Intervista a Roberta M.
Puoi spiegarci,
con parole tue, cos'è l'anginofobia?
L'anginofobia è la paura di soffocare ed è assimilabile al
"nodo alla gola" che una persona sente quando sta per piangere, quando
prova tanta ansia, oppure quando le si chiude lo stomaco o non ha fame perché è
stressata.
In realtà, è un disturbo
dell'alimentazione atipico, perché va a rovinare il rapporto che la persona
ha con il cibo. E' una paura che deriva da un trauma passato (es. essersi
soffocato, andare di traverso il cibo), subito in un periodo in cui la persona era
particolarmente debole o vulnerabile (ha sofferto un lutto o attraversa un
periodo di forte stress).
Come sei venuta a
conoscenza di questa fobia?
Venirne a conoscenza è difficile: se una persona non
arriva alla fase "climax" di questa fobia, in cui è fortemente
depressa e allora cerca qualsiasi via d'uscita, o se non ha se questa forza di
volontà nell'ammettere di avere un problema e di dover cercare aiuto, allora
non potrà mai uscirne.
Io ne sono venuta a conoscenza perché mi sono documentata
su internet. Ora ho 23 anni, ma ho cominciato a soffrire di anginofobia quando
avevo circa 13-14 anni, ed ho provato a scrivere su internet solo quando avevo
19-20 anni, perché proprio non ce la facevo più.
Su internet ci sono veramente poche pagine dedicate a
questa fobia, però fortunatamente ci sono. In più poi, ho scoperto anche un
gruppo Facebook di auto-mutuo-aiuto ("Anginofobia"), in cui ho
trovato altre persone che soffrivano del mio stesso problema.
Ci sono dei
soggetti prevalentemente colpiti o maggiormente predisposti a soffrire di
questa fobia?
A soffrirne sono prevalentemente i giovani ma,
soprattutto, i bambini, anche a 7-8 anni.
Infatti nel gruppo Facebook ci sono molte mamme che chiedono aiuto, perché il
loro bambino non mangia più, perché ha questo problema. Magari il loro bambino
ha avuto un trauma del genere e non metabolizza subito che sta associando al
cibo una fobia, e poi questa cosa può andare ad evolversi con l'età, tutto
dipende da quando si vive e si sperimenta il trauma.
Esistono delle
cause prevalenti per cui questo disturbo si può manifestare?
La causa per cui questo disturbo si può manifestare,
almeno per quanto riguarda la mia esperienza, deriva dal fatto che in alcuni
momenti della vita si attraversano fasi difficili. Nel mio caso si è trattato
della perdita di mio zio: in quel periodo ero molto debole e nel momento in cui
ho avuto un'esperienza negativa con il cibo, si è manifestata questa fobia.
Questa fobia si sviluppa proprio nella persona che è triste, depressa,
stressata e particolarmente debole. E, in realtà, porta la persona ad
indebolirsi ancora di più, perché con il passare del tempo non mangerà più, tenderà a discriminare i cibi, a
catalogarli nella sua mente, con cibi più fobici e meno fobici, e arriverà a
mangiare solo zuppe o cibi molto facili da deglutire (passato di legumi,
verdure) e cercherà di evitare carne, pasta, pesce. Io quando stavo proprio
male sono arrivata a perdere 7-8
kg.
Che relazione
c'è, secondo te, tra anginofobia e disturbi alimentari? In che modo l'uno può
influenzare, ed eventualmente aggravare, l'altro?
La relazione tra anginofobia e disturbi alimentari sta
proprio nel rapporto che si crea tra la persona e il cibo, perché un
anginofobico evita quasi ogni tipo di
cibo, tende a volersi difendere dal cibo, non mangiando più o mangiando solo
cibi che per lui non portano al soffocamento. Questa fobia porta la mente a distorcere l'immagine del
cibo, a vederlo come un nemico, come qualcosa che può portare addirittura
alla morte.
Come si cura
l'anginofobia?
L'anginofobia si cura con un percorso con uno psicologo e uno psichiatra. Lo psicologo riesce a
capire il momento in cui tu sei stata vulnerabile e che ti ha portato ad essere
debole, e quindi a far prevalere la fobia su di te. Lo psichiatra da' la giusta
cura farmacologica, prescrivendo un farmaco ansiolitico e/o antidepressivo.
Quando si manifesta questa fobia, il soggetto non la
riconosce subito, quindi si sente di chiedere aiuto solo quando raggiunge un
livello troppo alto di ansia. Il farmaco serve, appunto, a ridurre l'ansia che
provoca questa fobia, per fare in modo che la persona sia più lucida e cerchi
di associare un pensiero più positivo al cibo.
Nel mio caso, il farmaco è stato capace di ridurre l'ansia
che io provavo ogni volta che mi sedevo a tavola, a colazione, pranzo, cena,
merenda, o quando vedevo il cibo, e a fare in modo che piano piano io
riacquistassi fiducia nei confronti del cibo e ricominciassi a mangiare. E'
stato come con la tachipirina: quando hai la febbre troppo alta, prendi la
tachipirina per farla abbassare.
Io andavo anche da
una nutrizionista, con cui ho creato una
scala dei cibi per me fobici. Teneva sotto controllo sia cibo che corpo,
controllando anche il mio peso e il mio livello di idratazione. Molto
frequentemente mi faceva fare anche le analisi del sangue per capire cosa la
mia alimentazione scorretta poteva avere danneggiato nel mio corpo (es. carenze
di ferro, legate al fatto che non mangiavo più né carne né pesce).
E tu, come ne sei
uscita? Come hai superato la tua fobia? Che cosa o chi ti è stato di aiuto per
venirne fuori?
"Esserne usciti" è un parolone. Ho smesso di
prendere il farmaco un anno fa, quando ho interrotto anche il percorso di cura
che ho intrapreso, perché mi sono trasferita a Milano. Comunque il mio rapporto
con il cibo era migliorato molto, avevo ripreso a mangiare tutto. In realtà,
però, circa due settimane fa mi è ricomparsa questa fobia, perché sto
attraversando un periodo di stress. Posso dire che se ne esce, però si può
anche ricadere in questa fobia.
Nel centro in cui ero andata era a Messina (Il Cerchio
D'Oro, che si occupa di DCA in generale, e che collabora con l'Associazione Korakané) ho fatto un percorso completamente gratuito. E' stato un bene trovare
lì delle persone formate e competenti, anche se al sud c'è ancora tanta
disinformazione su queste malattie. Lì ho avuto la possibilità di fare anche
diverse lezioni di yoga, soprattutto per la respirazione, su cui riversa molto
spesso l'ansia; infatti ogni volta che mi sedevo a mangiare avevo la
tachicardia e facevo fatica a respirare. Inoltre, l'anginofobico molto spesso
cerca di controllare la deglutizione e a volte, per focalizzarsi sulla
deglutizione, si distrae dalla respirazione, facendo pochi sospiri o
trattenendo addirittura il respiro. A me è capitato di provare a vomitare,
perché pensavo di avere delle cose in gola, o ad alzarmi da tavola e non
concludere il pasto.
Si può superare
da soli?
Non si può superare da soli, perché nel momento in cui ne
soffri non la riconosci, perché non sai veramente che un problema del genere
può esistere. Quando io l'avevo da piccola, non ero consapevole di poter associare un nome a quelle sensazioni che
stavo vivendo o a quel disturbo che mi portava a soffrire, inconsciamente.
Se a quell'età avessi saputo che si chiamava anginofobia e mi fossi rivolta ad
un medico riferendogli di soffrire di questo problema, sono sicura che ne sarei
uscita prima e anche con meno danni. Quando l'ansia è tanta, non riesci proprio
a controllarla e questa fobia ti porta a deprimerti molto, a fare tanti
pensieri negativi sul tuo futuro (es. pensare che non potrai uscire con i tuoi
amici o andare in vacanza con loro perché prima o poi si vedrebbe che tu non
mangi o che mangi solo passati di verdure, oppure che non potrai avere figli,
perché se non mangi, non li potrai portare in grembo). Di conseguenza, ti isoli
e ti deprimi. Una volta entrati in quella fase, poterne uscire da soli è
davvero difficile, perché solo il confronto con un medico potrà farti capire
che cosa è irreale della tua fobia.
Ti ricordi un
episodio particolare o un aneddoto, relativamente alla tua esperienza, che ti
farebbe piacere raccontarci?
E' l'episodio in cui mi sono resa conto di aver raggiunto
il limite di sopportazione di questa fobia. Stavo mangiando la pizza e ad un
tratto ho sentito un pezzo incastrato in gola, ma in realtà non era così,
sentivo di non respirare, avevo provato a vomitare, ero così spaventata che ho
deciso di andare all'ospedale e di farmi vedere da un medico, alle 11 di sera.
Il medico non trovò nulla e tornai a casa, anche un po' imbarazzata.
Per quanto questa
malattia distrugga dentro, mi ha anche dato la possibilità di conoscere nuove
persone e farmi capire che è difficile mettersi nei panni delle altre persone; l'ho visto con le persone a me
care. Però è anche vero che questo a volte é meglio non farlo, cioè
semplicemente accettare la realtà così come è, senza giudicare. Per esempio,
magari io non capirò mai un'anoressica o una bulimica, però so che loro stanno
soffrendo, quindi cerco di portare rispetto per quello che stanno passando
senza fare paragoni.