Della sera in cui ho deciso di spezzettare il cuore in canzoni, ricordi tutto. Non è così?
Dell'ordigno che impazziva contro il petto. E delle tue bugie, agili a portarmi via dal terrore.
Una lacrima sulla gamba destra.
Due, sui pantaloni di tuta grigi, quelli caldi che mettevo dopo il nuoto, quando rientravo a casa e sentivo solo freddo – nelle ossa e tutt'intorno – anche se avevo ormai smesso di chiedermi il perché.
Poi la terza, la quarta. Un alone che si allargava, mentre spingevo più forte, aumentavo la potenza, gli occhi fissi sul display con i numeri che acceleravano il passo e cercavano di arrivare al traguardo prima di me.
Pedalavo, e piangevo. Resistevo, pedalavo e piangevo. Mancava poco.
Cercavi di convincermi che dovevo lottare, ed era così che facevo. Solo dopo altri sessanta minuti, ero scesa dalla cyclette e mi ero trascinata verso il divano. Potevo fare di meglio, ma tutto sommato mi eri sembrata soddisfatta.
Massaggiavo la macchia che si stava espandendo lungo tutta la coscia. Mascherarla, farla sparire: l'unico desiderio.
Com'era possibile essere arrivata fin lì, aver portato a termine la missione anche quel giorno, e non sentire più niente?
Di ciò che è venuto dopo, ricordo i singhiozzi e il viso schiacciato contro i cuscini.
Poi una chitarra che arriva, ed una cyclette che se ne va.
Una promessa.
Sono trascorsi anni, è vero, eppure non ho mai imparato quel giro d'accordi.
Il cassetto è sempre chiuso. Nella cartella nera con il bordo rosso, il bottone è ancora difettoso.
Ho provato un paio di volte ad infilare la mano dal lato semiaperto, a scavare tra i rivoli di parole e i calcoli matematici delle ricette scritte a matita. L'ho sempre ritratta in tempo.
Ci sono cose che ho imparato a non fare.
Non ci crederai, ma sai che c'è? Non è più così importante.
Dell'ordigno che impazziva contro il petto. E delle tue bugie, agili a portarmi via dal terrore.
Una lacrima sulla gamba destra.
Due, sui pantaloni di tuta grigi, quelli caldi che mettevo dopo il nuoto, quando rientravo a casa e sentivo solo freddo – nelle ossa e tutt'intorno – anche se avevo ormai smesso di chiedermi il perché.
Poi la terza, la quarta. Un alone che si allargava, mentre spingevo più forte, aumentavo la potenza, gli occhi fissi sul display con i numeri che acceleravano il passo e cercavano di arrivare al traguardo prima di me.
Pedalavo, e piangevo. Resistevo, pedalavo e piangevo. Mancava poco.
Cercavi di convincermi che dovevo lottare, ed era così che facevo. Solo dopo altri sessanta minuti, ero scesa dalla cyclette e mi ero trascinata verso il divano. Potevo fare di meglio, ma tutto sommato mi eri sembrata soddisfatta.
Massaggiavo la macchia che si stava espandendo lungo tutta la coscia. Mascherarla, farla sparire: l'unico desiderio.
Com'era possibile essere arrivata fin lì, aver portato a termine la missione anche quel giorno, e non sentire più niente?
Di ciò che è venuto dopo, ricordo i singhiozzi e il viso schiacciato contro i cuscini.
Poi una chitarra che arriva, ed una cyclette che se ne va.
Una promessa.
Sono trascorsi anni, è vero, eppure non ho mai imparato quel giro d'accordi.
Il cassetto è sempre chiuso. Nella cartella nera con il bordo rosso, il bottone è ancora difettoso.
Ho provato un paio di volte ad infilare la mano dal lato semiaperto, a scavare tra i rivoli di parole e i calcoli matematici delle ricette scritte a matita. L'ho sempre ritratta in tempo.
Ci sono cose che ho imparato a non fare.
Non ci crederai, ma sai che c'è? Non è più così importante.
Marta
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