Mi guardavo allo specchio e mi vedevo enorme,
ingombrante, perfettamente in salute. Ma i medici e i miei genitori
erano preoccupati, ed io non capivo la loro preoccupazione, non capivo
le lacrime di mamma, non capivo le urla nell’ora dei pasti, non capivo
la negazione davanti alla mia richiesta di fare una semplice
passeggiata. Tutto stava precipitando, compresa la mia voglia di vivere,
il mio peso, e la mia voglia di reagire. La felicità stava diventando
qualcosa di lontano, un ricordo, un sentimento che non potevo più vivere
per chissà quale colpa. Perché si, io mi sentivo tremendamente in
colpa come se avessi fatto qualcosa di davvero grave, ma allo stesso
tempo non riuscivo a capire cosa. L’unica cosa che sapevo, è che dentro
di me si era rintanato un mostro, che mi diceva di non mangiare, che mi
sussurrava di essere un fallimento, che mi trattava sempre male, che mi
costringeva ad andare a camminare e fare esercizi. Mi sentivo così male,
mi sentivo vuota, ricordo pomeriggi passati sul letto a guardare il
soffitto, con dentro quella sensazione di malessere immenso.
L’anoressia
non è solo l’atto di non mangiare o mangiare poco e determinate cose,
l’anoressia è una patologia vera e propria, che logora l’anima, il corpo
e la mente. Ancora oggi, nel 2018, sento dire da molte persone o leggo
sui social network tanta disinformazione a riguardo, dunque sarebbe
meglio che la gente prima di parlare si informasse. Perché di anoressia
si muore, di anoressia si sta davvero male. Ho passato 5 lunghi anni in
questo tunnel, sono stata in comunità, ho urlato, pianto, preso a pugni
il muro, volevo andare via. Ma i miei genitori mi hanno dato la forza di
restare, e non ci siamo arresi. Dopo la comunità sono stata in
ospedale, e lì ho aperto totalmente gli occhi. Mi sono spaventata tanto,
avevo paura di morire. Per la prima volta, dopo cinque anni ho capito
la gravità della situazione. Ed ho deciso di prendere in mano la mia
vita, per davvero.
In comunità ho conosciuto molte ragazze con un dca,
ho visto tante lacrime sui loro visi, ho visto corpi emaciati, ho visto
persone urlare e correre via dalla sala pranzo, ho visto ragazze che
camminavano ossessivamente in pochi metri quadri di stanza. Anche io
iniziai a farlo. Dopo mangiato mi faceva sentire meno in colpa, e allora
mi chiedevo in una stanza a caso e camminavo, come un cane in gabbia. Poi iniziai a farlo anche di prima mattina, quando salivamo al piano di
sopra per fare colazione, io ci andavo venti minuti prima, e mi mettevo
in una stanza, e camminavo in cerchio. Non mi sentivo una pazza, mi
sentivo bene perché mi toglieva un po’di malessere e allora iniziai a
farlo ogni giorno. Dopo qualche giorno però, le educatrici iniziarono a
sorprendermi mentre camminavo, e ovviamente mi facevano uscire dalla
stanza. A volte però, nonostante il loro richiamo, io continuavo, senza
darne importanza. In comunità avevamo la possibilità di incontrare i
genitori il fine settimana, dunque vedevo mia madre e mio padre il
sabato o la domenica, e andavamo a fare un giro rigorosamente in
macchina, come specificato dalle educatrici, nei paesi vicini o in
qualche parco. Io però, abituata alle mie lunghe camminate, mi sentivo
fortemente a disagio nello stare ferma, allora costringevo i miei
genitori a fare delle passeggiate, brevi, ma avrei fatto di tutto pur di
non restare seduta in macchina. Ricordo che una volta mi portarono in
una villetta, con delle giostrine per bambini, io mi precipitai sullo
scivolo e inizia a giocare, non curante della gente.
Avevo 17 anni, ma
dentro mi sentivo una bambina. Io volevo rimanere tale. Non volevo
crescere. Di cosa avevo paura? Cosa mi bloccava? Spesso la psicologa
della comunità mi faceva queste domande, ma io restavo in silenzio
perché non sapevo proprio cosa dire. Durante le sedute ero distante.
Volevo solo uscire da quella stanza e andare in camera a camminare.
Quello era il mio principale obbiettivo della giornata, camminare,
bruciare.
È davvero quella la vita che volevo?
La vita è bella ragazzi, la vita va vissuta, non sprecata in una stanza a spegnersi sempre di più.
Abbiate il coraggio di rifiorire.
Cristina
Nessun commento:
Posta un commento