La guarigione sta, forse, anche
nell'assecondare la tempesta e poi lasciare che passi? Come accettare
di fare un giro di montagne russe per poi fermare la giostra. Meglio,
riuscire a fermarla. Questa è la differenza.
I digiuni hanno fame di abbuffate. E'
un cane che si morde la coda. Sappiamo che nel momento in cui
rifiutiamo il cibo, quel rifiuto chiede il conto 24, 48 ore dopo
eppure lasciamo che accada consapevoli di quanto la debolezza scateni
la fame famelica della malattia. Siamo spettatori di noi stessi, ci
scrutiamo per agire meglio, per non lasciarci affondare più, per
capire cosa ci porta a barcollare e come riprendere l'equilibrio. La
guarigione agisce nel momento in cui la malattia sferra solo un
colpo, lo incassi, ma poi la metti con le spalle al muro. Fai in modo
che si sieda nel suo angolo e se ne stia cauta.
E' una iena, ma sappiamo domarla ormai.
Il punto di forza è questo.
Ora, riusciamo a guardare negli occhi
la sua fame, riusciamo a guardare quello che ci fa. Quando ci prende
la mente nelle sue mani e la sentiamo. E' una questione di attimi,
perché nel momento stesso in cui sentiamo che agisce su di noi
riusciamo a liberarci dalla sua morsa.
Imparare a domare la tempesta, è
questo il punto. Far tornare la calma interiore.
Non può più nulla e la consapevolezza
di ciò ci permette di guardarla agire per poterla fermare. Come se
la vedessimo dall'esterno per la prima volta, come se ci piegassimo
per un attimo illudendola che può vincere. Eppure è solo un
tattica. Un modo per distrarla, disarmarla e sferrare il colpo che ci
permetterà ancora di riprendere in mano noi stessi.
La guarigione sta nel guardarsi,
scusarsi per tutte le volte che abbiamo creduto di non essere
abbastanza, per tutte le volte che abbiamo attribuito al cibo la
facoltà di parlare per noi, di essere parole, di essere il dolore.
Poi scusarsi, ancora, e promettersi di non lasciarsi mai. Promettersi
le parole. Il gusto. Se stessi.
Rossella Assanti
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