Tre pensieri scritti nel
pieno della malattia…
Vorrei essere.
Vorrei essere proprio
così: diafana, trasparente, percepibile a fatica. Confondermi e sparire nello
spazio intorno a me e mostrarmi nuovamente quando quello che posso offrire è di
nuovo un sorriso. È inutile esistere il resto del tempo, è troppo pesante per
se stessi e per gli altri.
Il rischio però, diventa
quello di non ricomparire mai più.
E sarebbe un rischio? No
piuttosto una scelta, non abbiamo scelto noi di “essere”, forse, se avessimo
potuto, avremmo scelto di “non essere” o di non essere così, o di non essere
sempre, di essere a volte, qualche volta sì e qualche volta no, di essere solo
in alcuni momenti e tutto sarebbe… ancora più spaventoso.
Forse si deve essere
sempre altrimenti non si sarebbe mai e forse si deve essere tutto altrimenti
non si sarebbe niente.
Mi capita spesso di
pensare “vorrei essere fatta di aria”, mi sentirei così libera, così leggera,
così incredibilmente parte del tutto. Ma in fondo sarei nulla.
Allora penso di poter
essere qualcosa di diverso ma di ancora più leggero e sfuggente. Vorrei essere
fatta di un materiale simile al fuoco. Di fuoco e polvere. Perché il fuoco?
Perché è libero, sfuggente, non si può prendere, rinchiudere, segregare,
toccare. Forse, solo sfiorare. La polvere serve a darmi la percezione di me
stessa, quando voglio esistere aumenta, altrimenti brucia via. E il fuoco, che
tende incessantemente a protendere verso l’alto, mi libera di ogni fastidiosa
sensazione di attrazione gravitazionale. Ma non è fuoco caldo. La sua anima è
ghiacciata. Brucia solo se si prova a toccarlo. Troppo in profondità, con
troppa violenza. Altrimenti ha un bisogno disperatamente immenso di essere
scaldato, e di voler smettere di bruciare la polvere, di raccogliere tutta la
cenere e di nascere nuovamente e riemergere dall’inconsistenza.
Pensiero per il 25esimo
anniversario di matrimonio dei miei genitori… in clinica… ripensando alla mia
infanzia e agli attacchi di panico che mi straziavano durante la notte…
“Mamma scusami.
Papà perdonami.
Sorellina mia, tu non
c’entravi niente.
Mamma, io e te di fronte
al nero, io e te di fronte alle mie angosce. Io che mi aggrappo a te, tu che mi
prendi in braccio e mi aiuti ad aprire gli occhi, piano piano, e mi spieghi che
non bisogna avere paura, che tutto si può affrontare, insieme. Mamma chi sono
io e chi sei tu? Chi è che ha paura? Chi è spaventata di più dalle mie angosce
tra me e te? Vorrei tanto mettermi così accanto a te. E sentirmi dire che non
c’è niente, che i mostri non esistono, che nessuno nel pieno della notte
cercherà di pugnalarmi alle spalle, che posso rilassarmi e chiudere gli occhi,
e addirittura cambiare posizione nel letto, che casa mia è un posto sicuro, che
non devo rimanere sveglia per proteggere mia sorella e voi, che dormite nella
stanza accanto; non devo porre attenzione a ogni minimo, flebile rumore. Dimmi
che domani mattina sarete ancora tutti vivi e che anche io lo sarò. Ti prego,
dimmelo. Muovendomi potrei perdere la concentrazione e allora sarebbe la fine.
Morirei e non potrei salvare nessuno di voi. Sto sudando ma ho freddo. Non
posso spostare le coperte. Sorellina ti prego svegliati e dì a mamma di
portarti un bicchiere d’acqua. Mamma accendi la luce e racconta le favole a
Silvia, mi piacciono tanto, mi piacciono quelle che racconti sempre... la
signora con la brocca di latte, mi piace come dici brocca, e quella del
topolino o il bue e la volpe, mi piace tanto il suono della tua voce, parli
così bene…
Ma io non ti ho mai
aiutata, non ti ho mai chiesto aiuto, non ti ho mai dato la possibilità di
essere la mia mamma. Mamma, scusami, non ti ho permesso mai nemmeno di essere
la mamma di Silvia.
Sono una ladra. Ho rubato
a te e a papà due figlie e a Silvia due genitori. E cosa vi ho dato in cambio?
Che oggi, giorno del vostro 25esimo anniversario di matrimonio non sono con
voi, non farete nulla perché, come dice papà, avete altro a cui pensare. Questo
altro sono io. No, questo altro siamo noi, è vero, dobbiamo pensare ad altro.
Mi dispiace, avrei voluto
metterci di meno a liberarmi di questo cancro. Ma è un cancro della mente, fa
parte di me, non so da dove attaccarlo.
Mamma, papà, sento che ci
sto riuscendo, non so bene come ma voglio restituirvi tutto ciò che vi ho
tolto.
Provo tanta rabbia. Un
po’ verso di voi ma, soprattutto, verso me stessa.
Tanta rabbia nei
confronti di quella stupida bambina orgogliosa che credeva di essere
onnipotente e di poter salvare il mondo. Ma chi ti credi di essere?
Tanta compassione verso
quella ragazzina incapace di esprimersi.
Tanto odio verso quella
ragazza che ha pensato bene di affidarsi a lei, alla sua migliore amica, alla
sua arma più potente… l’anoressia.
Tanta pena verso quella
giovane donna che non voleva riconoscersi come tale e giocava con il cibo e con
il suo corpo, e non sapeva come scappare da se stessa.
Tanta rabbia,
compassione, odio, schifo, nei confronti suoi. Lei, quella parte di me che
vuole uccidermi, che gioisce nel sentire il dolore, che esulta quando scopre
che ho le ossa bucherellate…sono più leggere, tra poco elimineremo del tutto
anche quelle, sta andando tutto a meraviglia. Follia. Penso delle cose
orribili.
È lei che cerca di fare
del male a tante fragili ragazze che non capiscono con che cosa stanno
giocando.
Mamma, lei fa parte di
me, ma da adesso in poi sarò io quella figurina che si aggrappa alla tua
spalla, e tu l’altra figura che si metterà insieme a me, di fronte al nero. Si
mamma, d’ora in poi te lo permetterò, ti permetterò di spiegarmi che per vedere
meglio basta solo accendere la luce, lo sai, io preferisco le candele…
Non importa quale luce
sceglierai o se riuscirai a trovarne una, la cosa importante è che staremo
insieme, mamma e figlia.
Tanti auguri mamma.
Tanti auguri papà.
Oggi è la vostra festa.
Godetevela tutta.”
Francesca Fabiani
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