Quante volte mi sono chiesta cosa
ci fosse di sbagliato in me, cosa non andasse, perché “ero” così.
E quanto tempo mi ci è voluto per
capire che io non “ero” così, ero solo ammalata. Si, ammalata di una malattia
che ti fa credere di essere qualcun altro, qualcuno in cui non ti rispecchi,
che non riconosci e che non vorresti essere. E' vero, l'anoressia ti fa
credere, almeno nella prima fase, che tutto va bene, che quello che fai è la
cosa giusta, che il cibo è qualche cosa di superficiale, di inutile anzi, di
dannoso per te e la tua vita. Ti fa credere che l'unica cosa di cui hai bisogno
è… il nulla. E in questa fase ci stai bene, ti ritrovi, ti vedi come mai ti sei
vista prima: una persona speciale che riesce a fare tanto (… e di più), senza
quello di cui gli altri hanno bisogno; ti fa credere di essere superiore,
“diversa” nel bene. Ti fa credere di poter bastare a te stessa, te e te, te e
lei.
In realtà così non è e poco alla
volta ti accorgi che quel mondo in cui sei entrata è ben lontano da quello dove
vorresti vivere. Ti accorgi che ti sei allontanata così tanto dalla realtà da
rendere irraggiungibili tutte le cose e le persone a cui tieni, tutti i tuoi
sogni, tutte le tue speranze…
E a quel punto punto, cosa
succede? Cosa vivi? Cosa provi? Provi tanta paura, paura di quello che ti sta
accadendo, di quello che potrebbe succedere… convivendo con la malattia e,
nello stesso tempo, vivendo senza di lei.
Inizia così una lotta tra te e te
per capire/accettare e lottare per quella che è la cosa giusta per la tua vita,
ossia il riappropriarti dei tuoi spazi, dentro e fuori: dentro i tuoi pensieri
e i tuoi sentimenti, fuori dalla tua persona, nel mondo dove vorresti tornare.
Una lotta a senso unico, perché è
tra te e te, una lotta sfinente, che sembra non voler finire, ma è anche una
lotta che può essere fatta in compagnia di chi ti vuole aiutare, di chi ti
vuole bene e non aspetta altro che un tuo gesto per unirsi a te. Una lotta
difficile, lo so, l'ho combattuta anch'io, ma è la battaglia più importante che
puoi vivere, quella per la tua vita.
Quanto dolore si nasconde dietro
i disturbi del comportamento alimentare. Quanta solitudine, quanta vergogna,
quanti sensi di colpa. Si perché c'è anche l'altro lato della medaglia, quello
della bulimia, che ti fa sentire talmente a disagio, talmente “sporca” da farti
pensare di non meritare niente e nulla di più, niente e nulla di diverso da
quello che vivi... un costante, incessante senso di inadeguatezza e sofferenza.
Ma è davvero così? Davvero
essersi ammalati vuol dire non meritare una vita diversa? Davvero soffrire giorno
e notte per un qualche cosa che non si è cercato vuol dire non avere diritto di
avere/fare/provare le cose che per tutte le altre persone sono scontate?
No, non è giusto, per niente.
Lo so, è quello che si prova, è
quello che si vive nel profondo, dentro, dove nessuno può vedere cosa c'è e
quanta tristezza si nasconde, magari sotto qualche facciata di normalità…
perché nessuno si accorga di quello che si vive, per non essere giudicati…
perché nessuno potrebbe capire.
E' vero, ci sono tante persone
che non possono capire, che non hanno gli strumenti o la sensibilità per farlo,
però ci sono anche persone che invece possono farlo, che possono capire,
ascoltare e, magari, starci vicino, di quella vicinanza di cui ognuno di noi ha
bisogno, una vicinanza sincera, spontanea, che va al di là delle apparenze e
che vuole guardarci per “vederci” per come siamo veramente, ossia persone come
le altre, magari fragili, sì, ma non c'è niente di male in questo, magari
sensibili sì, ma nemmeno in questo c'è nulla di male, magari anche ferite, ma
pur sempre persone con una propria personalità, con propri desideri, con propri
sentimenti e valori e, soprattutto, con tanto, tanto da dare... cosa che va ben
al di là di una malattia.
Daniela Bonaldi
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