L'idea iniziale era scrivere un pezzo sul
Natale, sulla
sua bellezza e magia...ma anche su ciò che, per chi come noi, si
porta
appresso. Dolori, difficoltà, dubbi, tristezza più o meno
spiegabile. Avrei
scritto di come avevo intenzione di fare per sopravvivere alle
feste...il
tutto, urlato e non taciuto con lo scopo di far capire quanto
questi periodi di
festa pesino sulle nostre già precarie condizioni.
Beh, quel pezzo infine non l'ho spedito al blog. È ancora sul mio pc. Perché?
Perché la malattia quest'anno, in modo più irruento degli scorsi, mi ha tolto anche il Natale. Fino all'anno scorso riuscivo, seppur a fatica, ad addobbare casa, pensavo ai regali per i miei cari, uscivo, nonostante sforzi immani, a fare auguri e stare in compagnia...pensate, mi vestivo persino col pigiama rosso. Mi imponevo di sentire e vivere la magia della festa, anche semplicemente indossandola. Lo facevo in parte per me, per non pensare al dolore almeno qualche ora, e soprattutto per gli altri, per non deluderli, per non rovinare loro le feste, per far sì che fossero certi del mio amore nei loro confronti.
Quest'anno...vi racconto il mio 25-12-17.
Sveglia h 6, preparo il caffè, me lo gusto (neanche tanto) associato alla solita sigaretta. Torno a letto (non per dormire, solo per non sentirmi viva). Mamma verso le 11 mi viene a chiamare, salgo con lei e ci facciamo gli auguri e scambiamo i regali. I miei, fortunatamente, azzeccati per tutti. Ho ricevuto poco, ma non ha importanza, non mi aspetto nulla da molto tempo. Una lacrima scende, torno a letto. Un'oretta dopo chiamo papà perché mi accompagni a fare un intramuscolo in ospedale, un calmante. Mi faccio lasciare a casa e auguro a lui e famiglia di godersi il pranzo coi parenti. Dal letto sono scesa circa 3 volte, una per "pranzare" (solo e solamente per rispettare gli accordi con la nutrizionista, io avrei digiunato), una per un caffè-sigaretta, una per "cena". I miei genitori sono rientrati verso le 18, ma li ho voluti vedere solo dopo cena. Sono salita per salutarli, abbracciarli, dir loro che li amo e che mi dispiace di come sia andata quest'anno. Sono tornata sul divano, ho preso le solite pastiglie, più quelle al bisogno, poi ho chiuso gli occhi e ho lasciato mondo e pensieri fuori dalla porta.
Ecco. Questo è stato il mio giorno di Natale.
Quando dentro non c'è luce, non c è festività che tenga.
Beh, quel pezzo infine non l'ho spedito al blog. È ancora sul mio pc. Perché?
Perché la malattia quest'anno, in modo più irruento degli scorsi, mi ha tolto anche il Natale. Fino all'anno scorso riuscivo, seppur a fatica, ad addobbare casa, pensavo ai regali per i miei cari, uscivo, nonostante sforzi immani, a fare auguri e stare in compagnia...pensate, mi vestivo persino col pigiama rosso. Mi imponevo di sentire e vivere la magia della festa, anche semplicemente indossandola. Lo facevo in parte per me, per non pensare al dolore almeno qualche ora, e soprattutto per gli altri, per non deluderli, per non rovinare loro le feste, per far sì che fossero certi del mio amore nei loro confronti.
Quest'anno...vi racconto il mio 25-12-17.
Sveglia h 6, preparo il caffè, me lo gusto (neanche tanto) associato alla solita sigaretta. Torno a letto (non per dormire, solo per non sentirmi viva). Mamma verso le 11 mi viene a chiamare, salgo con lei e ci facciamo gli auguri e scambiamo i regali. I miei, fortunatamente, azzeccati per tutti. Ho ricevuto poco, ma non ha importanza, non mi aspetto nulla da molto tempo. Una lacrima scende, torno a letto. Un'oretta dopo chiamo papà perché mi accompagni a fare un intramuscolo in ospedale, un calmante. Mi faccio lasciare a casa e auguro a lui e famiglia di godersi il pranzo coi parenti. Dal letto sono scesa circa 3 volte, una per "pranzare" (solo e solamente per rispettare gli accordi con la nutrizionista, io avrei digiunato), una per un caffè-sigaretta, una per "cena". I miei genitori sono rientrati verso le 18, ma li ho voluti vedere solo dopo cena. Sono salita per salutarli, abbracciarli, dir loro che li amo e che mi dispiace di come sia andata quest'anno. Sono tornata sul divano, ho preso le solite pastiglie, più quelle al bisogno, poi ho chiuso gli occhi e ho lasciato mondo e pensieri fuori dalla porta.
Ecco. Questo è stato il mio giorno di Natale.
Quando dentro non c'è luce, non c è festività che tenga.
Lara
- - -
In apnea. Così
si vivono i giorni "di festa".
I giorni "di festa" si vivono con il fiato sospeso, per i continui vuoti da colmare, per gli insistenti silenzi da riempire, intervallati dal rintocco delle campane, dalle conversazioni a senso unico con i fantasmi della mente.
I giorni "di festa" si vivono con il fiatone, a furia di scappare, di fuggire, in cerca di una boccata d'aria; un sorriso sincero, una parola amica, uno scatto spontaneo, quasi rubato all'imprevedibilità della vita.
Cerchi disperatamente intorno a te, o forse dentro di te, un raggio di luce a cui aggrapparti per ricordarti che devi respirare, sempre, perché a restare troppo a lungo in apnea si rischia di morire soffocati.
(…)
Ci sono giorni in cui il sole non sorge mai, sembra essersi dimenticato di svegliarsi.
Ed altri, invece, in cui il calore tiepido dei suoi raggi riaccende la speranza, come il fuoco ristoratore del camino in una gelida notte d’inverno. Riscalda e scioglie le emozioni, una dopo l’altra, si succedono come le scene di un film già visto, a cui hai assistito con gli occhi bendati e le orecchie tappate da una terrificante presenza, la malattia. Scene a cui ti ritrovi ad assistere inerme, perché, per quanto si possa cercare di controllarla o di gestirla, un’emozione non si programma, non la si costruisce, arriva spontaneamente: scendono lacrime, di gioia o di dolore, un brivido attraversa la schiena, lo stomaco si chiude, le gambe tremano, sul viso si accenna un sorriso... Ti può cogliere impreparata e sorprenderti, o travolgerti, o ancora rigenerarti...certo è, che qualunque sia l'effetto che suscita in te, tu non puoi che accoglierla, lasciarla danzare intorno a te e custodirla come un tesoro, perché potresti non riviverla più con la stessa intensità, né allo stesso modo. Non perché potrebbe non ripresentarsi mai più, ma perché sarai cambiata tu.
Mentre si soffre non si riesce a percepire, a sentire, quello che si è in grado di trasmettere. O forse lo si intravede, forse in lontananza, ma in maniera sempre distorta, alterata, distaccata, perché qualsiasi 'movimento' è filtrato attraverso l'istinto della malattia; severo, giudicante, inflessibile.
La sofferenza insegna anche questo: che di fronte ad un'emozione, positiva o negativa che sia, anche la paura si fa da parte, perché ogni emozione è il riflesso dell'universo sconfinato che ci portiamo dentro, è uno dei codici umani con cui partecipiamo alla nostra vita di ogni giorno, con cui ci raccontiamo, a noi stessi e agli altri, ogni giorno.
In quest'ottica, allora si, anche stare male ha un senso.
I giorni "di festa" si vivono con il fiato sospeso, per i continui vuoti da colmare, per gli insistenti silenzi da riempire, intervallati dal rintocco delle campane, dalle conversazioni a senso unico con i fantasmi della mente.
I giorni "di festa" si vivono con il fiatone, a furia di scappare, di fuggire, in cerca di una boccata d'aria; un sorriso sincero, una parola amica, uno scatto spontaneo, quasi rubato all'imprevedibilità della vita.
Cerchi disperatamente intorno a te, o forse dentro di te, un raggio di luce a cui aggrapparti per ricordarti che devi respirare, sempre, perché a restare troppo a lungo in apnea si rischia di morire soffocati.
(…)
Ci sono giorni in cui il sole non sorge mai, sembra essersi dimenticato di svegliarsi.
Ed altri, invece, in cui il calore tiepido dei suoi raggi riaccende la speranza, come il fuoco ristoratore del camino in una gelida notte d’inverno. Riscalda e scioglie le emozioni, una dopo l’altra, si succedono come le scene di un film già visto, a cui hai assistito con gli occhi bendati e le orecchie tappate da una terrificante presenza, la malattia. Scene a cui ti ritrovi ad assistere inerme, perché, per quanto si possa cercare di controllarla o di gestirla, un’emozione non si programma, non la si costruisce, arriva spontaneamente: scendono lacrime, di gioia o di dolore, un brivido attraversa la schiena, lo stomaco si chiude, le gambe tremano, sul viso si accenna un sorriso... Ti può cogliere impreparata e sorprenderti, o travolgerti, o ancora rigenerarti...certo è, che qualunque sia l'effetto che suscita in te, tu non puoi che accoglierla, lasciarla danzare intorno a te e custodirla come un tesoro, perché potresti non riviverla più con la stessa intensità, né allo stesso modo. Non perché potrebbe non ripresentarsi mai più, ma perché sarai cambiata tu.
Mentre si soffre non si riesce a percepire, a sentire, quello che si è in grado di trasmettere. O forse lo si intravede, forse in lontananza, ma in maniera sempre distorta, alterata, distaccata, perché qualsiasi 'movimento' è filtrato attraverso l'istinto della malattia; severo, giudicante, inflessibile.
La sofferenza insegna anche questo: che di fronte ad un'emozione, positiva o negativa che sia, anche la paura si fa da parte, perché ogni emozione è il riflesso dell'universo sconfinato che ci portiamo dentro, è uno dei codici umani con cui partecipiamo alla nostra vita di ogni giorno, con cui ci raccontiamo, a noi stessi e agli altri, ogni giorno.
In quest'ottica, allora si, anche stare male ha un senso.
Sandra
[brano
estratto da "Oltre -
Scoprirsi
fragili: confessioni sul (mio) disturbo alimentare
(Liberodiscrivere
Edizioni, 2018)].
Apnea
RispondiEliminaApnea, quasi soffoco
Ma se inalo è dolore
Non c’è aria ma terrore
In apnea raggiungo l’oretta di danza
Ondeggiando nella musica
respiro un pò di vita con le altre
Apnea nell’ascensore
Una bolla d’aria questa matita
Parole
Un rumore di ragazzi
che festeggiano qualcosa
sale
sale fino a quassù
al nono piano
fino a questa stanza di vecchie morenti
Apnea resistere
Cosa ci fa mia figlia quassù
tra queste vecchie stanche
Chiamatela, …ragazzi…!
forte forte
forte.
Marina