S: Lo strumento della fotografia per veicolare un messaggio.
Come lo usi tu? Com’è nata l’idea del progetto 'Odi et amo'?
T:
"La mia fotografia ha come soggetto principale il cibo, a volte
rappresentato per quello che è, molte altre volte l'alimento diventa un mezzo
per veicolare un messaggio. Sulla base di questa mia personale interpretazione,
ho pensato che potesse essere interessante affrontare un tema estremamente
attuale, come quello dei disturbi alimentari."
S: Come mai hai scelto di rappresentare solo elementi e non
figure umane?
T: "Il rapporto conflittuale col cibo e i disturbi alimentari sono stati
abbondantemente trattati in ambito fotografico ma siamo abituati ad immagini
forti, di persone che combattono la loro battaglia con questi problemi. Io ho
preferito allontanarmi da questo genere di scatti, non amo sfruttare
l'immagine di un corpo malato per sensibilizzare chi guarda, soprattutto
nell'ambito di un argomento così delicato in cui spesso all'origine c'è una
mancata accettazione del proprio aspetto. Quindi ho preferito che fosse il
cibo a dar voce al mio progetto, immagini forse un po' meno immediate di quelle
di solito usate, ma che spero stimolino comunque la riflessione."
S: "C’è un criterio specifico con cui hai selezionato i cibi e
gli elementi fotografati? La forchetta è un elemento protagonista che ricorre
costantemente nei tuoi scatti, che significato ha per te?"
T:
"Quando è nato il progetto, l'ho ideato seguendo le "regole" dei
portfoli fotografici in cui, oltre a sviluppare un tema, si deve avere un filo
conduttore che colleghi un'immagine all'altra, uniformando per esempio anche il
punto di ripresa, il background in tutte le foto. Quindi c'è un soggetto, la
forchetta, che sostituisce qualunque elemento umano (ma che poi è il tramite
per arrivare al cibo, quindi mi sembrava il soggetto migliore) e che di volta
in volta si trova legato, incatenato, attratto ma frenato, travolto, in balia
delle emozioni e quindi impossibilitato a raggiungere il cibo, oppure libero ma
ostacolato da altri elementi che alla fine non le permettono comunque di
raggiungere l'oggetto del "desiderio", il cibo. Come in tutti i
racconti, il progetto ha un inizio ed una fine, nel mezzo si sviluppa. Perciò la
prima immagine introduce il resto con un cervello legato, perché la malattia
parte da lì, da paure generate dalla propria mente, la razionalità che
soccombe. E termina con un cuore racchiuso perché il desiderio di affrancarsi
c'è, ma è sempre soffocato da un circolo vizioso difficile da spezzare da soli."
S: Mente e cuore, i due soggetti che incorniciano il tuo
progetto, aprendolo e chiudendolo. Che cosa rappresentano per te? Se messi in
relazione con il disturbo alimentare, che riflessioni ti suscitano?
T: "Il racconto ha un
inizio ed una fine, ma in realtà questo progetto secondo me non ha un termine,
o meglio, lo vedo più come una rappresentazione circolare, nel senso che mente
e cuore sono gli estremi della sequenza ma potrebbero tranquillamente
scambiarsi di posto perché sono l'origine e la fine del problema,
razionalità e desiderio, ma sono elementi limitati, uno legato all'altro,
impacchettato, e nessuno dei due riesce ad affrancarsi."
S: La calamita che attrae la forchetta credo esemplifichi in
maniera molto chiara l'opposizione tra attrazione e desiderio di cibo (quindi
di amore, di tutto ciò che è mancanza) e forza della malattia che ti trattiene,
ti spinge in direzione opposta; proprio quel 'tiro alla fune' a cui si
accennava nell'introduzione al tuo progetto. Com'è nata l'idea di questo
scatto?
T:
"Il messaggio che voleva veicolare la foto è il nocciolo del progetto: c'è
la forza di attrazione, una pulsione verso il cibo, ma al contempo la solita
resistenza da parte del soggetto, un continuo tiro alla fune che però non
si sposta mai verso destra o verso sinistra, resta tutto lì, la volontà
frenata, fossilizzata nel tempo. Io spesso ragiono per associazioni e
quando ho visto questo biscotto a ferro di cavallo mi è sembrata una calamita e
da lì si è sviluppato il concetto di attrazione/resistenza."
S: Nei disturbi alimentari il cibo è il mezzo attraverso cui
manifestare il proprio disagio interiore. Nelle tue foto il cibo è il mezzo
attraverso cui trasmettere un messaggio, dei contenuti più profondi che vanno
ben oltre la semplice rappresentazione. Il cibo non è solo cibo per chi è
malato, così come il cibo non è solo cibo per l'artista che lo ritrae in foto.
In tutto questo c'è un collegamento alla tua passione per la Food
Photography?
T:
"La mia passione per la Food Photography è partita con scatti normali,
tradizionali, poi ho pensato che anche un soggetto così particolare e ben
contestualizzato come il cibo, in realtà poteva essere utilizzato
diversamente, con un po' di creatività ed immaginazione. E' diventato a
volte portavoce dei miei stati d'animo, altre volte veicolo per un messaggio in
quello che io ho ribattezzato "still food". A
parte la mia reticenza a scrivere, credo che l'immagine parli da sola, a volte
magari serve una piccola spinta per arrivare al messaggio ma penso che in
questo caso, essendo tutte accomunate dallo stesso soggetto ed argomento, possano
già da sole invitare alla riflessione. E la maggior parte delle volte le
emozioni suscitate vanno ben oltre le parole, anzi spesso le parole sminuiscono
quello che la foto suscita, emozioni peraltro personalissime e
soggettive."
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Intervista di Sandra a Tatiana Mura, ideatrice e realizzatrice del progetto 'Odi et amo'.
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