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martedì 18 settembre 2018

Fame di vita


Ho riflettuto diverse volte su come tutto può cambiare da un istante all’altro. Una volta riacquistata un minimo di lucidità mi sono interrogata cercando di capire perché io stessa abbia stravolto la mia vita. In notti in cui dormire mi è ancora difficile, provo con tutta me stessa a ricordare com’ero prima del mio buio. 
Mi aiuto con le foto, scorro nella galleria, cerco e trovo una me quindicenne serena, spensierata - forse anche troppo - e felice. Andavo ogni giorno a danza da quando ero uno scricciolo di cinque anni, con la scusa di dover fare lo chignone per i saggi tenevo i capelli sempre lunghi, ma così lunghi che ne andavo fierissima, e mi aggiravo tra i corridoi del liceo come una quintina ginnasiale pronta a spaccare il mondo. Mi ricordo che tra il quinto ginnasio e la prima liceo lessi Platone e Pascal e fu proprio quest’ultimo a innestare un semino di consapevolezza nella mia mente: “che cos’è in fondo l’uomo nella natura? [...] l’uomo non è che una canna, la più debole della natura”. E io questa debolezza l’ho percepita tutta ogni giorno di più, ho lasciato che mi prendesse lentamente e mi portasse via. Una debolezza che è anche tristezza, ossessione, paura. Una debolezza che è diventata disturbo del comportamento alimentare, rubandosi 12kg di carne, di serenità, di vita. 
Da un anno all’altro tutto è mutato. Sono cambiata io, sono cambiati gli sguardi su di me. Sono cambiate le parole, e le domande: “Ma Simo? Vuoi dimagrire ancora?” “Simo, ma mangi?” “Simo, così non va”. Sono cambiate le relazioni e le amicizie. La serenità lascia il posto alla frustrazione costante e al senso di abbandono. Perché innumerevoli volte mi sono sentita abbandonata, tradita e troppe volte ho attribuito la colpa agli altri e alla loro incomprensione, senza mai capire che forse un po’ di responsabilità l’avevo anche io. Per il mio ventesimo compleanno, qualche mese fa, ho scelto di indossare un vestito appeso nell’armadio di casa dall’estate del 2015 quando la bilancia segnava ancora 40kg. Ho scelto di indossarlo perché immaginavo il mio ventesimo compleanno come una rinascita.
Ma una rinascita non è possibile. Ho capito, subito appena indossato, che insieme al peso non necessariamente sarebbe tornata anche la spensieratezza innocente, e che il passato ti segna fino alle ossa. E siccome, come Nietzsche affermava, l’uomo non può dimenticare il passato, il proprio passato, ho capito che forse era il caso di affrontarlo, forse era giunto il momento di riuscire ad accettarlo. 
Io non posso rinascere, ma posso andare avanti. Posso riuscire a convivere con le mie ferite senza che queste intacchino ancora il mio presente. E io questo presente lo voglio vivere fino in fondo perché ho fame, tanta fame, di vita.

Simona

 

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