“Il contrario di 'dipendenza’ è ‘connessione’ [umana]” - Johann Hari
Questa è la storia sulla conquista dell’amore verso me stessa.
Ho impiegato tempo per acquisire la sicurezza e le forza per raccontare apertamente dello stigma dei disturbi del comportamento alimentare. C'è molta strada da percorrere per sensibilizzare l’opinione pubblica e far comprendere l’insidiosa ma ampia presenza di tale problematica intorno a noi.
Oggi, sento di aver raggiunto quel traguardo che mi permette di parlare sinceramente della mia esperienza, non solo perché mi reputo fortunata nell’aver combattuto e superato il nemico del disturbo alimentare, ma soprattutto nel momento in cui ho maturato un processo di profonda comprensione e forte crescita interiore. La nostra società è circondata da persone che, nonostante siano definite normo-peso, si ritrovano a contrastare lo stesso problema. Dal mio punto di vista, il motivo per il quale questo fenomeno è ancora non profondamente compreso risiede nel modo, inappropriato, in cui esso è stato affrontato e discusso finora – i DCA sono ampiamente presenti nel contesto della nostra vita e delle nostre relazioni; l’ossessione verso il cibo o la forma fisica nascondono spesso un qualcosa di molto più interiore.
Nonostante il mio aspetto esteriore mostrasse una buona forma fisica e fosse caratterizzato da un brillante sorriso – questo mascherava un radicato senso di inadeguatezza, che unito alla auto- convinzione di essere ritenuta un “peso” per le altre persone, aveva generato un pericoloso circolo vizioso. In realtà, tutto ciò di cui avevo più bisogno erano comprensione, sostegno e realizzare che, in quanto esseri umani, tutti (compresa me stessa) siamo meravigliosamente imperfetti.
Affrontare la mia realtà non è stato per nulla semplice. All’epoca, infatti, non ero sufficientemente pronta per riconoscere ed ammettere a me stessa che, di fatto, c’era qualcosa radicato interiormente che si manifestava attraverso un rapporto disfunzionale con il cibo. Oggettivamente, ero circondata da campanelli di allarme che quotidianamente manifestavano un malessere (giornate con dolorose fitte allo stomaco, scuse per evitare occasioni sociali, insoddisfazione – fondamentalmente, non ero in alcun modo la persona che sapevo di poter essere e che desideravo fortemente essere). Solo quando la verità mi fu onestamente comunicata da parte della mia nutrizionista, era giunto il momento in cui capii che nascondermi non era più possibile. Ammetto che la presa di coscienza di essere un soggetto con dei problemi relativi ai disturbi alimentari non è stata assolutamente indolore – le lacrime sono state automatiche ed inevitabili – ciononostante, quel briciolo di determinazione che era ancora in me mi ha spinta ad impegnarmi ad intraprendere il lungo percorso di ripresa.
Ad oggi, sento di identificare i fattori che mi hanno accompagnata nel processo di guarigione, che ha comportato tempo, pazienza e ha richiesto la multi-presenza e compartecipazione di:
• Auto-impegno: il cammino è lungo, il processo è non lineare e avvolto da alti e bassi emotivi; spettava a me trovare la forza di decidere se persistere o meno;
• Supporto terapeutico: il coinvolgimento di una professionista è stato cruciale nel momento in cui i DCA sono sintomi che celano disfunzioni emotive. Il rapporto con la terapia non richiede alcun ingrediente segreto – più si è disposti a mettere in ballo sé stessi, più si raggiungono risultati mirati e risolutivi – si tratta di mettersi a nudo e di affidarsi al supporto offerto da un alleato.
• Senso di non familiarità con la fase che si sta attraversando – pertanto, ho sentito di dovermi abbandonare, capire che era necessario avere almeno una “valvola di sfogo” - il supporto e la fiducia da parte di un gruppo ristretto di persone (nel mio caso, la mamma e pochissime amiche),
con il quale mi ero coraggiosamente ripromessa di essere sincera; per me, era necessario sapere di poter avere qualcuno con cui parlare e che fosse presente anche solo per ascoltarmi. Senza alcun dubbio, non potevo pretendere, ed era chiaro per me, che tutto quello che vivevo internamente, tutto ciò che provavo nel corso dell’intenso e complesso processo di recupero, non poteva essere ugualmente sentito dalle persone che mi erano vicine, ma credo tuttora che sia stato fondamentale condividere con loro parte di ciò che era in fase di elaborazione.
• L’ardente voglia di cibo non ha nulla a che vedere con l’essenziale sensazione di fame e necessità di nutrimento, quello che cercavo di riempire attraverso il cibo era la mancanza di un qualcosa molto più radicale – l’Amore. Non mi rendevo conto di quanto fossi circondata da amore e affetto, ma inspiegabilmente, rifiutavo il bene che gli altri erano naturalmente disposti ad offrirmi e dimostrarmi – tutto questo poiché ero totalmente convinta che io non meritassi tutto quel bene (di certo, tutto questo era ciò che era maturato e consolidato nella mia mente).
Non c’era alcuno sbaglio, alcuna colpa in me che mi autorizzasse a non essere meritevole di Amore, se non un unico motivo: non ero perfetta.
La perfezione, secondo la mia forma mentis dell’epoca, era un must assolutamente raggiungibile, il cui traguardo era possibile nascondendo le mie debolezze e paure, gli attimi di vulnerabilità e tristezza – di conseguenza, l’arma con cui combattevo questo tipo di fragilità era silenziandole, nonostante il loro rumore dentro di me fosse assordante. Il soffocamento di tali emozioni, ben presenti in me, determinava la mia incapacità di ascoltarle e comprenderle per imparare a saperle gestire costruttivamente – l’unica soluzione di cui disponevo sfociava nell’assecondare queste sensazioni sfamandole…il cibo, d’altro canto, non sarebbe stato in grado di giudicare la mia imperfezione.
Il raggiungimento di queste consapevolezze e tale elaborazione sono stati fenomeni non immediati. Mi rendo conto che possa sembrare strano agli occhi dei più, ma per una persona come me, guidata e devota solo ed esclusivamente alla logica dell’emisfero sinistro del cervello, scoprire, accettare ed accogliere la scoperta che le emozioni sono essenziali e strumentali a farci capire come muoverci nel mondo può essere definita illuminante: questa verità mi avrebbe concesso la capacità di essere me stessa – imperfezioni incluse e al di là di quella “scatola” che ci costruiscono attorno (le scuole, i genitori, gli altri).
La mia forma mentis, nutrita con le informazioni raccolte nel corso del lungo processo e, al tempo stesso, fertile per accogliere un punto di vista ampliato, ha cominciato gradualmente a sprigionarsi. Ad oggi, posso affermare che tutto ciò, nonostante le inevitabili difficoltà, sia il più grande e inestimabile regalo che mi sia mai concessa!
Ho imparato a vivere le emozioni, a lasciar andare le sensazioni, a condividere i miei pensieri e stati d’animo.
Inizialmente, decidere di lasciarmi andare ha richiesto una buona dose di coraggio, ma ora posso sinceramente affermare di sentirmi completamente appagata per gli sforzi fatti: aprire il mio cuore si è rivelato un atto profondamente liberatorio. Ho iniziato a sentirmi naturalmente più sicura di me stessa, vitale e radiosa. La fiducia costruita nell’essere sincera verso me stessa ha innescato un meccanismo di “osmosi empatica” – mostrare le mie vulnerabilità e le mie imperfezioni, mi fa apparire più umana agli occhi degli altri e, quindi, più compresa; più mi lascio andare al flusso delle emozioni, più percepisco di essere circondata da quelle persone veramente e sinceramente connesse a me…splendidi esseri umani, come me.
Nel momento in cui ho deciso di affrontare il mio problema con il cibo ed aprirmi alle mie vulnerabilità con un mindset rinnovato, ampliato e con l’assenza di giudizio ho conseguentemente avvertito un senso di libertà arricchito – ho imparato a ridimensionare gli errori e dare ad essi un valore costruttivo, per poi considerare ed intraprendere scelte impopolari ma guidate dal cuore.
A seguito del mio percorso, credo profondamente che “nel momento in cui ciascuno di noi decide di aprirsi e confrontarsi con il mondo, necessariamente il mondo si apre a noi e per noi” – sostengo, quindi, che sia giunto il momento di aprire i nostri occhi ed educare le nostre menti, in modo adeguato ed appropriato, verso lo stigma dei DCA. Tutto ciò che ci aspetta, in cambio, è una rilevante e incalcolabile dose di Amore pronto a ricevere ed essere condiviso.
Serena
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