Cercando di riempire il vuoto di queste "feste", mi sono ritrovata a riflettere su quanto la malattia abbia reso POVERO e MANCANTE il mio universo: in quest'universo mancano relazioni, attenzioni, svaghi, sicurezza…manca, soprattutto, Amore. Ed è proprio questa mancanza a rendere il vuoto 'appetibile', a rendere l'universo della malattia desiderabile: senza relazioni niente tradimenti, senza attenzioni niente preoccupazioni, senza svaghi niente distrazioni, senza Amore niente dolore. Stare nella malattia è allora rinunciare ad avere, temere di avere (un corpo, in primis) e godere, invece, di tutto ciò che è "senza". E' godere del 'niente'; godere, appunto. Ma quest'universo misero non può bastare: come può soltanto questo bastare ad un essere umano (di per sé 'mancante', perché ha dei bisogni che chiedono di essere soddisfatti)?
Credo che 'uscire dalla gabbia' della malattia, implichi
non tanto rifiutare la mancanza in quanto insufficienza - perché sentire la
mancanza è avvertire anche un bisogno ("mi manca l'aria" = ho bisogno di aria, per respirare, per
vivere) o un desiderio ("mi manca
la mia gattina" = desidero la compagnia della mia gattina) - ma guardare
alla mancanza come ad una ricchezza, UNA RISORSA.
Forse ciascuna di noi dovrebbe smettere di pensare a quello
che non è o che potrebbe essere, cioè quello che le manca, per mimetizzarsi, per con-formarsi (cioè perdere forma,
essere senza forma propria) e
con-fondersi nella massa (cioè perdere individualità, senza distinzione, senza
ordine). E dovrebbe sforzarsi, invece, di cercare quello che è, chi è,
trovare il coraggio (perché si, credo sia una scelta che comporta rischi e che
quindi richiede coraggio) di portarlo allo luce, di ascoltarlo, di
interrogarlo, e di viverlo a fondo. Sia esso dolore o gioia, sofferenza o
piacere, sarà utile in ogni caso, perché aiuterà a crescere. Portare alla luce
quel dolore, o quella gioia, potrebbe forse valere addirittura la vita. Lasciar
parlare la "mancanza che è" per capire di cosa ha più bisogno/desiderio
quell'universo mancante: FARE, cioè, DI QUELLA MANCANZA LA PROPRIA RICCHEZZA.
Forse il tanto desiderato 'equilibrio' sta proprio
nell'imparare un po' alla volta a stare anche nei propri squilibri senza
lasciarsi travolgere o sconvolgere da essi? Sta forse nel saper conciliare gli
estremi opposti (senza/troppo, tutto/nulla) in una "giusta" misura -
la propria misura - che sappia soddisfare quella mancanza che è bisogno
("senza..." non si può vivere) o desiderio ("senza..." c'è
insoddisfazione), e lasciare andare invece quella mancanza che crea dipendenza
("senza..." c'è crisi d'astinenza). Credo che ognuna di noi potrà
trovare 'la propria misura', quell'equilibrio che le permetterà di sentirsi
libera di essere la persona che ha sempre desiderato essere, soltanto se saprà
lasciare andare la paura, se saprà lasciarsi andare alla paura, che la
trattiene tra le grinfie dei mostri che regnano in quest'universo 'mancante',
l'universo della malattia. Soltanto allora, sarà il giorno in cui il mondo
potrà finalmente urlare "Bentornata!", soltanto allora si potrà
finalmente tornare a respirare a pieni polmoni la vita. E per questo lottare ha
un senso, perché io quel giorno non voglio farmi trovare impreparata: voglio
poter accogliere Sandra a braccia aperte e darle le attenzioni, la sicurezza e
tutto l'Amore di cui sente la mancanza.
Sandra
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