“Una volta l’aereo mi
terrorizzava, ora non più, qualche volta ho desiderato che cadesse. Per finire
un incubo, un incubo che non finisce. Una morte lenta, una morte quotidiana,
una tortura. Vedere la propria morte come una liberazione, questo è un
sentimento recente. Ora vivo alla giornata, non ho più progetti né tempo per
me, il mio è un tempo “dedicato” e mi sento in galera. Un tempo scandito da
gesti ripetuti, incombenze da assolvere. Mi chiedo spesso se questo può avere
un senso e una utilità di qualche tipo, la risposta non mi viene da nessuno,
devo cercarmela. Ora capisco meglio i barboni, i nullafacenti, quelli che ogni
giorno è un giorno da inventarsi, penso che questo può anche avere il suo lato
creativo, mi sforzo a pensarlo. Tutti, psichiatri, psicoterapeuti si affannano
a togliermi i sensi di colpa, la colpa non è la tua, la colpa non è di nessuno,
le cose succedono al di là delle colpe. Eppure qualcosa di storto devo aver
fatto, tutta quella energia che avevo e tutta quella bellezza e forza, credevo
che in qualche modo passasse come il sangue e i geni da me a mia figlia, quella
mia forza che volevo diventasse la sua forza. Non è stato così. Alle volte sono
di pessimo umore e senza speranza, altre volte riesco ad emozionarmi per una
frase letta in un libro, per una canzone, per un tramonto e allora scopro di
amare la vita. Ho bisogno di leggerezza, mi piace ridere, non ho abbandonato la
capacità di ironizzare su di me e sul mondo e questa mi sembra una ricchezza,
una cosa non persa, forse una cosa guadagnata. La mia schiena che l’anno scorso
non reggeva più l’ho rieducata a reggere ancora il peso del mio corpo e con un
rigore tedesco faccio movimento, ginnastiche mirate, non voglio soccombere e la
mia schiena oggi è migliorata, mi piace camminare e sentire ancora i muscoli
che rispondono ai movimenti. Mi sono sentita sola in certi momenti, esiliata ad
una vita cupa, triste, ma gli altri c’erano, eccome se c’erano, ma erano
lontani, io vivevo il mio dramma, da sola. Il dolore ripulisce dagli orpelli,
ti permette di vedere tutto più chiaro, più pulito e più sintetico. Il dolore
ti unisce a chi soffre, non ci sono più affinità culturali o di classe o
politiche o di età, il dolore ti permette di specchiarti negli occhi degli
altri.”
A rileggere queste
cose, scritte 4 anni fa circa, mi viene una gran pena per me e per quello che
ho vissuto in 11 anni di malattia di mia figlia. Un'altalena di emozioni forti,
momenti carichi di angoscia e altri di speranza. Sono cambiata. Sono diventata
un'altra persona. Ora sono più forte, mia figlia sta affrontando un percorso
lungo e pieno di trappole, ma è più matura, è più consapevole e riesce meglio a
tenere a bada i suoi malumori, ha un maggiore controllo sulla sua malattia. Ha
ripreso a mangiare, forse riuscirà a trovare un equilibrio, anche nel mangiare.
Con lei ho un rapporto forte, voglio fare tutto quello che posso per aiutarla,
voglio vederla vivere in un modo “possibile”, poi potrò anche morire, ma dopo
aver fatto tutto quello che si deve fare, che si può fare. Nel mentre cerco di
vivere, faccio lunghe camminate, vedo posti bellissimi che mi riempiono la
vista e l'anima, mi tengo in forma. Il corpo forte e allenato serve alla mia
mente, mi rassicura e allontana i pensieri di morte. Ce la faremo.
Nessun commento:
Posta un commento