idea di questo scatto?

T: "Il messaggio che voleva veicolare la foto è il nocciolo del progetto: c'è la forza di attrazione, una pulsione verso il cibo, ma al contempo la solita resistenza da parte del soggetto, un continuo tiro alla fune che però non si sposta mai verso destra o verso sinistra, resta tutto lì, la volontà frenata, fossilizzata nel tempo. Io spesso ragiono per associazioni e quando ho visto questo biscotto a ferro di cavallo mi è sembrata una calamita e da lì si è sviluppato il concetto di attrazione/resistenza."

 

"Still Food" | fotografie di cibo tra animato e inanimato

S: Nei disturbi alimentari il cibo è il mezzo attraverso cui manifestare il proprio disagio interiore. Nelle tue foto il cibo è il mezzo attraverso cui trasmettere un messaggio, dei contenuti più profondi che vanno ben oltre la semplice rappresentazione. Il cibo non è solo cibo per chi è malato, così come il cibo non è solo cibo per l'artista che lo ritrae in foto. In tutto questo c'è un collegamento alla tua passione per la Food Photography?


T: "La mia passione per la Food Photography è partita con scatti normali, tradizionali, poi ho pensato che anche un soggetto così particolare e ben contestualizzato come il cibo, in realtà poteva essere utilizzato diversamente, con un po' di creatività ed immaginazione. E' diventato a volte portavoce dei miei stati d'animo, altre volte veicolo per un messaggio in quello che io ho ribattezzato "still food". A parte la mia reticenza a scrivere, credo che l'immagine parli da sola, a volte magari serve una piccola spinta per arrivare al messaggio ma penso che in questo caso, essendo tutte accomunate dallo stesso soggetto ed argomento, possano già da sole invitare alla riflessione. E la maggior parte delle volte le emozioni suscitate vanno ben oltre le parole, anzi spesso le parole sminuiscono quello che la foto suscita, emozioni peraltro personalissime e soggettive."

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Intervista di Sandra a Tatiana Mura, ideatrice e realizzatrice del progetto 'Odi et amo'.






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