Lettera per S.
Ci vuole coraggio a dire: “Sto male. Ho bisogno di aiuto”. Ma tu lo hai fatto. Ci hai chiamato da Parigi perché dovevi dirci un segreto, un peso che ti portavi dentro, ed è stato in quel momento che ho sentito per la prima volta la parola “anoressia” pronunciata da te.
Ti ho raggiunto subito. Mi hai parlato, ti ho parlato, mentre i miei occhi scivolavano sul tuo corpo. Ho cominciato a guardarti in modo minuzioso, senza farmi accorgere, e a ogni occhiata una pugnalata, scoprendo lo scheletro che veniva in superficie attraverso la tua pelle trasparente, le gambe magrissime e le scapole come piccole ali. 40 chili di ossa e di angoscia.
Sono stata con te finché ho potuto, dormendo nella tua stanza. Ricordo la fatica che facevi ad addormentarti. Ti sentivo sospirare e girarti e rigirarti. E io, finché non ti assopivi, rimanevo vigile, quasi che ti dovessi proteggere dai tuoi fantasmi.
Hai iniziato la tua battaglia, mio piccolo soldatino coraggioso, ma hai versato ancora tante lacrime perché il male che hai dentro non ti lascia stare, mai. Neanche un attimo di tregua.
Sono tornata da te più volte nell’arco di un anno. Cambiavano le stagioni, la tua malattia era sempre lì ma tu, con la forza di un tornado, hai terminato gli studi e poi sei tornata a Roma.
Sei stata una grande lezione per me, sai? Mi hai insegnato cosa vuol dire lottare. Tu, che sembravi un uccellino caduto dal nido, con un mostro che ti divorava da dentro, hai continuato la tua corsa e sei arrivata al traguardo che volevi raggiungere.
Ancora non sei guarita, bambina mia, è vero, ma le psicologhe ti aiuteranno, noi genitori ti daremo tutto l’ausilio possibile e tu ce la farai, ne sono certa. Non so quando ma un giorno la bilancia che abbiamo in cucina la butteremo e quella al bagno non la useremo più.
Lo so, tesoro mio, che non mi hai chiesto tu di nascere e mi hai odiato per questo, perché senti tutta la gravità dei vuoti esistenziali che abbiamo dentro. È vero, la vita assomiglia a un castello di sabbia costruito un po’ troppo vicino alla riva, ma prima che arrivi l’ultima onda abbiamo tutta un’esistenza che è per noi, soltanto per noi. E tu non ci crederai ma è veramente un grande, immenso tesoro.
E un giorno ci verrà da ridere ripensando a quella volta quando siamo andate a mangiare ai Giardini del Lussemburgo, e c’era molto vento, un vento dispettoso che faceva volare le foglie della tua insalata. Ed era una scena buffa e divertente ma per un attimo ho avuto paura che saresti volata via anche tu. Ti ho stretto la mano, forte. E poi abbiamo guardato il cielo.
Ti ho raggiunto subito. Mi hai parlato, ti ho parlato, mentre i miei occhi scivolavano sul tuo corpo. Ho cominciato a guardarti in modo minuzioso, senza farmi accorgere, e a ogni occhiata una pugnalata, scoprendo lo scheletro che veniva in superficie attraverso la tua pelle trasparente, le gambe magrissime e le scapole come piccole ali. 40 chili di ossa e di angoscia.
Sono stata con te finché ho potuto, dormendo nella tua stanza. Ricordo la fatica che facevi ad addormentarti. Ti sentivo sospirare e girarti e rigirarti. E io, finché non ti assopivi, rimanevo vigile, quasi che ti dovessi proteggere dai tuoi fantasmi.
Hai iniziato la tua battaglia, mio piccolo soldatino coraggioso, ma hai versato ancora tante lacrime perché il male che hai dentro non ti lascia stare, mai. Neanche un attimo di tregua.
Sono tornata da te più volte nell’arco di un anno. Cambiavano le stagioni, la tua malattia era sempre lì ma tu, con la forza di un tornado, hai terminato gli studi e poi sei tornata a Roma.
Sei stata una grande lezione per me, sai? Mi hai insegnato cosa vuol dire lottare. Tu, che sembravi un uccellino caduto dal nido, con un mostro che ti divorava da dentro, hai continuato la tua corsa e sei arrivata al traguardo che volevi raggiungere.
Ancora non sei guarita, bambina mia, è vero, ma le psicologhe ti aiuteranno, noi genitori ti daremo tutto l’ausilio possibile e tu ce la farai, ne sono certa. Non so quando ma un giorno la bilancia che abbiamo in cucina la butteremo e quella al bagno non la useremo più.
Lo so, tesoro mio, che non mi hai chiesto tu di nascere e mi hai odiato per questo, perché senti tutta la gravità dei vuoti esistenziali che abbiamo dentro. È vero, la vita assomiglia a un castello di sabbia costruito un po’ troppo vicino alla riva, ma prima che arrivi l’ultima onda abbiamo tutta un’esistenza che è per noi, soltanto per noi. E tu non ci crederai ma è veramente un grande, immenso tesoro.
E un giorno ci verrà da ridere ripensando a quella volta quando siamo andate a mangiare ai Giardini del Lussemburgo, e c’era molto vento, un vento dispettoso che faceva volare le foglie della tua insalata. Ed era una scena buffa e divertente ma per un attimo ho avuto paura che saresti volata via anche tu. Ti ho stretto la mano, forte. E poi abbiamo guardato il cielo.
Anna
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Testo di Anna Scipioni, terzo classificato al concorso "Racconti affAMATI" indetto dall'Associazione Mi Nutro di Vita in occasione dell'VIII Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla (15 marzo 2019).
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