Ciao a tutti, sono Marilena.
Nel laboratorio del 12.01.2021 ho portato la mia esperienza per suscitare nuovi stimoli di
riflessione e per mostrare apertamente cosa prova una persona con un DCA.
Ho sofferto di anoressia nervosa e, come ci ho tenuto a dire fin dal primo momento, il mio intento
principale era quello di passare il messaggio che, nonostante a volte possa sembrare impossibile,
da questi disturbi si può guarire.
Ci tengo a precisare l’importanza di tenere ogni singola storia a sé, nel senso che ogni storia di vita
è singolare, per cui il racconto delle storie altrui è un importante stimolo per poter riflettere e
trovare appoggio, ma è importante comprendere che ogni storia è unica e che quindi ciò che ha
riguardato una persona non necessariamente deve avvenire nello stesso modo per un’altra.
Atteggiamento non giudicante – Spesso quando in famiglia una persona ha un DCA viene a
mancare la comunicazione genitore – figlio, perché è difficile in un momento come quello mettersi
l’uno nei panni dell’altro, perché la sofferenza è sentita da entrambe le parti.
Il genitore soffre perché vede il proprio figlio distruggersi, perdendo tutti quegli elementi che
compongono una vita serena e piacevole. Proprio per questo cerca di stimolarlo ad intraprendere
un cambiamento, ma molto spesso il figlio non è pronto, prende tutto come una sfida, non si sente
capito bensì giudicato, non riesce a comprendere che le persone vicine stanno cercando di aiutarlo
e questo scatena litigi continui.
Una persona che ha un DCA ma non ne è consapevole è totalmente divorato dalla malattia, non
riesce a vedere il punto di vista altrui. In quel periodo rispondevo male ai miei genitori, sembrava
quasi non volessi parlare con loro, ma lo facevo perché loro mi spingevano a cambiare ed io non
ero pronta, io avevo paura, io non capivo cosa realmente mi stava accadendo.
Anche nel momento in cui il figlio diviene consapevole di avere un DCA e riesce ad ammetterlo, è
importante ricordare che quello è uno dei momenti più difficili per il figlio.
Accade purtroppo che, sapendo di avere un DCA, la persona si senta giudicata e gli occhi puntati
addosso in ogni momento, perché si sente diverso dagli altri.
Nel momento in cui ho preso consapevolezza è iniziato il mio percorso di guarigione, un percorso
lungo e pieno di ostacoli, nel quale le discussioni continuavano a ripetersi. Non era facile per i miei
genitori, io dicevo che volevo cambiare e riprendere in mano la mia vita, ma al contempo c’erano
momenti in cui la malattia prendeva il sopravvento e mi spingeva a tutte le condotte tipiche del
DCA. E’ stato molto importante per me sentire l’appoggio dei miei genitori in quei momenti,
appoggio che ho sentito caldamente perché ci fu il passaggio da rimproverarmi perché non
mangiavo a comprendere quello che sentivo.
Piuttosto che “Devi mangiare, così non va bene” e tutte le frasi che escono fuori per paura, mi
veniva chiesto se c’era qualcosa che non andava, se c’era qualcosa che mi spaventava, se era
successo qualcosa a scuola, se avevo discusso con qualcuno e così via.
Per me è stato fondamentale che i miei genitori abbiano iniziato a concentrarsi su di me, su ciò che
sentivo, su ciò che poteva mettermi in difficoltà, con un atteggiamento non giudicante, ma di
comprensione e supporto.
Nel percorso di guarigione possono esserci dei momenti di difficoltà, perché non è dicendo
“Ricomincio a mangiare” che il DCA scompare, c’è tutto il percorso per arrivare di nuovo alla vita
vera, nella quale il cibo è ciò che nutre il corpo, è un momento di condivisione, non il centro della
vita quotidiana.
NON SENTIRMI GIUDICATA MA CAPITA, VEDERE CHE I MIEI GENITORI VOLEVANO PARLARE CON
MARILENA PER AIUTARLA A VINCERE, SENZA GIUDIZIO, E’ STATO FONDAMENTALE.
Quando ho preso consapevolezza – Un giorno mi venne chiesto se nella quotidianità che mi ero
costruita io fossi felice.
Lì per lì risposti di sì, ma questa domanda continuò a ruotarmi in testa per tutto il giorno.
Riflettendoci sopra mi diedi una risposta: “No, io così non sono felice. Ho persi tanti kg negli ultimi
mesi, ho smesso di mangiare tanti cibi perché mi vedo grassa, sono sempre nervosa, non riesco più
a sorridere.
Ho così tanti dolori che non riesco a stare in alcune posizioni, sono peggiorata a pallavolo, non
riesco a godermi le situazioni sociali. Il mio pensiero principale è che quel numero scritto sulla
bilancia sia sempre più basso, tutte le persone che ho intorno mi guardano stranite, mi mostrano le
loro preoccupazioni e questo mi innervosisce.
Questa non è la vita che volevo, questa vita non la vorrebbe nessuno, questa non è vita.
NO, IO COSI’ NON SONO AFFATTO FELICE”.
Questa riflessione mi portò a parlare con i miei genitori e con le mie amiche, persone a cui dissi
che non ero felice, che c’era qualcosa che non andava, che volevo cambiare ciò che stava
accadendo, ma non avevo la minima idea da dove cominciare.
Mi resi conto che avevo bisogno di aiuto e da lì iniziò il mio percorso di guarigione, percorso lungo
e pieno di ostacoli, nel quale è stato fondamentale avere persone vicine che mi sostenessero
(parenti, amici..), ma anche e soprattutto la figura della psicologa, ossia di una persona “esterna”
ma competente che mi ha dato degli strumenti per affrontare il problema e riprendermi ciò che la
malattia mi aveva portato via, ricostruendo piano piano la mia vita e, alla fine, ad essere contenta
di ciò che ho.
Fiducia – La presa di consapevolezza ha spinto i miei genitori, piano piano, a fidarsi di me.
E’ stato fondamentale per me poter continuare a vedere i miei amici, poter fare quella che era la
vita di un’adolescente, con tutti i rischi del caso.
Io sentivo che i miei genitori si fidavano di me, pertanto non riuscivo a tradire quella che era la loro
fiducia. Quando avevo momenti di difficoltà ne parlavamo, quando non riuscivo a mangiare
determinate cose lo dicevo e loro, in modo comprensivo e non giudicante, accoglievano le mie
difficoltà, mantenevano la loro quotidianità ed io mangiavo e facevo ciò che era stabilito.
Il fatto di riuscire a sentire davvero la loro fiducia mi portava, anche nei momenti in cui la malattia
voleva prendere il sopravvento, a non perderla, a cercare di vincere, perché quando la malattia
vinceva su di me è vero che ne parlavo, però mi sentivo anche tremendamente in colpa.
Anche loro mi esprimevano le loro paure quando lo ritenevano necessario.
Per riuscire a fidarsi penso sia molto importante riuscire a stabilire di nuovo la comunicazione e
relazione genitore – figlio, nella quale il figlio ha un DCA, ma non è il DCA.
Ciclo mestruale – Ho perso il ciclo mestruale qualche mese prima di compiere 16 anni. Inizialmente
mi dicevo che può saltare, poi quando i mesi iniziarono ad accumularsi era una cosa mi faceva
stare molto male. Non avere il ciclo mestruale mi faceva pensare che qualcosa non andava.
Raggiunto il normopeso il ciclo non tornò e questo mi buttava molto giù emotivamente,
nonostante i dottori mi dicessero che non era scontato che tornasse. Ho vissuto sempre molto
male l’assenza del ciclo mestruale, era come se ci fosse sempre qualcosa a ricordarmi che non tutto
funzionava, era come se mancasse qualcosa al mio essere donna.
Sono stata senza ciclo 2 anni e mezzo (quasi 2 di questi sono stata normopeso) e il momento in cui
mi tornò piansi dalla gioia. Era la notte tra il 19 e 20 agosto, lo ricordo ancora.
Il giorno successivo chiamai la mia ginecologa, con la quale avevamo deciso che nel mese di
settembre avrei dovuto iniziare a prendere la pillola anticoncezionale, perché era importante che il
ciclo tornasse anche se non in modo naturale.
La paura nel prendere la pillola anticoncezionale c’era, avevo paura degli effetti collaterali, MA IO
VOLEVO ESSERE DONNA E VOLEVO MANTENERE IL MIO CICLO.
Nel pieno della malattia è tipico che il figlio dica che non gliene importa niente, ma quando ne è
consapevole e continua a rifiutarlo, a non volerlo, penso sia importante interrogarsi sul perché lo
rifiuta così, ovviamente tutto in base alla situazione e al momento, perché ogni persona è diversa e
reagisce in modo diverso agli eventi.
Conclusioni – Vi ringrazio per l’ascolto e per le vostre condivisioni, perché nel momento in cui una
persona si apre e racconta la propria storia dona se stesso, ma apprende e si arricchisce anche
grazie agli stimoli, alle domande, alle riflessioni e agli sguardi degli altri.
Concludo lasciandovi un pezzo di una canzone che spesso ho ascoltato nei momenti di difficoltà,
Domani di Fabrizio Moro, il mio cantante preferito, con l’intento di darvi un grande
incoraggiamento:
“Ma sarà solo un altro giorno
Un nuovo giorno per ricominciare
Domani proverai a dimenticarti tutto
Domani metterai un vestito e un po' di trucco
Per sentirti diversa
Perché diversa è la tua vita
Diresti che è un po' più in salita
Ma ce l'hai fatta già altre volte
E ti ripeti che sei forte
Che dopo tutto in fondo anche questa passerà
Passerà
Domani domani
Domani domani
Dai che domani uscirà il sole
Anche se dentro piove”
Sono guarita da circa 3 anni e sono felice.
Ricordatevi sempre che, anche se sembra impossibile, SI PUO’ GUARIRE.
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