Il laboratorio è cominciato con una domanda specifica posta da una mamma: “ quando tua figlia o figlio che soffre di un disturbo alimentare continua a provocarti, attaccarti, tu genitore cosa devi fare? Controbattere o stare in silenzio?”
La risposta, come abbiamo detto più volte, ovviamente non può essere univoca. Sarebbe troppo facile avere una risposta pronta per ogni occasione. E siccome questo non è possibile, occorre far riferimento alle diverse situazioni in cui si verificano tali attacchi. In riferimento alla storia di questa mamma, lo scontro verbale si è verificato durante la cena. Come sappiamo, il momento dei pasti è sempre critico, poiché la malattia è molto presente ed è difficile che dietro ad una eventuale provocazione si possa instaurare un dialogo costruttivo. In queste occasioni è quasi sempre preferibile non discutere su nulla, poiché qualsiasi cosa può essere usata come espediente per portare avanti la discussione e quindi spostare l’attenzione. Ma spostare l’attenzione da cosa? Qui abbiamo ripetuto un concetto che spesso emerge durante il laboratorio e che non ci stancheremo mai di ripetere perché rappresenta una base importante su cui riflettere quando accadono simili situazioni.
Davanti a noi vediamo quella che è solo la punta dell’iceberg, ovvero quella provocazione. Quello che però sta al di sotto, il sommerso, non è visibile agli occhi. E nel sommerso ci sono le emozioni che la propria figlia o figlio sta vivendo. Emozioni che spaventano, perché in effetti si è davanti a una grande paura che viene simbolizzata attraverso l’assunzione del cibo. Anche un’altra mamma ha raccontato che, nonostante la figlia abbia cominciato a progettare una propria vita indipendente, incominciando ad affrontare il delicato mondo del lavoro, non è ancora riuscita ad abbandonare la bulimia, che al contrario, la accompagna con costanza, a volte anche in modo violento. Anche qui però, ciò che si osserva è solo la punta dell’iceberg ( la crisi bulimica) ma il sommerso, le emozioni, non sono visibili. Ma che cosa potrebbe esserci in questo sommerso che porta a far emergere sempre e solo il sintomo? Questo è un argomento un po’difficile da trattare, ma è necessario farlo per cercare di portare chiarezza su alcuni aspetti della malattia del comportamento alimentare. Il sintomo, non è un qualcosa che improvvisamente si è calato nella mente dei propri figli e, con abile destrezza, si è divertito a scombussolarne i pensieri, le idee, le percezioni. Il sintomo in realtà si fa portavoce di quella parte che non ha trovato un modo migliore per esprimere e comunicare quel malessere di fondo che nasconde la paura di vivere, la paura di affrontare la vita. Ma il sintomo in realtà non è qualcosa di completamente
estraneo alla persona. Ovvero. Non è che improvvisamente i propri figli vengono posseduti da chissà quale forza demoniaca che ne ha rapito la loro essenza. In realtà ciò che prende il sopravvento in una malattia del comportamento alimentare è quella parte di se’ che ha il compito di controllare, decidere e far mantenere le regole. Semplificando, potremmo dire la parte etica che è in ognuno di noi. Una parte che deve dialogare con le altre parti, per riuscire a stabilire quello che è un adeguato equilibrio.
Ora, riprendiamo la situazione di questa mamma che si trova a vedere che la propria figlia sta cominciando a progettare una sua vita autonoma, ma con la malattia ancora ben presente. Perché il sintomo non abbandona la figlia? Che cosa è che la porta ancora a rifugiarsi in quelle dinamiche così incomprensibili viste da fuori ( o più precisamente viste solo guardando la punta dell’iceberg)? In realtà ognuno di noi non può mai sapere la lotta interna che sta affrontando l’altra persona. Visto dall’esterno quella situazione può essere uguale a tante altre situazioni vissute apparentemente sempre in modo uguale, ma che così uguale in realtà non è. Infatti, c’è una fase del percorso della cura in cui guarigione e malattia camminano parallele ( lo abbiamo descritto anche in altri laboratori). Ma perché accade questo? Perché quella parte che si manifesta attraverso il sintomo è una parte della persona e come tale non può essere cancellata da un momento all’altra. Finiremmo per avere una persona monca, a cui le è stata tolta una parte importante di se’. E questo è impossibile. La guarigione richiede tempi lunghi perché quella parte “etica” che ha preso il sopravvento deve gradualmente ricominciare a dialogare con tutte le altre parti. E soprattutto, deve integrarsi e trovare il proprio posto. Affinché possa avvenire questo dialogo e integrazione, è necessario che la persona venga a diretto contatto con questa parte di
se’. E questo non è mai facile, a volte il risultato è un aggravarsi del sintomo. Qui è molto difficile per il genitore capire cosa stia accadendo, perché è sempre la punta dell’iceberg che si sta osservando. Viene in automatico che un genitore si preoccupi e giustamente cerchi di gestire lui stesso quella ripetuta situazione del figlio o della figlia. Ma in realtà, questo è un passaggio che non può avere sostituti. Per poter integrare ed equilibrare le varie parti di se’, occorre guardarle direttamente in faccia. Come è stato detto da una ragazza che ha raccontato quella che è stata la sua esperienza della guarigione, imparare a stare in quel vuoto, in quell’ emozione che spaventa. Infatti, solo restando nella paura si può cominciare a conoscerla e gestirla, riducendone l’intensità con il quale si manifesta. Da fuori potrebbe sembrare che si stia ritornando a riabbracciare la malattia, in realtà si sta andando a riconoscere se stesse. Si sta andando a fare esperienza di ciò che più spaventa. Si va a fare conoscenza diretta della propria ombra. Ognuno di noi è sia ombra e luce. In una malattia del comportamento alimentare prevale esclusivamente l’ombra....ma è da quel timido bagliore di luce che comincia la risalita verso se stesse.
In questo discorso, è importante anche includere quei genitori che hanno figli o figlie maggiorenni che rifiutano di intraprendere un percorso terapeutico. Dato che non si segue un percorso di cura, vuol dire che la speranza di arrivare ad una guarigione è da abbandonare completamente? Anche qui il discorso è complesso da affrontare, ma riprendendo il concetto dell’ombra che prende il sopravvento sulla luce, quest’ultima può ritornare a risplendere anche attraverso un percorso non psicoterapeutico ma più olistico. Ad un certo punto, può accadere che la persona stessa senta il desiderio di approfondire certe cose di se’ e quindi affidarsi a una terapia. Questo per dire che non sempre la guarigione inizia da un percorso terapeutico, a volte può cominciare da un approccio olistico. Resta però inciso che la conoscenza di se’, e quindi l’affrontare direttamente la malattia, richiede un lavoro più approfondito,
Una mamma ha condiviso la storia di sua figlia adolescente. Considerata sempre la classica alunna modello, diligente, educata, con bei voti a scuola. La perfezione. Finché non è giunta la malattia. Ovviamente, la madre ha cominciato subito a pensare dove avesse potuto sbagliare. Un giorno, grazie a una telefonata di un’altra mamma, è venuta a sapere che sua figlia stava vivendo seri episodi di bullismo a scuola. Questo è stato un fattore che ha inciso in modo importante nell’indole dolce e sensibile di questa ragazzina, che ha finito col cercare rifugio nella malattia. Ritornando al discorso delle emozioni, possiamo notare quanto l’incapacità di gestire ciò che accade possa poi indurre a far credere che il rifiuto, o al contrario la consolazione del cibo, possa essere la soluzione giusta nei confronti di quel malessere di fondo. Questa mamma ad oggi considera la malattia il mezzo attraverso il quale ha potuto conoscere realmente sua figlia, scoprendo che la vera bellezza sta proprio nell’imperfezione. Si, perché tutto ciò che è perfetto in realtà manca di animosità, è freddo, prevedibile, privo di reale emozione. Sul tema del bullismo, è intervenuta un’ insegnante di una scuola primaria. In questo periodo di pandemia, è emerso quanto sia importante per i suoi giovani alunni poter condividere le ore scolastiche tutti insieme. Da qui è nata l’idea di un laboratorio di scrittura, in cui i bambini possono esprimere e tradurre a parole quelli che sono i loro desideri, le loro gioie, ma anche le loro paure e difficoltà. Quello che è emerso è stato di una bellezza indescrivibile poiché i bambini hanno la naturale curiosità di esplorare ed esplorarsi. E lo fanno con quella purezza che è da alimentare e preservare anche attraverso queste importanti attività scolastiche che sono fondamentali nella crescita di un bambino.
Un’altra mamma, insegnante di una scuola media, si trova invece ad affrontare il disagio di una ragazzina di 12 anni che ha palesemente chiesto aiuto ai suoi insegnanti per il malessere che sta vivendo e che dimostra anche nei confronti del cibo. Questa mamma, conoscendo per esperienza personale la pericolosità di certe dinamiche che portano poi a una malattia del comportamento alimentare, ha cercato di sensibilizzare anche gli altri docenti, ma ha riscontrato quanto le altre persone ancora non conoscano bene queste malattie e spesso minimizzino i segnali attribuendoli a forme di imitazione dei modelli proposti sui social. Ancora una volta è emerso quanto ci sia da lavorare affinché le malattie del comportamento alimentare possano essere riconosciute nelle loro manifestazioni, e quanto sia importante che ci sia conoscenza, sensibilità e rete sociale, iniziando non solo dalla famiglia, ma anche dalla scuola che ha il compito e il dovere non solo di istruire ,ma anche di difendere.
La frase della settimana: REIMPARARE A EMOZIONARSI
Nessun commento:
Posta un commento