Una mattina la ricetta era pronta, Petra decise di perdere peso, non poteva più essere schiacciata da quel piombo e non aveva più intenzione di essere passiva. Decise, senza troppe paure o ritrosie, che smettere di mangiare potesse essere la via giusta, aveva già iniziato da mesi a regolare il cibo ed era stato facile, aveva perso qualche chilo, ma qualche chilo di corpo equivaleva a tonnellate di piombo, le dava un forte senso di potere. Così iniziò la discesa, così Petra decise di smettere di vivere.
La cosa, per Petra, fu più facile del previsto, in effetti sarebbe un falso storico, raccontare che perdere peso richiese la stessa fatica di studiare, o di allenarsi, o di combattere la solitudine. Perdeva chili senza sforzarsi troppo, ed otteneva quello che aveva sempre voluto, sentir sparire il piombo e muoversi leggera come le farfalle. Un altro beneficio del calare di peso era sentirsi forte, ogni volta che qualcuno sottolineava il dimagrimento, si sentiva onnipotente e quando la bilancia certificava che quanto detto dagli altri era la pura verità, sentiva salire dallo stomaco un brivido di energia.
Ma ciò che più le faceva credere di aver indovinato la strategia giusta, era l’anestesia, più calava meno sentiva, il suo tempo era talmente tanto investito nel contare e smaltirle le calorie, che era sparito Sergio [il nonno], l’esame di stato, gli abbandoni e tutto quello che l’aveva piegata per anni. Non aveva nemmeno la necessità di continuare ad indurirsi tanto non provava dolore. Il piombo ogni tanto bussava sul cuore ma lei non lo ascoltava più.
Petra aveva iniziato l'università e raggiungeva la perfezione, ogni esame era una vittoria, un bottino che lei sentiva come riscossa per come era stata trattata da quella professoressa di lettere, era un “hai visto!!!” per Ivo, una dimostrazione per i genitori e un punto in più contro il piombo.
Tutto questo, però, non poteva durare a lungo, quando si scherza con il piombo bisogna sapere che lui non perde le partite senza lottare, che fa finta di sparire per poi attaccare di sorpresa. Il piombo e’ uno stratega, temporeggia, sa aspettare e poi sferza attacchi violenti. Continuare a perdere peso richiedeva una dedizione senza momenti di distrazione, scegliere gli alimenti da eliminare, fare attività fisica senza ascoltare la stanchezza e riuscire in tutto questo senza che nessuno se ne accorgesse. La preoccupazione delle persone poteva essere un serio problema, sia perché Petra non voleva pesare su nessuno, sia perché se si fossero accorti di quello che stava facendo avrebbero potuto metterle i bastoni tra le ruote. Smettere di mangiare era una professione, avrebbero dovuto darle uno stipendio, è un lavoro a tutti gli effetti, non ci sono domeniche tanto meno festività.
La vita di Petra diventava ogni giorno più pesante, eppure aveva iniziato per divenire leggera, cosa era accaduto ad un certo punto? Dove aveva sbagliato? Le persone più vicine a lei facevano domande, i genitori sapevano esattamente cosa stesse accadendo, e poi lui, Marco, la persona che più di tutti risentiva della ricerca di leggerezza di Petra. Non si concedeva sgarri, mai un gelato (quanto le piaceva), una cena fuori, un peccato di gola. Dentro a queste regole doveva stare anche Marco, le voleva così bene che faceva solo timidi tentativi di ribellione. Inoltre, questa vita lo legava sempre più a lui, era l’unica persona che Petra teneva vicina, l’unica con la quale si confidava. Una prigione a tutti gli effetti, aveva preso il piombo lo aveva modellato e lo aveva trasformato in una gabbia. Smettere di mangiare aveva avuto solo la funzione di spostare il piombo da dentro a fuori, nulla più. La vita aveva perso il colore, era tutto grigio, lei era diventata un automa con un programma identico ogni santo giorno: svegliarsi, fare colazione, iniziare a pensare a cosa non mangiare per pranzo, quanta attività fisica fare, iniziare a pensare a come dribblare la cena. In tutto questo studiava e dava esami, ma erano una passeggiata rispetto a quanta fatica faceva per vivere, o meglio sopravvivere.
Se malauguratamente, qualcosa rompeva questo schema, una cena a cui non poteva mancare, una festa, la domenica con la palestra chiusa, la giornata diventava un incubo e Petra
doveva irremovibilmente smaltire a costo di andare a camminare col gelo e con la pioggia. Non sapeva smettere, era una droga, la bilancia era diventata amica o nemica a seconda di quello che scriveva sul display.
Quanto c'era voluto per arrivare a questo livello? Un anno circa, aveva semplicemente tolto un alimento e poi un altro ed un altro ancora, aveva ristretto i pasti a piccoli spuntini e aveva aumentato la palestra (...) ma era comunque costantemente in angoscia.
A proposito della solitudine, quel vuoto che da sempre aveva accompagnato le sue giornate si era riempito. Aveva Marco ed aveva tutto quel da fare per non prendere neanche un etto. Chi si sentirebbe solo in una vita così piena? Lei, lei era sola come mai, sola nella sua follia, sola perché aveva fatto il vuoto intorno a sé. Non si sentiva capita da nessuno, ad eccezione di qualche ragazza che incontrava in palestra, nelle sue stesse condizioni. Le riconosceva al primo sguardo, erano magre ma non era quello l’elemento distintivo, era lo sguardo vuoto, criceti che correvano sui tapis rotu- lant senza un minimo segnale di divertimento, ombre che si muovevano silenziose. Se le trovava in giro per il mondo le riconosceva dalle forme, dai vestiti forzatamente larghi, se invece le incontrava ad un tavolino vedeva rituali a lei familiari. Piatti mangiati a metà, selezione di alimenti leggeri, cotture senza olio, sguardi tristi davanti al cibo che ormai non aveva nessun sapore.
La vita aveva un solo colore, come detto prima, il grigio. Il colore plumbeo della tristezza e della perduta libertà. Il piombo aveva invaso l’arcobaleno e lo aveva ridotto a una tinta monotona…come le fotografie in bianco e nero.
Marco studiava medicina, voleva diventare un dottore, ma non aveva ancora deciso la specializzazione. Lui, il primo ad iniziare a capire, il primo a guardare le ossa di Petra in evidenza ed il primo a dare un nome a quello stato. Un nome che (…) è come una scatola dove vengono rinchiuse mille cose simili ma nessuna uguale all’altra.
Petra non era una categoria di malattia, Petra si era ammalata per colpa del piombo.
“Petra, come ti posso aiutare?… Petra smettila per favore, ti farai del male… Petra le tue ossa, abbiamo studiato oggi che una delle conseguenze della cattiva alimentazione e’ l’osteoporosi… Petra prima o poi ti andrà via il ciclo mestruale”, queste alcune delle cose che Marco tentava di dire a Petra. Lei lo ascoltava, lo guardava triste, ma non registrava mezza parola di quelle che Marco provava a farle capire.
Senza tirarla troppo oltre, Petra si era ammalata di grigio e piombo, aveva perso tanto peso corporeo ed acquistato leggerezza, ma la vita la schiacciava più di prima, non aveva che peggiorato la situazione, adesso era un piccolo piombo attaccato ad una lenza da pesca che dondolava nella vita.
Ovviamente l'università non risentiva di tutto questo, in tre anni esatti aveva la laurea in mano con il massimo dei voti. Si era presentata in sede di tesi con un punteggio tale, da permettersi di scrivere un lavoro non tanto gradito alla commissione, ma nel quale lei aveva messo tutta se stessa. Era il suo unico campo di ribellione quello, nessuno avrebbe mai più potuto rovesciarle addosso tonnellate di metallo solo con un voto.
Una volta laureata iniziò subito a lavorare e richiese un ti- rocinio volontario in un reparto ospedaliero, Petra era diventata una che insegna le parole. Lei che nei suoi anni ne aveva avute così poche per parlare di sé, aveva scelto di ridare la parola a chi l’aveva perduta, od a chi non aveva imparato correttamente ad usarla. Si impegnava tantissimo in questa
professione, e riusciva a tenere fuori dalla stanza di terapia la sua realtà, era malata sì, ma non quando lavorava. Era sicura, decisa.
Tutto il carattere che non aveva nella vita lo tirava fuori nel lavoro, prendeva decisioni e non temeva nessun medico con il quale si trovava a collaborare. Si sentiva forte perché quella scelta professionale era una delle poche cose che aveva fatto tutta da sola e ne conseguiva un forte senso di maturità. Forse si legava un po' troppo con i pazienti, ma in fondo ciò che distingue un computer da una persona è l’umanità e negli anni a venire avrebbe mantenuto tale convinzione salda dentro di sè, anche oggi.
Tolta, però, l’isola del lavoro, in tutto e per tutto era ormai dipendente dall’esterno dai suoi genitori, da Marco, dal controllo, dalla palestra e sopratutto dal mangiare che rifiutava ma intorno al quale ruotava tutta la sua vita. Era ormai leggera come una farfalla ma aveva uno spazio talmente tanto piccolo che non riusciva nemmeno ad aprirle le ali, figurarsi se poteva volare.
Gli anni passavano e dai 18 arrivò ai 25 in un baleno, non aveva mai raggiunto un peso talmente tanto basso da essere presa per i capelli, non aveva mai avuto episodi che avessero portato alla luce la verità, che in realtà tutti sapevano, si era ammalata in modo discreto. Anche nella malattia non era stata decisa davvero, ma per assurdo era stata la cosa peggiore, perché per anni aveva inflitto al suo corpo torture senza che nessuno potesse fare qualcosa per fermarla, a parte alcuni inutili tentativi della madre e di Marco. (...)
Un giorno la rabbia spaccò gli argini ed emerse in tutta la furia possibile. Era indemoniata, il suo cor - po scheletrico traboccava di dolore e di spasmi. "Una crisi di nervi! " disse la dottoressa, consigliando di darle qualche "goccia per calmarsi". Le prese quelle gocce, ne prese tante, si calmò tanto da restare come uno zombie sul divano due giorni, si alzava per andare in bagno e barcollava, le cadevano le lacrime in modo silenzioso ed il tempo si era sospeso. La mentre di Petra era entrata in una bolla, vedeva il mondo in modo sfuocato, sentiva le voci ma non le ascoltava. Era sola, finalmente sola. Si misurò con il piombo e lo accolse, capì che solo attraverso l'accettare quello che lei era poteva risollevarsi. Per alleggerirsi aveva la necessità di farsi dei
muscoli, imparare a sollevare il peso e come un lanciatore scagliarlo lontano da lei.
Non si cambiano i dolori interiori, partendo dal cambiare l'esterno, non si cambiano gli effetti per modificare le cause. Partire dalle colpe non serve per pacificarsi con i colpevoli, soprattutto se le più grandi responsabilità sono della propria indole. Non era Sergio con la sua morte ad averla abbandonata, non era Dona che aveva smesso di tenerla per mano, né l'esame di stato ad averla ridotta ad un robot, era lei che era nata con quel bagaglio da alleggerire, aveva semplicemente bisogno di ripercorrere la propria storia e passo per passo comprendere dove e come quel piombo avesse preso forza ed un chilo alla volta lasciarlo andare.
Petra su quel divano e piena di calmanti decise che era arrivato il momento di smettere di soffrire…
Diletta
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Estratto dal racconto "La leggerezza del piombo", disponibile in versione integrale al seguente link.