Falsa compagna dei miei anni in fiore,
mi scegliesti quale vittima indifesa della tua indescrivibile crudeltà, e con inenarrabile irruenza e senza alcun permesso, piombasti nella mia vita, cosi rapidamente che neppure me ne resi conto.
Abitavi la mia mente, provocandomi sensazioni angoscianti e un gran tormento.
Gioia e spensieratezza erano scappate via, percepivo soltanto un gran vuoto.
C'eri solo tu, avevi soppresso la mia voglia di vivere. Chi ero ormai? Un corpo quasi invisibile, dallo sguardo spento e smarrito, ridotta a briciole. Mi sussurravi: “Assaporerai le fiamme. Ti farò scottare poco alla volta, brucerai e io riderò del tuo corpo martoriato, riderò delle tue lacrime, riderò delle grida di disperazione, della tua sofferenza e continuerò a ridere e sghignazzare gustandomi le tue ferite sanguinanti". Oh dannata malattia, quante volte ho combattuto invano contro i tuoi assurdi propositi;
quante volte ho lasciato che mi calpestassi. Gli anni passavano, scanditi nel triste silenzio di lacrime amare che mi rigavano il viso scarno ed infossato.
Quanta sofferenza! Non volevo più sguazzare in quel pozzo putrido e maligno.
Era vita quella, con un sondino ficcato nel naso, senza quasi più capelli, con i denti consumati? Mi stavi portando via tutto ma quel poco di vita che mi rimaneva mi tratteneva ancora. Il mio respiro era debole ma soffiava ancora nel vento. Era vivo. Ero viva. Avrei potuto rialzarmi. Ho lottato contro di te, gettando antidoto contro il tuo veleno.
Sebbene i tuoi segni siano ormai scolpiti su di me, ora sono io a stringere il timone della mia vita. Ti ringrazio mia cara vecchia amica, perché il dolore che mi hai inflitto è servito a nutrire la mia forza.
Dunque a malincuore ti annuncio, che adesso, nel mio essere, non c'è più posto per due.
mi scegliesti quale vittima indifesa della tua indescrivibile crudeltà, e con inenarrabile irruenza e senza alcun permesso, piombasti nella mia vita, cosi rapidamente che neppure me ne resi conto.
Abitavi la mia mente, provocandomi sensazioni angoscianti e un gran tormento.
Gioia e spensieratezza erano scappate via, percepivo soltanto un gran vuoto.
C'eri solo tu, avevi soppresso la mia voglia di vivere. Chi ero ormai? Un corpo quasi invisibile, dallo sguardo spento e smarrito, ridotta a briciole. Mi sussurravi: “Assaporerai le fiamme. Ti farò scottare poco alla volta, brucerai e io riderò del tuo corpo martoriato, riderò delle tue lacrime, riderò delle grida di disperazione, della tua sofferenza e continuerò a ridere e sghignazzare gustandomi le tue ferite sanguinanti". Oh dannata malattia, quante volte ho combattuto invano contro i tuoi assurdi propositi;
quante volte ho lasciato che mi calpestassi. Gli anni passavano, scanditi nel triste silenzio di lacrime amare che mi rigavano il viso scarno ed infossato.
Quanta sofferenza! Non volevo più sguazzare in quel pozzo putrido e maligno.
Era vita quella, con un sondino ficcato nel naso, senza quasi più capelli, con i denti consumati? Mi stavi portando via tutto ma quel poco di vita che mi rimaneva mi tratteneva ancora. Il mio respiro era debole ma soffiava ancora nel vento. Era vivo. Ero viva. Avrei potuto rialzarmi. Ho lottato contro di te, gettando antidoto contro il tuo veleno.
Sebbene i tuoi segni siano ormai scolpiti su di me, ora sono io a stringere il timone della mia vita. Ti ringrazio mia cara vecchia amica, perché il dolore che mi hai inflitto è servito a nutrire la mia forza.
Dunque a malincuore ti annuncio, che adesso, nel mio essere, non c'è più posto per due.
F.
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