“L'amore che possiamo dare a noi
stessi non può darcelo nessuno, neanche una madre”. Questa frase è
la chiave che tengo appesa al collo. Il mio post-it della vita.
E' il genitore la salvezza, la via, la
vita per una persona nel turbine dei disturbi alimentari? Può essere
l'ancora di salvataggio?
Un genitore, un parente o una persona
che vive a stretto contatto con la realtà dei disturbi alimentari,
ha senza dubbio il compito di modificare determinati atteggiamenti
nei confronti di chi ne è affetto. Deve provare a muovere nel modo
giusto le corde di questo delicato e complesso strumento che è la
malattia. Ma non è certo la salvezza. Da cosa dovrebbe salvarci? Da
noi stessi? No, il baricentro di essa è dentro di noi. Spetta a se
stessi l'arduo compito di rimettersi al mondo. Rinascere.
E come possono capire loro quanto sia
delicato e complessa la bestia che alberga dentro, se nessuno li
prende con mano per farglielo vedere?Ai medici spetta il compito di
analizzare, spiegare, diventare chirurghi dell'anima. Tante sono le
incomprensioni. L'anoressia, la bulimia, i binge, sono il più grande
labirinto dell'animo umano. Contorto. Complesso. Diabolico. Tanti
sono i genitori che si perdono nella paura, nel dubbio di non sapere
cosa fare, come comportarsi di fronte a quell' ingranaggio rotto nel
motore della vita dei loro figli, che proprio non vuole partire. Si
ostinano a guerriglia-re dietro un piatto vuoto e numeri mortali.
Molti non comprendono le dinamiche, i perché, la forza e la
fragilità di queste malattie.
D'altra parte è difficile per una
persona nel pieno di un DCA accettare la non comprensione da parte di
chi le sta accanto. Quanto e come può farlo?
La risposta che ho dato a me stessa è
una, impressa a caratteri cubitali nella mente: possiamo accettare
questo fatto nel momento in cui capiamo e accettiamo che anche i
genitori, come ogni essere umano, ha dei limiti. Che si svincolano
dall'amore, non lo compromettono. Quello resta lì, immutabile,
infinito, nel più grande angolo di cuore. Il fatto è che spesso
nessuno gli insegna la sofferenza che c'è dietro un disturbo
alimentare. Nessuno gli insegna l'alfabeto e il linguaggio di questa
malattia. Noi possiamo raccogliere le sfumature d'amore nascoste
dietro ogni loro singolo gesto, qualsiasi esso sia.
Il resto è nostro compito, come una
riabilitazione dopo che ci si è rotti una gamba: bisogna trovare da
sé il proprio equilibrio, barcollare, fare un passo alla volta,
contare sulla forza delle proprie gambe, del proprio amore.
Rossella
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